Mag 8, 2024 | Bioconsapevolezza, Conoscersi
Come nascono i dolori osteoarticolari? Secondo l’approccio convenzionale, le ragioni dietro ai dolori osteoarticolari possono essere diverse. Tra le cause individuate ci sono i traumi fisici, grandi o piccoli, i movimenti sbagliati, i cosiddetti “acciacchi dell’età dovuti all’usura”. In pratica delle ragioni meccaniche. A volte vengono prese in considerazione anche cause infiammatorie come l’artrite, che sarebbe dovuta a reazioni immunologiche.
SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO
Ma se le cause fossero solo meccaniche o immunologiche perché c’è chi ha mal di schiena a livello lombare e non cervicale, quando invece i raggi X mostrano artrosi ai due livelli o addirittura nessun problema strutturale?
In caso di artrite, invece, perché alcuni hanno male alla mano destra e non alla mano sinistra? Al mignolo e non al dito medio? In questo articolo ti voglio proporre un modo complementare di considerare i tuoi dolori osteoarticolari.
Ogni sintomo, infatti, racconta una predisposizione e una modalità di affrontare una determinata situazione. Nel caso dei dolori osteoarticolari, il vissuto emotivo profondo, a volte inconscio, è legato a un senso di inadeguatezza. Il messaggio sotteso, cioè, può essere “la mia struttura non è adatta”, “non ce la faccio”, “non sono capace”. In sintesi, si vive un senso di svalutazione.
La svalutazione nel senso biologico
In biologia, quando si parla di svalutazione, non si intende una svalutazione di tipo psicologico. Spesso non ci si rende conto del vissuto emotivo, e questo è un dato di fatto comune a moltissime persone. Per comprendere meglio quello di cui stiamo parlando, cioè quale sia il vissuto biologico, è più facile pensare agli animali.
Spesso non ci si rende conto del vissuto emotivo, e questo è un dato di fatto comune a moltissime persone
L’animale è “più semplice”, o meglio più biologico e concreto, perché vive la realtà. Non ha le ansie e le paure tipiche dell’essere umano riguardo a situazioni astratte, future, virtuali, immaginarie. Non vive, cioè, quegli stati d’animo che portano confusione e sono legati più alla cultura, al proprio ego e a un dialogo interiore non sano.
L’esempio dell’animale ci aiuta a comprendere davvero
Per comprendere l’aspettò biologico e capire come nascono i dolori osteoarticolari dobbiamo mettere da parte le sovrastrutture legate a ego e aspetti mentali per tornare a pensarci e considerarci come mammiferi, animali con dei bisogni fondamentali. Un animale che vive un momento di svalutazione è, per esempio, un animale che non riesce a scappare o a correre abbastanza velocemente per sfuggire ai predatori o restare insieme al suo branco, perché non ha la potenza muscolare adatta. Un cane che non riesce a saltare al di là di una recinzione perché questa è troppo alta.
Non stiamo parlando di un blocco psicologico e mentale, un messaggio tipo “non valgo”, “la mia vita non ha senso”, “non merito di essere felice”. È qualcosa di profondamente diverso.
Il corpo agisce in tuo aiuto
Quando si vive un senso di inadeguatezza relativo alla propria struttura fisica, il corpo comprende che è necessario un cambiamento e di conseguenza si attiva per cambiare di fatto, concretamente, e diventare più adatto. A seconda della struttura “chiamata in causa” le necessità di modifica e potenziamento possono essere diverse e riguardare ossa, legamenti, tendini, articolazioni, muscoli: il corpo crea una risposta diversa, su misura.
Un dettaglio importante che bisogna sempre tenere in considerazione è che, durante il momento di stress che identifichiamo con la fase di “azione e modifica”, il corpo non esprime sintomi di alcun tipo.
Il corpo comprende che è necessario un cambiamento e si attiva per cambiare di fatto, concretamente, e diventare più adatto
I dolori articolari arrivano dopo. Quando si supera la situazione stressante che ha innescato il bisogno di cambiare e l’intervento del corpo, allora si attivano infiammazione e dolore, che noi comunemente mettiamo (quando riguardano ossa, muscoli e tendini) sotto il cappello dei “dolori osteoarticolari”.
Facciamo degli esempi che ci riguardano da vicino
Un esempio molto concreto che non riguarda gli animali ma noi esseri umani, potrebbe essere quello di una persona che sta portando delle borse molto pesanti. Il peso è troppo ma ci prova e ce la fa lo stesso. Il pensiero biologico sotteso a questo evento sarà “la mia struttura fisica non è adatta a portare queste borse”. Nei fatti, la persona farà fatica fisicamente, senza per forza avere pensieri consci. In un secondo momento, però, accuserà dei dolori.
Facciamo un altro esempio. Quando non riesci ad aprire il barattolo della marmellata e si tratta magari di un evento ripetuto, che accade ogni mattina, il tuo corpo vive quotidianamente una svalutazione biologica. La tua struttura non è adatta per compiere quell’azione e poiché la situazione continua a ripetersi è possibile che tu viva un dolore cronico.
Dolori articolari specifici di tipo localizzato
A seconda della localizzazione del dolore o dell’infiammazione, è possibile capire per quale tipo di azione, movimento o gesto il corpo vive lo stress di non farcela, di non essere adatto.
Il pensiero biologico del corpo (non della mente!) è di questo tipo: non ce la faccio a trattenere, sostenere, avanzare, afferrare, allontanare, respingere, cucire con precisione e così via.
Il pensiero biologico è del corpo, non della mente
La buona domanda per ridurre i dolori osteoarticolari
Un modo per iniziare a indagare in autonomia la radice del proprio disagio è farsi questa semplice domanda: “quale è il movimento che non riesco a fare a causa del dolore?”. Una volta individuato questo movimento, potremmo osservare in quale situazione sarebbe utile compierlo, o in quale situazione cerchiamo di farlo senza ottenere un risultato soddisfacente.
L’esempio della spalla destra per un destrimano
Se il movimento che ti provoca dolore è quello di portare avanti il tuo braccio destro, prova a indagare in quali situazioni fatichi ad abbracciare, cioè a portare verso di te. Se al contrario senti male quando porti il gomito indietro, verso la schiena, cerca di capire se vivi una situazione in cui non riesci ad allontanare una persona che “ti sta addosso”.
Il lato destro, per un destrimano, è legato al padre, al partner oppure ai fratelli e sorelle.
Il lato sinistro, sempre per un destrimano, è legato alla madre e ai figli.
Il dolore potrebbe anche interessare un qualunque altro movimento. Ogni volta è importante osservare a cosa serve il movimento e cercare di capire a cosa potrebbe essere collegato.
Ogni volta è importante osservare a cosa serve il movimento e cercare di capire a cosa potrebbe essere collegato
Come nascono i dolori osteoarticolari alle cervicali
Quando si hanno dolori alle cervicali, consiglio di analizzare con attenzione il tipo di dolore. Si fa fatica a girare la testa a destra, a sinistra, ad abbassare la testa, oppure ad alzarla? Ogni movimento è legato e ci orienta ad analizzare un’azione specifica: il mio torcicollo mi impedisce di girare la testa a destra e a sinistra? Provo a chiedermi qual è stata la situazione stressante in cui era in gioco un “no” che volevo dire e che non sono riuscito a pronunciare, oppure che sono stato obbligato a dire.
Qual è invece la situazione in cui non devi guardare a destra e sinistra per non distrarti, perché è molto importante che focalizzi la tua attenzione su quello che hai davanti?
Non riesci ad abbassare la testa? Qual è la situazione stressante in cui vivi una sorta di sottomissione che ti fa stare male?
Il dolore che provoca dolore
Quando finalmente si supera la situazione stressante legata al movimento che non si poteva/doveva/riusciva a fare, il corpo si rilassa e sviluppa uno stato di infiammazione che si esprime (anche) attraverso il dolore.
Il dolore ha un suo senso e un significato profondo: il corpo ti “chiede” con gli strumenti che ha, di far riposare la zona osteoarticolare che ha attraversato il cambiamento, per permettere che recuperi al meglio le sue funzioni e ripristini un completo stato di benessere.
Il corpo chiede con gli strumenti che ha di far riposare la zona osteoarticolare
Il dolore limita nell’azione e ora hai capito che è un bene. Però, se non conosciamo questo vantaggio biologico e viviamo la situazione solo come un impedimento di tipo negativo, si concretizza il rischio di riattivare lo stress legato alla svalutazione biologica iniziale. Non riesco a fare il gesto a causa del dolore; quindi, il corpo si riattiva di nuovo per poi rilassarsi, di conseguenza si scateneranno l’infiammazione e il dolore e così via. In un continuo circolo vizioso di infiammazione.
In questi casi, la conoscenza che sto condividendo serve proprio a non preoccuparsi quando si presenta un dolore osteoarticolare e a lasciare che il corpo possa riposare quando serve. Possiamo farci aiutare dai farmaci per ridurre il dolore e l’infiammazione, rispettando però la necessità di quella parte di noi di non muoversi o muoversi molto poco, per il tempo che serve a ripristinarsi completamente.
Mar 25, 2024 | Conoscersi, Consigli pratici
Recuperare leggerezza e vitalità in tempi relativamente brevi è possibile, entrando in contatto con quella corrente vitale che scorre dentro di noi. Ci sono tutta una serie di azioni, reazioni ed emozioni che nascono in noi e ci attraversano senza bisogno di alcun intervento della nostra mente. Respiriamo, ci muoviamo, digeriamo, ci emozioniamo anche senza bisogno di scegliere o controllare quanto facciamo.
L’educazione, i traumi che possono subentrare e le emozioni bloccate che spesso ne conseguono, però, di solito allontanano da questo potente movimento interiore, naturale e spontaneo. Scopri con me cosa puoi fare, giorno dopo giorno, per recuperare leggerezza e vitalità partendo proprio da chi sei.
SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO
Paure e ferite, consce e inconsce
La paura di essere sbagliati e dunque non amati ed esclusi dagli affetti, dalla famiglia, dalla società, spesso può diventare più forte della corrente vitale. In modo più o meno consapevole ci si creano dei limiti, delle regole di “savoir vivre” basate su ciò che è bene oppure male, giusto o sbagliato, spesso con riferimenti assolutistici. Qualcosa va bene del tutto o per niente, un’azione è bianca oppure è nera. Facciamo questo, anche se spesso non ce ne accorgiamo, per difenderci e per evitare di provare dolore. Questo comportamento, però, spesso ci condanna a un malessere certo (poiché ci allontaniamo da ciò che davvero siamo e sentiamo) per la paura di un dolore incerto (il rifiuto, ipotetico, degli altri).
Se questo è accaduto anche a te, molto probabilmente ora fai fatica a vivere spontaneamente le emozioni e non sai riconoscere il tuo potenziale né sai come esprimerlo a pieno.
Come un bonsai
La tua situazione, comune a molte altre persone, mi ricorda quella di un bonsai. Sei nato con il potenziale per diventare una gigantesca quercia secolare. Potatura dopo potatura, sotto l’influenza di controlli e cure quotidiane, al prezzo salato di un costante indottrinamento e di un grande autocontrollo, con il tuo consenso più o meno conscio, ti è stata cucita addosso un’identità adatta alla società. Il tutto per non disturbare troppo gli altri e forse anche per non attirare troppo l’attenzione.
Questo processo di trasformazione che piega il potenziale spontaneo delle persone e lo plasma in opere idonee alla società, per rispondere al bisogno di controllare e domare la natura selvaggia, richiede una mole di energia enorme. Questo perché è difficile e faticoso contrastare la potenza della vita rigogliosa che scorre dentro ciascuno di noi, e spinge per crescere ed espandersi.
In questo articolo il mio obiettivo è quello di suggerirti una via all’insegna della spontaneità, della naturalezza e dell’autenticità. Perché se ti lasci andare, se rinunci all’autocontrollo e accetti di osservare con curiosità il disvelarsi del tuo potenziale, potrai recuperare leggerezza e vitalità e smetterai di sprecare tanta energia.
Anche tu ti sei piegato per non disturbare troppo gli altri? Forse la società ti ha cucito addosso un’identità che non è la tua
Strumenti per recuperare leggerezza e vitalità sulla strada della spontaneità
Di seguito voglio darti alcuni consigli, o forse si tratta piuttosto di strumenti e percorsi, utili a recuperare la leggerezza, il senso vitale e con essi anche la gioia.
- Riconosci la tua dignità: sei unica e preziosa, o unico e prezioso. Nessuno nei secoli passati e nessuno nei tempi a venire potrà essere del tutto uguale a te. Quello che sei è importante ma anche quello che non sei ha un perché. Le tue qualità e i tuoi difetti contano. Le tue capacità e le tue incapacità ti definiscono in modo positivo. Sei un mix unico e irripetibile.
- Dai legittimità ai tuoi limiti e valore ai tuoi talenti. Un pesce è un pesce, non ha bisogno di camminare fuori dall’acqua o di imparare ad arrampicarsi sugli alberi per vivere le sue esperienze. Sarebbe per lui totalmente inutile e se avesse un talento del genere potrebbe persino smarrire la sua strada.
- Ascoltati e mettiti nelle condizioni di percepire cosa accade in te. Essere in contatto con quello che sentiamo ci permette di capire quando una situazione è tossica per noi, cioè consuma la nostra energia inutilmente e mette il nostro organismo in uno stato di allerta. Al contrario, possiamo anche percepire se una situazione è benefica e nutriente, portatrice di maggiore energia e gioia.
- Interrogati sui tuoi valori, perché conoscerli è fondamentale. Cosa ti fa sentire bene? Cosa, invece, ti fa stare male? Cos’è intollerabile per te? Chiediti quali attività/persone/luoghi ti danno gioia ed energia e quali invece ti sottraggono energia. Se ti va, metti queste impressioni per iscritto, così da poterle rileggere ogni volta che ne hai bisogno e ricordare i tuoi valori fondanti.
Fare un lavoro in profondità
Oltre agli strumenti e ai consigli del paragrafo precedente, ti suggerisco di predisporti all’ascolto e intraprendere un percorso più approfondito nel tuo io. “Lavora” per conoscere le tue sovrastrutture e per smascherare quelle convinzioni che sono tue ma che non rispettano la tua personalità profonda (il tuo essere). Quali sono le cose che appartengono alla tua educazione e alla tua cultura ma che senti creare un attrito interiore? Se le percepisci come incoerenti e stonano con il tuo essere profondo lasciale andare: il tuo punto di vista unico serve ad arricchire il mondo. Fidati!
Impegnati per riconoscere le tue sovrastrutture
Riconnettersi alla propria voce interiore
Quando riusciamo a zittire la mente, a metterla in pausa, possiamo sentire la nostra voce interiore: per quanto piccola è un’ottima alleata, perché ci spinge con gentilezza e perseveranza verso una direzione che è realmente adatta alla nostra anima.
Ci vuole il coraggio di compiere un importante atto di fiducia, perché spesso la voce interiore ci guida su strade non ancora battute. Ti consiglio di esplorare e sperimentare nuovi modi di essere e fare quello che ti viene spontaneo, starai meglio.
Accogliere le emozioni e abbandonare i “dovrei”
Trattenere le emozioni richiede tantissima energia che non può più essere utilizzata per altro. Quando ci sforziamo a non esprimere le nostre emozioni entriamo in uno stato di frustrazione e stress cronico che progressivamente logora sempre di più. Le emozioni, invece, possono essere liberate per favorire il benessere: se vuoi saperne di più ti suggerisco questo approfondimento “come esprimere le emozioni per mantenersi in salute”.
Oltre a lasciar fluire le emozioni dai a te stessa, o a te stesso, la possibilità di mettere da parte tutti i vari “dovrei fare” e “dovrei essere”. Dimentica le ingiunzioni che vengono dall’esterno ma che col tempo hai interiorizzato. Ci sono una serie di azioni che compiamo in modo automatico senza neppure chiederci cosa sentiamo e cosa desideriamo realmente. Riconoscere quando la testa “parte per la tangente”, senza prendere in considerazione cosa comunica il corpo, può essere di grande aiuto per uscire in tempo da un circolo vizioso.
Dimentica le ingiunzioni che vengono dall’esterno ma che col tempo hai interiorizzato
L’esempio del melo
Spesso viviamo con la paura che, se non ci sottoporremo all’obbligo di agire, non faremo mai nulla di buono nella vita: non ci realizzeremo, non porteremo a termine la nostra missione, saremo creature inutili e così via.
Personalmente, quando sono affaticata e ho bisogno di ridimensionare la pressione dovuta all’imperativo di agire, ricordo a me stessa l’esempio del melo.
Il melo non si alza la mattina con l’obiettivo di fare delle mele. Il melo è semplicemente se stesso. Lascia scorrere la vita che gli è propria e che dipende solo da quello che già è, né più né meno. In questo flusso produce gemme, foglie, fiori, frutti… Esprime semplicemente la propria natura, che ci siano animali, umani o qualunque altro essere vivente nei dintorni ad apprezzare o meno le mele.
Non serve che conosca intellettualmente se stesso, non serve che si impegni e faccia fatica, non serve che corrisponda alle aspettative degli altri.
Ciò che secondo me è di grande esempio nella vita del melo, soprattutto, è che mai cercherebbe di produrre ciliegie o albicocche. Anche se qualcuno dovesse dirgli che le mele non sono l’ideale e che invece le ciliegie o le albicocche sono maggiormente amate e apprezzate.
Per recuperare leggerezza e vitalità ispiriamoci al melo e diamoci la possibilità di essere semplicemente e meravigliosamente noi stessi.
Gen 2, 2024 | Bioconsapevolezza, Conoscersi
Gestire le emozioni non significa reprimerle e neppure modificarle. Troppo spesso, le emozioni ci fanno paura perché crediamo che, se ci lasciassimo invadere da esse, ne rimarremmo schiacciati, disintegrati, in qualche modo sconfitti. È infatti diffusa l’erronea convinzione, forse anche tu la pensi così, che nel momento in cui accettiamo di sentire alcune emozioni queste ci abiteranno per sempre. Molte persone hanno paura di precipitare in un abisso senza fondo dal quale sarebbe impossibile uscire.
Ecco che diventa ovvio, partendo da queste convinzioni, il desiderio di gestire le emozioni nel senso di domarle, cancellarle, soffocarle.
SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO
In questo blog ho già raccontato che il mio punto di vista sul tema è molto diverso. Anzi, potrei dire che è diametralmente opposto. Esprimere le emozioni è molto importante e oggi voglio raccontarti di un passaggio aggiuntivo essenziale per gestire le emozioni in modo nuovo. Il mio intento è aiutarti ad abbracciare anche le emozioni più potenti, con l’obiettivo di evitare che si accumulino. Evitare questo accumulo emotivo fa parte, per me e secondo il mio approccio terapeutico, della vera prevenzione delle malattie.
Vediamo allora come puoi fare perché le emozioni non rimangano troppo a lungo attive nel tuo organismo.
Primo passo per gestire le emozioni, capire da dove vengono
Spesso diamo la colpa delle nostre emozioni agli altri. “Sono arrabbiata perché mio marito non mi rispetta”. “Sono frustrato a causa del mio capo, mi chiede di lavorare moltissimo ma non mi paga abbastanza”. “Sono esausta: mio figlio mi fa impazzire”.
Gli altri, in realtà, non sono affatto responsabili delle nostre emozioni; esse ci appartengono e siamo noi a crearle. Le emozioni sono il risultato del nostro personale modo di vivere, in un determinato momento, una certa situazione.
Detto in altri termini, non sono gli eventi o le persone a provocare le emozioni. Questo diventa chiaro se rifletti sul fatto che di fronte a uno stesso evento dieci persone differenti possono avere altrettante emozioni diverse. Tra loro quasi sicuramente ci sarà anche chi rimarrà totalmente indifferente.
Le emozioni sono messaggi che raccontano quello che accade dentro di te, non quello che sta accadendo fuori.
Non sono gli eventi o le persone a provocare le emozioni, siamo noi stessi
Le emozioni condizionano azioni e risultati
Un’emozione si scatena dentro di te nel giro di pochi millisecondi (e quindi a una velocità che rende la cosa impossibile da controllare), insieme a essa si scatenano anche delle reazioni fisiche automatiche.
L’emozione provoca reazioni interne all’organismo (che puoi percepire oppure no). Secondo il tipo di emozione si possono verificare ad esempio un arrossamento del viso, l’aumento del battito cardiaco, l’inarcamento delle sopracciglia, l’irrigidimento della schiena. la dilatazione dello stomaco, la contrazione della mascella e così via.
Ogni emozione è anche accompagnata da una o più re-azioni agli stimoli esterni. Queste re-azioni (cioè azioni non propriamente volontarie rivolte all’esterno in risposta allo stimolo emotivo) sono un po’ più lente; per questo ci danno il tempo di scegliere se assecondarle o meno. In alcuni casi contrattacchiamo verbalmente in modo aggressivo, oppure smettiamo di parlare di colpo. In altri casi parte uno schiaffo, ci spostiamo di scatto, cambiamo posizione, ci blocchiamo fisicamente e così via.
L’emozione non si può impedire
Mettiti il cuore in pace: non puoi fare nulla sul momento per impedire a un’emozione di nascere e neppure per bloccare i suoi effetti fisiologici immediati. Hai però un grandissimo potere: puoi scegliere cosa fare di questa emozione, cioè se rifiutarla o accoglierla.
Scegliere di accogliere l’emozione, però, non significa darle il potere di farci reagire in modo automatico e controproducente. In effetti, quando siamo in balia delle nostre emozioni, non agiamo ma re-agiamo. Queste re-azioni ci portano spesso fuori strada e sono controproducenti rispetto ai nostri obiettivi e desideri profondi.
Cosa facciamo spesso
Spesso quando arriva un’emozione, intensa o meno che sia, blocchiamo il respiro e andiamo in contrazione per reprimerla e resistere ai suoi effetti. Questo non è saper gestire le emozioni.
Gestire le emozioni positivamente vuol dire invece trasformarsi in ampi contenitori che si lasciano attraversare dalla tempesta emotiva, respirando e restando fermi. Accogliere l’emozione è un’azione attiva e consapevole di osservazione, senza re-azioni.
Gestire le emozioni positivamente significa anche lasciarsi attraversare dalla tempesta emotiva
Cosa significa accogliere un’emozione
Accogliere un’emozione che vogliamo gestire in modo positivo e utile per noi significa riuscire a viverla in tutta la sua potenza, accettando di essere completamente coinvolti, senza però identificarci con essa. Significa anche accettare di non giudicare quest’emozione.
Quando un’emozione arriva, non cercare di razionalizzare pensando se sia giusta o sbagliata, legittima oppure no. Semplicemente prendi atto che c’è e lasciale spazio. Se le emozioni sono accolte, diventano effimere e non c’è ragione di aver paura che ti invadano a lungo.
Il rilassamento dopo lo tsunami emotivo
Dopo qualche minuto, o più raramente dopo qualche ora, di un vero e proprio tsunami emotivo, arriverà la fase del rilassamento. Proprio come il mare si calma ogni volta dopo la tempesta. Vedrai: a quel punto sarai libero dall’emozione e ti sentirai più vitale, anche se molto probabilmente sarai stanco. Si sperimenta, di solito, quella stanchezza rilassata tipica delle fasi successive a uno sforzo fisico importante.
Avendo accolto senza giudizio l’emozione, ci sarà tutto lo spazio libero per la serenità e la gioia. È proprio questo il vantaggio di accogliere le emozioni, evitando di reprimerle o nasconderle.
Abbi fiducia: dopo un momento di disperazione o di furia, potresti veramente provare una grande gioia. Ti sembrerà impossibile se non ne hai ancora fatto l’esperienza ma invece è proprio così.
Imparare dai bambini a gestire le emozioni
Recuperiamo la spontaneità e l’autenticità del bambino che è capace di piangere disperato per dieci lunghi minuti per poi scoppiare in una fragorosa risata pochi istanti dopo.
Nella mia esperienza, la gioia e la serenità provate dopo uno sfogo emotivo nascono dal fatto di aver lasciato agire l’emozione ed essersi liberati della tensione emotiva accumulata.
C’è anche un livello più profondo all’origine di questa gioia e serenità. La gioia profonda e sottile legata al fatto di aver accettato noi stessi e l’emozione, piacevole o spiacevole che sia. I nostri lati oscuri, in questo modo, diventano molto meno cupi e spaventosi proprio perché li abbiamo accolti.
Prova tu stesso. Dopo aver accettato di vivere un’emozione, specialmente una di quelle che ritieni scomode o sconvenienti, senza giudicarti, sentirai in te qualcosa di nuovo, l’apertura verso te stesso e verso gli altri. Una sensazione di amore, gioia e pace che provengono dall’interno.
Gestire le emozioni positivamente vuol dire pure accettare i lati più cupi e oscuri di noi stessi
Gestire le emozioni positivamente porta a un cambiamento
Nel tempo, man mano che si sperimenta la sensazione di pace data dall’accettare le emozioni e viverle liberamente, senza pregiudizi, costrizioni o paure, la vita diventa più leggera. Gestire le emozioni positivamente permette di essere semplicemente quello che siamo e di vivere sempre di più in pace con noi stessi e gli altri.
La spontaneità nella nostra società, è fattibile?
So già cosa stai pensando: come si fa nella nostra società a lasciar liberamente agire le emozioni? “Non posso infuriarmi con il mio capo”. “Non è possibile scoppiare a piangere durante una lezione”. “Come faccio a urlare contro lo Stato?”.
Ci sono situazioni nelle quali esprimere le nostre emozioni potrebbe essere controproducente. Per paura di “versare benzina sul fuoco”, crescendo impariamo a trattenere le emozioni.
Per ora le cose stanno così: la nostra società non vede di buon occhio la possibilità di esprimere le emozioni liberamente. Aspettando che l’umanità evolva e cambi atteggiamento nei confronti delle emozioni ti suggerisco una strategia, quella dei post-it.
La strategia dei post-it
Quando un’emozione sta arrivando e non pensi di essere nelle giuste condizioni per esprimerla liberamente scrivi mentalmente un post-it, un appunto da conservare dentro di te.
Ricordati di tornare sull’emozione in seguito, quando sarai libero di esprimerla. Le emozioni possono essere accolte anche a distanza, ripensando alle situazioni che le hanno generate. Per aiutarti a farlo puoi scrivere una lettera. Mi raccomando: usa carta e penna, al computer l’effetto non sarebbe lo stesso.
Quando esprimere le emozioni non è possibile perché non sarebbe socialmente accettato, possiamo usare alcuni espedienti per non reprimere le emozioni ma accoglierle in un secondo momento
La lettera e l’atto simbolico del fuoco
Pensa alla situazione che ha generato l’emozione che ti sei sentito costretto a trattenere e scrivi tutte le parole che ti vengono in mente.
Scrivi rivolgendoti alla persona o all’evento che pensi sia la causa scatenante dell’emozione (anche se in realtà la causa scatenante è il tuo modo di vivere la situazione). Ad esempio puoi scrivere “Signor capo non può trattarmi così! È profondamente ingiusto! Sono furioso…”. Oppure “Maledetti politici che non mettete al primo posto il benessere dei cittadini! Servirebbe così poco per far funzionare tutto al meglio!” e così via. Sviluppa tutti gli argomenti e sfoga liberamente le parole trattenute.
Non cercare di essere gentile, educato, simpatico o rispettoso, non avrebbe senso. Questa lettera non verrà mai recapitata a nessuno, non verrà letta da nessun altro a parte te. Scrivi di pancia: insulti, esagerazioni, generalizzazioni, sentenze drastiche… Tutto è permesso. Intanto che ti sfoghi verbalmente, respira, osserva e accogli anche le reazioni del tuo corpo.
Dopo aver liberato l’emozione in ogni sua parte, puoi bruciare la lettera per trasformare il suo contenuto in cenere: una sostanza leggera e fertile.
Puoi eliminare la cenere gettandola nel water oppure spargendola nella terra ai piedi di una pianta. Poiché la cenere è fertile, aiuterà la pianta a crescere. In questo modo avrai trasformato e messo di nuovo in circolo, nel ciclo della vita, ciò che era rimasto bloccato dentro di te.
La scelta di accogliere le proprie emozioni
Se ignoriamo le nostre emozioni e ci rifiutiamo di ascoltarle e prenderle in considerazione, accettiamo di essere in balia di quello che ci accade e che proviamo. Ci troviamo ad agire in modo automatico senza comprenderne le cause. Le emozioni ci gestiscono e ci sentiamo senza potere. Inoltre, perdiamo una preziosa occasione per conoscere noi stessi.
Quando invece scegliamo di essere attivi e osservare cosa accade nel momento in cui nasce un’emozione, abbiamo l’opportunità di comprendere:
- il contesto in cui l’emozione nasce in noi, cioè i fatti oggettivi;
- il motivo per cui nasce quest’emozione, ovvero il modo in cui interpretiamo la realtà e perché lo facciamo;
- quale reazione o reazioni si scatenano in noi in modo automatico.
Quando osserviamo con onestà, possiamo anche valutare se quanto proviamo e le sue conseguenze sono “appropriate” alla situazione, cioè razionalmente adatte e proporzionate all’evento. Oppure se la reazione emotiva scaturita è oggettivamente sproporzionata alla situazione contingente.
Ci accorgiamo (senza giudicare o condannare) che l’emozione è sproporzionata? Possiamo interrogarci sul perché sia tanto intensa.
La qualità e l’intensità dell’emozione sono condizionate dal nostro modo di vivere la situazione e dunque dai filtri con cui interpretiamo la realtà. Questi filtri nascono dal nostro dialogo interiore, dal vissuto personale presente e passato e addirittura da quanto è accaduto ai nostri familiari risalendo alla genealogia.
Il potere di accogliere l’emozione
Accogliere l’emozione ci permette di osservare cosa accade in noi e perché. Quando provi un’emozione, puoi scegliere di lasciare che ti guidi verso altri episodi della tua vita in cui hai provato qualcosa di analogo. Potresti anche approdare in contesti diversi, in epoche diverse. Le emozioni del presente sono spesso emozioni già vissute nell’infanzia e nella vita dei nostri avi.
L’emozione può farci da guida per risalire ad altri episodi nel passato in cui ci siamo sentiti allo stesso modo
L’emozione come porta d’ingresso a un viaggio interiore
Se accetti di accogliere un’emozione che provi nel presente, farlo potrebbe ricondurti a una ferita emotiva del passato e potrebbe aiutarti a elaborarla. Sto parlando di quei traumi dolorosi che rimangono in noi e che guidano le nostre azioni senza che ce ne rendiamo conto. Potresti renderti conto che la furia che senti, il senso di svalutazione o di ingiustizia che provi, oggi, nei confronti di una persona o di una situazione, è la stessa emozione che provavi nell’infanzia di fronte a tuo padre o a tua madre.
L’emozione acuta e drammatica diventa così una preziosa alleata, il segnale di una ferita passata che si può scegliere di guarire per essere in pace con il passato e con il presente. Fare pace significa diventare più aperti e sereni rispetto alla propria vita presente e al futuro.
Mag 26, 2023 | cambio culturale, Conoscersi, Consigli pratici
Prevenire le malattie è possibile? Ci sono delle azioni che possiamo mettere in pratica e che aiutano concretamente a fare quella che comunemente viene chiamata prevenzione?
La buona notizia è che ci sono delle cose che puoi fare per raggiungere questo obiettivo, che poi coincide con quello di coltivare salute e benessere, di cui spesso parlo in questo blog. Probabilmente, però, queste azioni non sono quelle che pensi e sono piuttosto lontane da quanto il sistema sanitario comunemente chiama “prevenzione”. Ma facciamo un passo alla volta, partendo da qualcosa che tutti conosciamo bene.
SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO
La medicina convenzionale occidentale, così com’è organizzata oggi, è essenzialmente una medicina d’urgenza o comunque che interviene quando compaiono dei sintomi. Il medico non è quel professionista che possiamo consultare con l’obiettivo di mantenerci in buona salute.
In effetti, prendi un appuntamento con il tuo medico di base quando non ti senti bene oppure quando il tuo corpo, in qualche modo, ti sta parlando attraverso la manifestazione di sintomi che non sai interpretare. Talvolta se il sintomo ti sembra chiaro chiami direttamente uno specialista per indagare più a fondo nella patologia che pensi di avere. Tutto questo però non serve a prevenire le malattie.
La medicina occidentale convenzionale è soprattutto una medicina d’urgenza
Manca una cultura della prevenzione
Spesso mi stupisco di sentire utilizzare la parola prevenzione, quando invece quello che la medicina convenzionale occidentale fa non è vera prevenzione. Tutt’al più è diagnosi precoce, come nel caso degli screening per verificare lo stato di alcuni organi o tessuti. Oppure si tratta, piuttosto, di vere e proprie terapie farmacologiche, come le statine per contrastare il colesterolo, che possono provocare diversi effetti collaterali (per fare un esempio).
In occidente, non c’è una vera cultura della prevenzione come accade invece in oriente, grazie alla medicina cinese o ayurvedica. La prevenzione è proprio il focus di queste medicine che ho citato. Al punto che anni fa, quando ho studiato la medicina cinese, ho imparato che i medici cinesi tradizionali si facevano pagare per prevenire la malattia, mentre lavoravano gratuitamente nel momento in cui il loro paziente si ammalava. Esiste anche un detto che conferma questo approccio: Curare la malattia è come iniziare a scavare un pozzo quando si ha sete.
La soluzione nel cambiamento
Penso che l’assenza dell’integrazione di un approccio realmente preventivo sia una delle cause della saturazione del sistema sanitario attuale. Proprio poiché la cura si attiva quando le persone si ammalano, il sistema non riesce più a rispondere alla domanda. Si parla tanto di spese sanitarie troppo alte e di problemi di budget che non consentono di assumere ulteriore personale sanitario, mentre rivalutare dove e come si investe potrebbe rappresentare una svolta sana ed efficace.
Sottolineo intanto che prendere in cura una persona malata per riportarla a un equilibrio salutare è molto più dispendioso, economicamente ed emotivamente (sia per i professionisti sia per i pazienti) che aiutarla a mantenersi in salute.
In questo articolo vorrei presentarti un aspetto di quello che dal mio punto di vista rappresenta la vera prevenzione. Voglio offrirti spunti utili per riprendere in mano il potere sulla tutela della tua salute, partendo dalla conoscenza di te stesso. Così potrai prevenire le malattie. Ma prima, ecco qualche informazione di base sul funzionamento dell’organismo, per comprendere gli strumenti che voglio darti.
Poiché la cura si attiva quando le persone si ammalano, il sistema sanitario non riesce più a rispondere alla domanda
Tre livelli: cerebrale, emotivo e organico
In una situazione del tutto normale, ad ogni istante il cervello riceve ed elabora miliardi di informazioni. Nel caso tu abbia tendenza a sottovalutare l’attività del tuo cervello, ti fermo subito: sappi che mette in gioco 1 miliardo e mezzo di connessioni ogni nanosecondo. Nel momento in cui ricevi un’informazione, miliardi di cellule si attivano e qualcosa si muove in te: occhi, bile, dita, bocca… Di fronte a ogni stimolo sono tre i livelli dell’organismo che vengono messi in gioco: cerebrale, emotivo e organico.
Una zona del cervello si attiva per ricevere ed elaborare l’informazione. Si vive una percezione, in modo cosciente oppure no, e parte immediatamente un ordine neurologico per stimolare l’azione di una parte del corpo specifica: un muscolo, una ghiandola, il tessuto di un organo eccetera. Le informazioni arrivano a volte in modo percepibile dalla coscienza come, ad esempio, il canto di un uccello, il sorriso di una persona, la sensazione della pioggia sul viso, il gusto di un biscotto, e così via. Altre volte sono inconsce, come i pollini nell’aria, un dettaglio nel nostro campo visivo sul quale non stiamo portando l’attenzione, i nutrimenti contenuti nel biscotto, un’informazione vibrazionale eccetera.
Di fronte ad ogni informazione ricevuta, l’organismo vive un percepito biologico e/o emotivo, anch’esso a volte conscio, a volte inconscio. L’organismo, per esempio, percepisce, senza bisogno che il fatto arrivi alla coscienza, se un cibo è tossico o vitale. Percepisce anche se un suono è piacevole o disturbante… In questo caso a volte il suono arriva alla coscienza, e così anche il percepito, altre volte tutto succede nella totale inconsapevolezza.
Le azioni biologiche automatiche
La ricezione dell’informazione crea contemporaneamente delle azioni biologiche automatiche. Appena ricevuta un’informazione, infatti, il cervello lancia degli stimoli nervosi ad alcune parti del corpo. A volte queste azioni e i loro effetti sono visibili: ad esempio passare la mano nei capelli, grattarsi l’orecchio, starnutire.
Altre volte, invece, sono del tutto invisibili. Per esempio, la contrazione dello stomaco, la dilatazione di un’arteria, il rallentamento del battito cardiaco, l’aumento della produzione di ormoni della tiroide e così via. Ad ogni stimolo, per riassumere, corrispondono un percepito e un’azione biologica. Stiamo parlando di miliardi di stimoli al secondo, cioè miliardi di processi e di triadi percezione-vissuto emotivo/biologico-azione.
Cosa accade in una situazione di stress breve e contenuto?
Gli stimoli, nel nostro vissuto quotidiano, sono più o meno intensi e lo stesso vale per le nostre reazioni. In una situazione di stress contenuto, quasi equiparabile a quello fisiologico e necessario per essere svegli e reattivi giorno dopo giorno, il corpo funziona in modalità di routine. Si alternano momenti di stress e di rilassamento. Tutto rimane nell’ambito della normalità.
Di alcuni momenti di stress siamo consci. È il caso, ad esempio, dello stress legato al fatto di guidare nel traffico e vedersi sbucare di fronte un’auto all’improvviso. Non appena gestito l’imprevisto ci rilassiamo. Lo stesso vale per lo stress che vivi quando devi parlare in pubblico e spiegare concetti complessi: se ti è capitato, sai che ti rilassi non appena vedi che chi ti sta di fronte capisce e ti sta seguendo, oppure quando finisce l’intervento. Anche lo stress per un figlio che vive un momento di difficoltà funziona in questo modo. Quando il momento è superato si torna in uno stato di rilassamento. Gli esempi che potremmo fare sono infiniti.
Gli stimoli, nel nostro vissuto quotidiano, possono essere più o meno intensi e lo stesso vale per le nostre reazioni
Un processo bifasico
In questa alternanza di stress e rilassamento riconosciamo un processo bifasico, cioè in due fasi. La prima corrisponde a quella dello stress attivo. In base al tipo di vissuto, durante questa fase l’organismo aumenta o diminuisce la funzione di un organo o di una ghiandola, per esempio. Può anche aumentare o diminuire il numero di cellule di un tessuto specifico. Tutto dipende dalla tipologia di vissuto psico-biologico e dall’origine embriologica del tessuto coinvolto.
Durante la seconda fase, la fase di vagotonia (cioè quando ti rilassi perché non sei più stressato a causa dell’evento che aveva generato tensione), l’organismo compie l’azione opposta rispetto a quella osservata in fase attiva. In pratica: se durante la fase di stress attivo il corpo aveva aumentato la funzione di un organo o di un tessuto, nella successiva fase di rilassamento la funzione tornerà al livello normale, a volte calerà addirittura drasticamente.
Se durante la fase di stress attivo l’organismo aveva aumentato il numero di cellule fino a creare un ispessimento o una massa, in fase di rilassamento il corpo eliminerà queste cellule, diventate oramai inutili. Viceversa, quando durante il momento di stress vengono eliminate alcune cellule, assottigliando un tessuto o creando delle ulcere, in fase di vagotonia il tessuto ricrescerà e le ulcere saranno richiuse.
L’intensità dei sintomi della fase di riparazione
La seconda fase, quella di vagotonia, che possiamo identificare come una fase di riparazione, è una fase calda. Essa cioè è accompagnata da edemi e infiammazione. Paradossalmente, spesso i dolori o l’infiammazione emergono proprio quando ci rilassiamo, dopo un periodo di stress. Ti è mai capitato di ammalarti proprio nei primi giorni delle vacanze, dopo mesi di sovraccarico lavorativo? Oppure hai sofferto di mal di testa nel fine settimana, dopo giorni di tensione?
Spesso, i sintomi infiammatori della domenica sera o del lunedì sono correlati a una situazione vissuta in modo stressante durante il weekend. Viceversa, i sintomi dei giorni di riposo sono correlati a una situazione vissuta in modo stressante durante la settimana lavorativa. Le reazioni infiammatorie ed edematose a seguito di stress brevi (di pochi secondi o minuti) e poco intensi, sono di fatto asintomatiche. Non sentiamo sintomi specifici oppure sono così lievi ed effimeri che passano inosservati. Ma non è sempre così.
Spesso dolori e infiammazione compaiono proprio quando ci rilassiamo
A una ricezione intensa corrisponde una reazione intensa
Di fronte a una situazione in cui lo stress generato è elevato e duraturo (giorni, mesi, anni…), l’organismo adatta comunque il suo funzionamento. Le reazioni organiche però diventano più intense e persistenti. Da qui dipende ciò che percepiamo come sintomi, che a volte coinvolgono vere e proprie modifiche organiche come masse, addensamenti dei tessuti o ulcere.
Tali cambiamenti non solo li sentiamo, ma possiamo anche osservarli grazie agli esami clinici (auscultazione, palpazione e simili) e paraclinici (esami biologici di laboratorio, esami di diagnostica per immagini come radiografie, ecografie, tac eccetera). Che lo stress sia lieve e breve o intenso e duraturo, si ripete sempre il paradigma dei 3 livelli: cerebrale, emotivo e organico.
Se la fase di riparazione in seguito a uno stress lieve e breve è spesso asintomatica, quella in seguito a uno stress intenso e duraturo può essere molto sintomatica. Si, la fase di riparazione è solitamente la fase la più difficile da vivere, poiché si hanno maggiori sintomi come dolori, infiammazione, limitazioni funzionali. Al di fuori dei check-up a cui potresti aver l’abitudine di sottoporti in assenza di sintomi, questo è il momento in cui di solito ti preoccupi e prenoti delle indagini aggiuntive. Magari in questa fase vengono anche diagnosticate delle malattie.
Non sapendo che questi sintomi fanno parte di un processo sensato, pazienti e curanti si possono spaventare. Di conseguenza, capita che i sintomi e le diagnosi portino le persone a vivere nuovi stress intensi e duraturi, che scatenano ulteriori reazioni del corpo. Si può così entrare in un circolo vizioso dovuto alla mancanza di consapevolezza e alla paura della malattia e dei suoi sintomi.
Di fronte a uno stress elevato e duraturo le reazioni organiche diventano più intense e persistenti, sono ciò che chiamiamo sintomi
Prevenire l’intensità e la durata della fase attiva di stress
La fase di riparazione da sola non può esistere. Accade solo come conseguenza alla fase attiva di stress e si manifesta quando la persona finalmente esce dalla situazione stressante. Una volta superato lo stress, ciò che accade come conseguenza non può essere impedito.
Per prevenire le malattie e cioè abbassare l’intensità dei sintomi nella fase di riparazione, serve agire a monte, con l’obiettivo di limitare la durata e l’intensità dello stress vissuto in fase attiva. A questo scopo, un aiuto concreto nel quotidiano ha a che fare con la capacità di saper accogliere le proprie emozioni e lavorare sull’accettazione di sé e di qualunque evento accada. Poi serve agire per favorire tutto quello che permette di rispettare se stessi e vivere una vita in armonia con i propri bisogni e i propri valori.
Sto parlando di una vita in armonia con il proprio Essere profondo. Rispettare i propri ritmi, avere cura dei propri bisogni fisiologici, conoscere se stessi, saper comunicare e creare relazioni armoniose, lasciare scorrere la vita dentro evitando di ostacolare il proprio movimento vitale interiore, come racconto anche qui. Da tutto quanto ho elencato, diventa evidente che quando aiuto le persone a crearsi una vita armoniosa, non sto affatto dimenticando il mio essere medico al servizio della salute.
Il problema della disconnessione
Spesso ci adattiamo alle situazioni e ai bisogni degli altri perché non siamo più connessi a noi stessi, ai nostri bisogni e ai nostri desideri profondi. Quando ti succede questo non sei molto centrato e vivi in balia degli accadimenti e degli altri. È come lasciare il timone della tua vita al caso.
In tali condizioni, non stai realizzando il tuo potenziale e non metti la ricchezza della tua unicità al servizio degli altri. La vita perde parte del suo senso. Diventa un insieme di obblighi che potresti affrontare come un automa e perdi la grande opportunità di vivere nella gioia.
Poiché non ascolti più te stesso, dimentichi anche di soffermarti sullo stress e sulle varie tensioni vissute. Non ti accorgi di essere in fase attiva di stress e di conseguenza non cerchi nemmeno soluzioni, così la situazione stressante si prolunga. Il corpo, invece, è sempre connesso alla realtà. Sente tutto lo stress e il disagio che attraversi, e agisce per adattarsi e sopravvivere.
Quando non si realizza il proprio potenziale la vita perde parte del suo senso
Cosa fare, invece, per prevenire le malattie e vivere meglio?
Spesso è in qualche modo necessario vivere situazioni insopportabili per ricevere la scossa che permette di capire che è il momento di cambiare. Il cambiamento inizia mettendosi al centro della propria vita.
Un cambiamento che prima di tutto è interiore, perché riprenderai ad ascoltarti, ad accogliere ed esprimere le tue emozioni, a rispettare te stesso, a farti rispettare dagli altri e soprattutto a creare situazioni in sintonia con i tuoi valori. In questo modo getterai le basi per l’espressione del tuo potenziale di gioia, salute e serenità. E potrai prevenire le malattie.
Certamente il mio consiglio è quello di non aspettare una situazione estrema. Molto meglio iniziare prima un percorso per recuperare la legittimità di mettersi al centro della propria vita, riprenderne il timone e lasciarsi guidare dalle proprie sensazioni. Saranno allora gioia e leggerezza, piuttosto che pesantezza e insoddisfazione, a guidarti e inviarti i segnali “giusti”, quelli che comunicano se avvicinarti o allontanarti da certe situazioni, persone, scelte lavorative…
La strategia che ti consiglio per prevenire le malattie consiste nel diventare molto sensibile ai segnali del tuo corpo. Ciò significa ascoltare ad esempio la tensione, le contratture, le intolleranze. Non per nutrire l’angoscia e la paura della malattia ma al contrario per agire in modo tempestivo e uscire da situazioni sgradite.
Potrai così limitare l’intensità e la durata della fase di stress. Di conseguenza sarà molto meno duratura e intensa la fase di riparazione, l’intensità e la durata dell’infiammazione e degli edemi. Quindi saranno meno intensi i sintomi fisici ed emotivi nel complesso.
Ti auguro belle scoperte e sempre maggiore gioia e serenità nel sperimentare la vera prevenzione, quella che include la salute, il benessere e l’espressione del proprio potenziale.
Feb 23, 2023 | Bioconsapevolezza, Conoscersi
Perché porsi delle domande? Ho grande perplessità sul modo in cui si affrontano i temi della salute e della malattia oggi. Sento la necessità di riaprirsi alla curiosità, osando rimettere in causa le basi del ragionamento convenzionale. Osservo nell’evoluzione della medicina occidentale e della gestione della sanità una spinta al pensiero unico. Spinta supportata da un’informazione mainstream martellante e manipolante.
SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO
Perché focalizzarsi su un solo tipo di pensiero, quando la varietà di vedute rappresenta una ricchezza incredibile che permette di ampliare sia il punto di vista su una situazione complessa, sia le opportunità di aiuto alle persone che stanno male?
Perché focalizzarsi su un solo tipo di pensiero?
Avere il diritto di dubitare
In un momento in cui sembra vietato dubitare e interrogarsi, lancio una “chiamata a porsi delle domande”. Credo che ogni persona possa trarre grandi benefici, in termine di salute, dall’imparare a porsi le domande giuste.
In questo breve articolo sarò io stessa a porre alcune domande a mio avviso fondamentali; alcune fungeranno da esempio per possibili domande che potresti porti rispetto alla tua salute, o a un sintomo. Altre sono questioni aperte sui temi generali della cura e della salute che pongo come stimolo di riflessione, sia per i curanti sia per le persone che vogliono rinforzare la loro autonomia in termini di cura e tutela della propria salute.
Quando sorge una domanda, il mio invito è di non arrendersi di fronte all’assenza di risposte e di perseverare nel porsi le domande; soprattutto rispetto a un tema così importante come la salute.
Persevera nel porti delle domande
La curiosità è un motore
Sono personalmente grata per la tenacia della mia curiosità che è sopravvissuta agli anni senza risposte. Queste domande hanno guidato la mia ricerca e mi hanno permesso di scoprire tanti approcci diversi e di esercitare oggi la mia professione con gioia e in un modo che per me ha senso.
Ecco quindi un po’ di quelle domande che mi sono posta in gioventù, e per le quali ho dovuto cercare al di fuori dei miei studi di medicina convenzionale per avere risposte soddisfacenti.
Perché sorge un sintomo?
Perché ho un dolore all’orecchio destro e non a quello sinistro?
Perché sviluppo un cancro al seno? Perché a me e non a un’altra donna? Perché ora e non cinque anni fa? Perché un carcinoma duttale e non un adenocarcinoma?
Perché uno guarisce e l’altro no?
Se la prostata aumenta quando si invecchia, perché non tutti gli uomini anziani hanno fastidi urinari?
Porsi delle domande e mantenere la curiosità
Condivisione dei saperi
Recentemente una persona mi ha raccontato il suo primo incontro con l’oncologo in seguito ai risultati sospetti di alcune indagini.
Alla domanda della paziente: “perché mi sono ammalata di questo cancro?” la risposta è stata: “per puro caso”.
Poi il medico ha aggiunto “oppure a causa di un insieme di fattori che si sono incrociati per giungere a questo risultato”.
Alla domanda successiva: “Cosa posso fare per aiutare le cure?” la risposta dell’oncologo è stata: “nulla”.
La prima e la terza risposta mi hanno lasciato a bocca aperta.
Faccio fatica a capacitarmi che dopo tutte le scoperte degli ultimi quarant’anni sia possibile avere ancora questo punto di vista! Veramente il cancro (come la malattia in generale) si sviluppa per caso e non c’è niente da fare per guarire, oltre a mettersi nelle mani dei medici convenzionali?
Non ti stona?
La medicina convenzionale ospedaliera e le medicine complementari vivono in compartimenti così perfettamente stagni?
Non arrivano nei reparti ospedalieri informazioni sulle scoperte della PNEI (Psico Neuro Endocrino Immunologia), sull’importanza del vissuto emotivo sulla salute, dei pensieri e dell’ambiente?
Equivale forse a svalutare la propria professionalità integrare un punto di vista umanistico a quello meccanicistico e biochimico?
Integrare le conoscenze
Tutto frutto del caso?
Perché l’influenza, cosi contagiosa, colpisce solo alcuni e non tutti, anche in seno allo stesso nucleo famigliare?
Siamo d’accordo che esiste un processo vitale meraviglioso, capace di trasformare in nove mesi due cellule in un essere vivente completo, complesso e raffinato?
In caso di malattia questo processo si guasta? Veramente? Se veramente si guasta, perché oggi e non ieri o domani? E perché in questo punto preciso del corpo?
Perché da quest’anno sono allergico alle fragole quando ne ho mangiate felicemente per sessant’anni della mia vita? Perché alcuni bambini sono sotto antibiotici ogni mese per vari malanni quando altri sono sani e robusti?
È cosi difficile porsi domande quando non abbiamo le risposte?
Se non ci poniamo le domande, ci precludiamo l’accesso alle risposte.
Se non ci poniamo le domande, ci precludiamo l’accesso alle risposte.
Porsi domande stimola la curiosità e aumenta la probabilità di ricevere risposte.
E se fosse possibile avere qualche informazione in più? E se non fossimo cosi ignoranti e qualcuno avesse studiato e trovato delle vie di ricerca interessanti?
Primi passi per integrare il vissuto emotivo e la risposta organica del corpo
Per esempio: sai che sulla base dell’osservazione dell’embriologia e dell’anatomia sono stati individuate quattro grandi famiglie di vissuto emotivo che fanno reagire il corpo a quattro livelli tessutali diversi? Ecco un paio di esempi di queste reazioni.
Quando vivi una situazione emotivamente significativa, che scatena in te un senso di pericolo per la tua sopravvivenza, si attivano i tessuti innervati dal tuo tronco cerebrale; esso, infatti, gestisce in modo inconscio la tua sopravvivenza. Essenzialmente, i tessuti coinvolti sono i polmoni o il tubo digerente e le sue ghiandole. Ciò perché le primarie necessita per la sopravvivenza sono respirare e digerire.
Quando invece vivi una situazione per cui senti la tua integrità in pericolo, si attiverà il cervelletto e in contemporanea qualche tessuto che ha il compito di proteggerti: il derma, la pleura, il pericardio, il peritoneo oppure la ghiandola mammaria quando chi è in pericolo è un membro del clan.
Il corpo, un capolavoro
Osservando questi meccanismi mi chiedo: e se il corpo fosse meravigliosamente orchestrato per un funzionamento ottimale in autonomia?
Non mi sembra che nel pacchetto “creazione degli esseri viventi su questa Terra” sia inclusa la dipendenza dai farmaci e dalla medicina. Certo: le relazioni umane includono l’aiuto e la cura, ma di sicuro non la dipendenza.
È cosi pericoloso aprirsi all’idea della competenza del corpo, il quale reagisce in modo sensato al modo tutto nostro di vivere una situazione? Rischiamo davvero di rimanere schiacciati dal senso di colpa se ci riappropriamo del nostro potere?
È più dannoso e pesante il senso di colpa o il senso di impotenza e smarrimento?
Prendere la responsabilità e lasciare la colpa
Il senso di colpa non ha nessun posto quando si approfondisce il funzionamento del corpo.
Il senso di colpa nesce dall’illusione di onnipotenza del nostro Ego. L’Ego che pretende essere capace di controllare la Vita che scorre dentro di noi, ogni nostra cellula e perfino le reazioni arcaiche del nostro “animaletto interiore”. Quando invece questo “animaletto interiore” ha il compito importantissimo di tenerci in vita, e sa come farlo. Non pensa; semplicemente sente e agisce immediatamente a fronte di ogni necessità biologica vissuta. Ci fa respirare, digerire, cogliere ogni informazione lasciandoci liberi di pensare, di amare e di rifare il mondo.
La bellezza di porsi delle domande
Alla fine di questa carrellata di domande e riflessioni, mi resta solo da invitare ognuno a riprendere o a continuare a porsi delle domande. Anche se le riposte non dovessero arrivare subito, la curiosità paga sempre.
Ti auguro di riconnetterti alla meraviglia del tuo corpo e alle conoscenze sufficienti a non essere d’intralcio all’espressione della sua competenza. La conoscenza di sé e del proprio corpo è accessibile a tutti. Ci sono tante vie per svilupparla. La più importante è ascoltarti e seguire i segnali del tuo corpo. Puoi iniziare esplorando, con buone domande, un tuo sintomo. Inizierai così un percorso che ti permetterà di trasformare quel sintomo, al principio fastidioso, in un’opportunità di conoscenza interiore, riconciliazione e crescita personale.
Gen 14, 2023 | Bioconsapevolezza, Biokinesiologia, Conoscersi, Consigli pratici
Oggi, a molti sembra impossibile provare un senso di sicurezza e abbondanza. Stiamo attraversando un’epoca difficile che appare ostile al benessere e alla salute. Tante persone percepiscono insicurezza e hanno paura della scarsità. Scarsità di risorse, di tempo, di affetti.
SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO
C’è da dire che le informazioni che arrivano dai telegiornali e in generale dal mainstream sono fortemente incentrate sui pericoli e sui drammi del mondo. Chi guarda la televisione ogni giorno subisce una subdola iniezione quotidiana di violenza, guerre, crimini, tradimenti, disonestà. Questi temi, inoltre, sono quasi onnipresenti nei film di vario genere proposti al grande publico.
Questo bombardamento, a lungo andare, toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro.
Il bombardamento mediatico toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro
Negli ultimi anni la comunicazione che va in questa direzione è stata ancora più martellante e ha nutrito un forte senso di paura per il futuro. Tra il cambiamento climatico, l’inquinamento, la pandemia, la guerra, la carenza di materie prime: le leve per nutrire il senso di insicurezza e scarsità sono numerose. Di conseguenza tanti si sentono sempre più lontani dal provare un senso di sicurezza e abbondanza.
Agire per avvicinarsi a sicurezza e abbondanza
Ci sono vari livelli ai quali si può intervenire quando stiamo male, come ho spiegato nell’articolo Mente sana in corpo sano, sono azioni, emozioni e pensieri.
Il primo consiglio che voglio dare a te che stai leggendo e vivi questa situazione di lontananza dal senso di sicurezza e abbondanza riguarda il primo livello, quello delle azioni.
Si tratta di un modo per cambiare ciò che accade all’esterno. Anche se questo è il livello più superficiale, io non lo trascurerei.
L’azione fondamentale che ti consiglio è: scegli con cura il tuo nutrimento emotivo, intellettuale e spirituale. Con questo obiettivo, ti invito a spegnere definitivamente la televisione. È un metodo molto efficace. Se però questa risoluzione ti sembra troppo drastica, potresti decidere almeno di non accendere lo schermo (grande o piccolo che sia) ogni giorno.
Come sottolineato, questa è un’azione che modifica l’esterno. Personalmente prediligo di più il lavoro sull’interno. Vediamo cosa si può fare per modificare ciò che accade in noi e che predispone a sentirci sempre più lontani da sicurezza e abbondanza.
Cambiare la predisposizione interiore
Se mi conosci già sai che il mio modo di affrontare una situazione difficile, qualunque essa sia, parte dal comprendere cosa va a smuovere in me quella situazione. Suggerisco sempre di chiedersi: perché vivo in modo così stressante questo evento? Eppure, un’altra persona, accanto a me, rimane serena, nonostante il contesto sia lo stesso.
Cercando di definire una domanda più precisa e in linea con il tema di questo articolo è importante chiedersi:
Come posso evitare di essere un terreno fertile per l’attecchimento del senso di insicurezza e scarsità?
Meglio ancora, trasformiamo la domanda in modo positivo, facendo un esercizio molto benefico per il dialogo interiore. Chiediti piuttosto: come posso diventare terreno molto fertile per lo sviluppo del senso di sicurezza e abbondanza?
Il mio obiettivo è quello di fornirti degli spunti di riflessione e dei suggerimenti per trasformare te stesso in un terreno fertile, così che cresca rigoglioso in te il senso di sicurezza e di abbondanza.
Il potere di stare meglio
Sotto molti punti di vista abbiamo un potere quasi nullo rispetto a quello che accade intorno a noi nel Mondo. Sto parlando per esempio dei terribili conflitti in corso. Noi comuni mortali non possiamo certo prendere decisioni politiche. Lo stesso vale per l’arrivo di un nuovo virus, le disposizioni di Legge, le scelte che riguardano il commercio internazionale o le direttive per la salvaguardia dell’ambiente. Invece, abbiamo un potere enorme sul modo in cui viviamo ogni situazione.
Le emozioni sono nostre e siamo noi a crearle, non sono gli eventi esterni a essere responsabili di come ci sentiamo.
Abbiamo poco potere su quanto di brutto accade nel mondo ma abbiamo moltissimo potere su come viviamo la situazione
Una persona, nonostante sia immersa in un contesto bellissimo di pace, serenità e abbondanza, potrebbe comunque sentirsi insicura, arrabbiata e insoddisfatta. E viceversa.
Per chi soffre di insicurezza e senso di scarsità
A volte l’insicurezza è legata al presente e alla situazione reale che stiamo vivendo. In altri casi l’insicurezza riguarda il futuro ed è legata a un pernicioso stato di ansia.
Forse ti capita di fare questi pensieri. “Ce la sto facendo ora, ma ho paura di non farcela domani. Sono vivo ora ma ho paura di morire domani. Ho un tetto sulla testa e abbastanza da mangiare oggi ma ho paura di perdere tutto domani. Ho abbastanza soldi oggi per vivere e garantirmi un buon tenore di vita ma questa cosa potrebbe cambiare. Ho una relazione di coppia e una famiglia soddisfacenti ma non so se durerà”.
La prima azione da compiere è ripristinare la capacità di adattarsi. Vediamo esattamente di cosa si tratta.
Primo passo: la capacità di sapersi adattare
Come primo passo penso sia importante ripristinare la fiducia nella propria capacità di adattarsi ai cambiamenti. Se non hai fiducia nella tua capacità di adattamento, ti ricordo qualche fatto che riguarda proprio la natura dell’essere umano. Adattarsi è qualcosa che fa parte di noi. In milioni di anni, la nostra specie non si è estinta proprio grazie alla capacità di adattamento, che è intrinseca.
In ogni instante il tuo corpo, senza che tu debba minimamente intervenire, si adatta al mondo esterno. E lo stesso fa anche la tua mente, si adatta. Ci adattiamo ai cambiamenti di temperatura, allo spostamento da un luogo all’altro, alle diverse altitudini e latitudini, all’umore che si modifica e così via.
C’è però probabilmente una parte di te, che potrebbe essere rigida e paurosa e bisognosa di controllare tutto, che teme i cambiamenti. Molto probabilmente è questa parte a instillarti il dubbio di non essere capace di adattarti. Chi dà ascolto a questa voce interiore evita di uscire dalla zona di confort ogni volta che può, perché così ha l’illusione di controllare tutto.
L’insicurezza positiva e quella negativa
Da un punto di vista biologico, percepire insicurezza può essere molto utile, ad esempio nel momento in cui ci si confronta con una situazione che va al di là dei propri limiti. Questo accade quando ciò che vivi ti richiede uno sforzo esagerato, tempi troppo rapidi (o magari troppo lenti), un movimento che mette a rischio l’integrità e la salute del tuo apparato muscolo-scheletrico, oppure ancora quando qualcosa ti costringe a un lavoro che per essere svolto ti impedisce di dormire a sufficienza. Anche vivere in un ambiente troppo inquinato o conflittuale può fare percepire insicurezza.
Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti. In questo modo possiamo evitare di accettare situazioni in cui mettiamo noi stessi in pericolo.
Ecco un esempio ancora più concreto. Se soffri di vertigini devi essere in grado di rifiutare l’invito a percorrere una via ferrata che si snoda sopra a un enorme precipizio.
Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti
Attenzione: quando si lavora a livello biologico, la capacità di riconoscere i propri limiti comprende quelli superiori, certo, ma anche quelli inferiori.
Questa capacità biologica ci permette di essere in contatto con la realtà nuda e cruda. Evita che la mente ci imbrogli e che ci faccia pensare di non essere capaci di qualcosa che invece possiamo fare benissimo.
Secondo passo: ripristinare la propria integrità
Ripristinare l’integrità è uno dei tre potenziali biologici pilastri, e si va a verificare quando un terapeuta lavora con la Biokinesiologia.
Perdiamo la nostra integrità quando siamo feriti fisicamente, a causa di un taglio, una frattura, una malattia eccetera. Possiamo anche perdere la nostra integrità a vari livelli: emotivo, sentimentale, sessuale, intellettuale, sociale, spirituale.
Succede a tutti di essere feriti, non possiamo immaginare di trovare un modo di vivere che eviti qualunque ferita, anzi… Sarebbe una situazione di restrizione tale da impedire lo stesso scorrere naturale della Vita, l’espressione della nostra anima e la nostra realizzazione in questa esperienza terrestre. Un intento che si rivela distruttivo e dannoso. Come voler mettere un bambino al riparo sotto una campana di vetro.
Liberare la capacità biologica bloccata
Un obiettivo molto più costruttivo, interessante e vitale è invece quello di liberare, quando è bloccata, la capacità biologica e naturale di ripristinare la propria integrità.
Di cosa si tratta? Sto parlando della fiducia che se ti dovessi ferire, hai in te il processo naturale biologico per guarire, che agisce senza che tu debba intervenire mentalmente. Un processo che permette di guarire, di cicatrizzare, di ripristinare la tua integrità, senza problemi.
Se non ho la fiducia che il mio organismo abbia questa capacità, vivrò un senso di insicurezza profondo. In modo inconscio avrò paura di ferirmi a vari livelli, andando incontro di volta in volta agli eventi della vita.
Senza la fiducia nella tua capacità biologica di ripristinare l’integrità vivrai un senso di insicurezza profondo
Un esempio dalla Natura selvaggia
Prendiamo l’esempio di un animale selvaggio. Se un animale è ferito fisicamente non può spostarsi, andare a caccia, alimentarsi, scappare o affrontare un predatore o un altro pericolo. Non può nemmeno riprodursi. Ovviamente tutte queste limitazioni espongono l’animale a un senso di vulnerabilità, insicurezza e scarsità che sarà superato con la guarigione. Quando l’animale avrà ripristinato la sua integrità fisica, svaniranno insicurezza e altri disagi.
Per completare la spiegazione di come la perdita di integrità porti a vivere un senso di scarsità, possiamo immaginare un individuo come un secchio. Se questo secchio è bucato (cioè ha perso la sua integrità) non riuscirà a riempirsi. In queste condizioni, come sentirsi colmi, appagati e soddisfatti da quello che riceviamo?
I buchi sono le nostre ferite non guarite, non elaborate.
Mancanze che restano impresse
Conosco un cane, trovatello, a cui sicuramente è mancato il cibo. Nonostante siano passati sei anni da quando è stato adottato, ancora oggi si tuffa sulla sua ciotola e continua a chiedere da mangiare anche quando non ha più fame. Può sembrare incredibile, ma dorme addirittura abbracciato alla sua ciotola. La carenza di cibo non è più una realtà, ma questa mancanza si è impressa nella sua memoria.
Un cane che non ha memoria di scarsità di cibo o ferite che hanno alterato il suo senso di integrità, mangia, digerisce, dorme, e quando sente che il suo stomaco è vuoto, chiede da mangiare o va a caccia per procurarsi il cibo, senza “ansie”.
Dal punto di vista biologico, il processo della paura che manchi il cibo e si possa morire di fame è uguale a quello della mancanza di denaro ma anche della mancanza affettiva, di amore, di supporto, di riconoscimento. È sempre una memoria che si esprime, indipendentemente dalla situazione reale presente.
Immaginiamo che la persona o l’animale sia come un secchio. Se è bucato, non si può riempire. Aumentare la quantità di cibo nella ciotola del cane trovatello non avrebbe nessun effetto sul comportamento del cane. Mettere a disposizione della persona abbondanza di denaro, amore, sostegno, riconoscimento o qualunque altra cosa di cui sente la mancanza non basterà. Non sarà mai sufficiente a trasmettergli un senso di abbondanza e completezza.
Serve prima di tutto lavorare sul ripristino dell’integrità del secchio, perché torni a essere stagno. Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza.
Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza
Gli approcci terapeutici efficaci
Puoi utilizzare qualunque approccio terapeutico che permette di elaborare le tue ferite emotive, i drammi passati che hanno lasciato memorie. Amo lavorare alla radice e privilegio gli strumenti che permettono di farlo sia sul passato personale sia sul passato genealogico.
La Biopsicogenealogia come strumento per favorire sicurezza e abbondanza
Quando una persona vuole lavorare sul suo senso di insicurezza e scarsità e così aprirsi all’esperienza di sicurezza e abbondanza, cerchiamo quelli che possiamo immaginare come “buchi”.
L’indagine che si fa in biopsicogenealogia avrà come obiettivo ritrovare e guarire le ferite e le situazioni vissute nel passato personale o genealogico, che hanno lasciato quel senso di insicurezza e/o scarsità. Affinché questa memoria del passato possa lasciare spazio alla situazione reale presente.
Spesso, la consapevolezza della ferita permette di elaborala e di conseguenza avviene la trasformazione.
Un altro strumento altrettanto interessante, la Biokinesiologia
Quando invece la consapevolezza della ferita non basta a guarirla, serve uno strumento che ha accesso alle memorie inconsce della persona. Nella mia esperienza la Biokinesiologia è molto interessante.
Abbiamo visto che essere capace di adattarsi ai cambiamenti, conoscere e rispettare i propri limiti, ripristinare la propria integrità, sono potenziali biologici che, quando liberi di esprimersi, favoriscono il senso di sicurezza e abbondanza. Come dicevo, la Biokinesiologia è uno strumento che permette di liberare i potenziali biologici bloccati.
Seguendo le indicazioni del corpo e attingendo alle memorie inconsce, la Biokinesiologia permette di liberare emozioni bloccate che impediscono di attingere e esprimere un potenziale biologico specifico.
È il corpo a portarci sulla linea del tempo nel nostro passato personale e attraverso quello dei nostri antenati, per scoprire e sciogliere le emozioni prioritarie e dominanti bloccate, che impediscono di vivere il senso di sicurezza e abbondanza.
Agire nuovamente sull’esterno
Quando avrai lavorato su di te perché il tuo terreno sia fertile al senso di sicurezza e abbondanza, in un secondo momento, potrai capire se realmente c’è carenza di cibo, amore, sostegno, denaro, riconoscimento o qualunque cosa di cui senti la mancanza oggi.
Se si verifica che realmente c’è una carenza, potrai (a seconda della situazione) adattarti, agire, scappare o muoverti per cambiare la situazione e sarai efficace.
Dopo aver lavorato su te stesso saprai se davvero c’è una mancanza nella tua vita
In conclusione…
Attraversiamo nel corso della vita un’infinità di eventi. Quando lavoriamo unicamente sulle situazioni esterne, tralasciando il lavoro su noi stessi, ci ritroviamo a spendere tutta la nostra energia su quanto accade al di fuori di noi. Il mondo esterno è qualcosa di mutevole e che ha infinite evoluzioni possibili, che portano altri problemi e rendono necessaria altra energia, altra creatività, altre soluzioni specifiche.
Nel corso della vita, però, c’è un elemento che sarà sempre presente: te stesso. Conoscere se stessi e lavorare su di sé, oltre a essere possibile per chiunque, è un investimento che permette di raccogliere benefici utili per il resto della vita.