Rispetto tra uomini e donne, favorire amore e consapevolezza

Rispetto tra uomini e donne, favorire amore e consapevolezza

Il rispetto tra uomini e donne è alla base di una relazione sana, di amore e sostegno. Le notizie di cronaca ci raccontano di uomini che operano ogni sorta di violenza sulle donne, le stesse donne che dicono di voler amare e proteggere. Una strada per fare pace tra uomini e donne è oggi, quindi, quanto mai fondamentale.

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Perché le relazioni di coppia, che idealmente dovrebbero essere relazioni d’amore, fondate sul sostegno reciproco e il rispetto, a volte sono invece relazioni tossiche dove non c’è alcun rispetto dell’altro e la violenza domina, manifesta o nascosta? In alcuni casi questo accade fin dall’inizio della relazione, in altri invece è qualcosa che succede nel tempo.

Come possiamo invertire la rotta?

Questo articolo vuole mettere qualche granello di sabbia nei troppo ben oliati meccanismi della violenza tra partner. Creando qualche attrito, vorrei favorire la trasformazione verso una realtà di maggiore rispetto tra uomini e donne.

Rispetto tra uomini e donne, non è questione di genere

Per semplificare, in questo articolo parlerò della violenza degli uomini sulle donne, ma è importante riconoscere che esiste anche la violenza delle donne sugli uomini, benché se ne parli molto poco.

Ciò accade per una ragione piuttosto semplice. Quando una donna viene picchiata da un uomo o subisce una violenza di qualunque genere, di solito suscita negli altri compassione, indignazione, empatia e desiderio di protezione.

Quando si parla di violenza sugli uomini da parte di donne, le reazioni immediate e le emozioni che emergono sono molto diverse: stupore, incredulità, giudizio, stigmatizzazione o persino ilarità. Ciò rende il vissuto degli uomini che subiscono queste violenze ancora più doloroso. La vergogna, spesso, impedisce agli uomini di chiedere aiuto e addirittura di testimoniare il vero di fronte alla giuria o ai propri cari. Soprattutto quando l’uomo è fisicamente più grande e più forte della partner.

Esiste anche la violenza delle donne sugli uomini, benché se ne parli molto poco

Il danno della violenza

Quando manca il rispetto e viene perpetrata una violenza c’è sempre un danno, è un dato di fatto da non sottovalutare. Viene automatico, in caso violenza, cercare il responsabile del danno. Quando viene identificato, ognuno reagisce a modo suo. C’è chi giudica, chi odia, chi condanna, chi insulta perché “non è possibile comportarsi così”. Dall’altra parte c’è anche chi giustifica, perché magari si tratta di una persona che sì, è violenta, ma ha subito abusi durante l’infanzia o ha una partner che non si comporta come vorrebbe la società, o ancora il violento è una persona fortemente stressata.

Quello che non dobbiamo perdere di vista è che, indipendentemente da come viene considerato il colpevole (indegno o vittima a sua volta), il danno è fatto. La violenza c’è stata, non viene cancellata dalle critiche o dalle giustificazioni.

Si spendono tante energie per stigmatizzare l’autore della violenza o per difenderlo, dimenticando di occuparsi del danno e di cosa si possa fare per migliorare la condizione della vittima e del colpevole. Perché si può stare meglio anche quando il danno c’è o c’è stato. Bisogna però lavorarci su. Serve impegno e motivazione.

La giustificazione di chi perpetra violenza

La vittima che rimane all’interno di una coppia violenta ha la tendenza a giustificare le azioni del suo “carnefice”. Spesso crede di poter cambiare il suo uomo, dandogli quell’amore che potrebbe non aver ricevuto durante l’infanzia. In questa missione impossibile la donna sacrifica il proprio benessere, talvolta arrivando a perdere la vita.

Indipendentemente dalle ragioni alla base della violenza, anche se pensi che il tuo partner sia a sua volta una vittima, sappi che farcela da sola, in queste circostanze, è difficilissimo: chiedi aiuto. Esiste una rete nazionale anti violenza a sostegno delle donne. Chiama il numero verde 1522 oppure informati sul sito www.telefonorosa.it/. Troverai professionisti preparati per darti tutto il supporto che ti serve, senza giudizio.

Se sei vittima di violenza chiedi un aiuto qualificato

Cosa possiamo cambiare?

Per riportare il rispetto tra uomini e donne e favorire la pace tra i generi sono tante le azioni che possiamo scegliere di compiere. Il passato non può essere cambiato ma il presente sì. Cosa si può fare per trasformare una situazione infelice e potenzialmente drammatica in un’opportunità per accrescere il proprio benessere?

Ritengo che sia necessario precisare chi è responsabile di cosa. Perché farlo significa sapere cosa abbiamo il potere di cambiare e cosa no. Ci aiuta ad evitare di spendere tempo ed energie inutilmente, in direzioni dove non possiamo intervenire. L’affermazione che sto per fare è molto potente e non tutti sono pronti ad accoglierla: devi ricordare che ogni emozione vissuta è responsabilità di chi la vive, non degli altri. Al contrario, ogni azione è responsabilità di chi la compie.

Le responsabilità in una relazione

Caliamo questo discorso all’interno della violenza tra partner e della mancanza di rispetto tra uomini e donne. La reazione aggressiva appartiene alla persona che urla o picchia. Non è colpa o responsabilità della persona che la subisce. Il modo di vivere una determinata situazione, però, appartiene a noi.

L’altro non è responsabile della mia rabbia, della mia depressione, della paura. Infatti persone diverse reagiscono in modi differenti a una stessa situazione.
La qualità della relazione che vivo con un’altra persona è per il 50 % sotto la mia responsabilità.

Ho il potere di rimanere in una relazione o di interromperla. Intendiamoci: so bene che a volte è molto difficile utilizzare questo potere. La paura può dominare e bloccare le nostre azioni, impedendoci di uscire da una situazione tossica.

Ognuno ha il potere di rimanere in una relazione o di interromperla

Quando si resta in una relazione tossica

Di fatto, le vittime di una relazione tossica, dove non c’è rispetto tra uomini e donne, stanno in qualche modo prestando il loro consenso alla violenza. So che questa affermazione provocherà in molti una grande indignazione, chiedo però a te che mi stai leggendo di continuare a farlo, per comprendere bene il mio discorso. Se guardiamo alla relazione tossica da un punto di vista puramente biologico, per sopportare una tale situazione è necessaria una diminuzione del senso di disgusto emotivo (per scoprire di più sull’emozione primaria del disgusto ti consiglio questo video).

Questa diminuzione della sensibilità al disgusto parla di un passato in cui la persona ha vissuto in un ambiente con poco nutrimento emotivo positivo. C’è stata, quindi una carenza di amore. Un animale che mangia qualcosa di tossico è un animale in una situazione di scarsità di nutrimento, tale da rischiare di morire di fame. Mangiare qualcosa di tossico è il tentativo di riuscire a trovare qualche briciola di nutrimento per sopravvivere.

Di conseguenza, per favorire il processo di guarigione, a queste persone suggerisco di lavorare sulla propria autostima e sul proprio valore. L’intento è quello di riconnettersi all’abbondanza di amore, rispetto, considerazione che si hanno a disposizione e al fatto che si hanno il diritto e la dignità atte a ricevere tutto ciò.

Il passato ci viene in aiuto

Quando rivisitiamo la nostra vita passata e il vissuto dei nostri antenati, possiamo individuare la ripetizione di schemi nocivi che coinvolgono violenze, suicidi, mancanza di rispetto, povertà, svalutazione e così via. Questo può far pensare di essere quasi condannati a vivere situazioni sempre simili, ripetendo lo stesso schema all’infinito.

Per uscire da situazioni tossiche di questo o altro genere e riconquistare la libertà di esprimere tutto il tuo potenziale di gioia e serenità, hai bisogno prima di tutto di riconoscere questi schemi. Per questo voglio guidarti in due processi. Puoi iniziare da sola, ti invito però a farti aiutare da un buon terapeuta affinché tu ne possa trarre il massimo beneficio.

Riconoscere uno schema ricorrente è il primo passo

Un atto inconscio di fedeltà

Guarda al vissuto degli antenati costruendo il tuo albero genealogico. Potresti rintracciare un filo rosso di violenza che si perpetua di generazione in generazione. Subire violenza oggi, nella tua vita, può essere un atto di fedeltà inconscio verso le donne della tua famiglia (tua madre, le nonne). Si tratta di un atto d’amore. Qualcosa che può accadere in diverse situazioni e vissuti traumatici, come suicidi, fallimenti, malattie o povertà.

Come fare per uscire da uno schema che si ripete

Riconoscere che questa ripetizione è un atto d’amore inconscio è il primo passo. Un atto per sentire che appartieni a quel clan, un modo per onorarlo. Per trasformare la situazione puoi connetterti a un amore più grande. Appartieni a questo clan ed è grazie ai tuoi antenati che sei viva oggi. Ti hanno trasmesso la vita. Ti propongo allora di onorare il destino dei tuoi antenati. Uomini e donne. Vittime e carnefici. Ognuno ha fatto il meglio che poteva con le conoscenze, il livello di consapevolezza, le risorse che aveva e all’epoca in cui viveva. Queste esperienze fatte (inclusi i danni inflitti e subiti) vanno ad arricchire il bagaglio emotivo e sperimentale del clan. Tu porti in te le memorie di questi vissuti e puoi farne qualcosa di buono. Oggi puoi scegliere con amore e rispetto di contribuire alla ricchezza di queste esperienze e di sperimentare altro.

Facendo un altro tipo di esperienza rispetto alle donne del tuo clan, non sarai né migliore, né peggiore: darai semplicemente il tuo contributo. Avrai successi e fallimenti anche tu. Agisci per rispettarti e ripristinare il tuo valore di donna, in nome di tutti i tuoi antenati.

Propongo di onorare il destino degli antenati

Ripercorrere il vissuto personale

Un altro processo che puoi mettere in atto riguarda invece il tuo vissuto personale. Descrivi nel dettaglio i fatti di una situazione dannosa che hai vissuto recentemente. Ad esempio: il mio partner è arrivato a casa, stavo stirando, mi ha detto qualcosa, io non ho capito, allora ha iniziato a urlare e tirarmi addosso i piatti. Questa parte dell’esercizio è come una cronaca, una descrizione oggettiva dei fatti priva del racconto delle emozioni.

Il secondo passaggio prevede di descrivere come ti sei sentita in ogni momento: impaurita, colpevole, arrabbiata, in allerta, disprezzata e così via.

Poi fai mente locale e vai a recuperare altri eventi nella tua vita passata, dalla tua nascita ad oggi, in cui ti sei sentita nello stesso modo e hai vissuto emozioni simili. Eventi che possono riguardare uomini e donne, il padre, la madre, altri familiari, insegnanti eccetera. Fai un elenco il più completo possibile. Lasciati guidare dalla similarità con ciò che hai sentito.

Infine, descrivi cosa produce oggi nella tua vita questo modo ricorrente di sentirti. Per esempio: nel passato in tutte queste situazioni mi sono sentita giudicata, sbagliata, non abbastanza per essere amata, una delusione, una creatura ingombrante. Oggi, mi capita di sentirmi subito in colpa, ho sempre l’impressione di sbagliare, se qualcuno è nervoso mi chiedo sempre cosa ho fatto di male.

Perché questo esercizio?

Quando ci accorgiamo che quello che stiamo vivendo è l’ennesima opportunità di rivivere quello che abbiamo attraversato già tante volte, possiamo riconoscere uno schema che ci appartiene. Se questo schema ci appartiene la persona con cui stiamo vivendo il conflitto non è più così prioritaria… Non possiamo cambiare l’altro ma possiamo accogliere il nostro vissuto e questa ripetizione di emozioni/sensazioni che continuano a risuonare in noi. Questo processo può essere fatto da chiunque e in qualunque situazione difficile: permette di conoscere meglio noi stessi.

Dopo aver acquisito consapevolezza su questa cosa, la proposta che ti faccio è questa: oggi sei adulta e puoi accogliere le emozioni della bambina che sei stata. Ad esempio scrivendo una lettera simbolica in cui lasci che la te bambina esprima tutte le sue emozioni, la rabbia, l’impotenza, l’amore non ricambiato, il dolore.

Il passaggio successivo è diventare l’adulta affidabile che può dare a quella bambina ciò che non ha avuto. Parlo di attenzioni, rassicurazioni, protezione, aiuto, stima, amore, il potere di chiedere aiuto eccetera. Assumerai una nuova posizione nei confronti di te stessa che influenzerà le tue azioni, le quali hanno il potere di cambiare la tua realtà.

Se vuoi approfondire il tema delle relazioni di coppia, ti consiglio due articoli che ho scritto:

Dipendenza affettiva nella coppia: cosa puoi fare per evitarla

Dire no, quando fa bene alla coppia e perché

 

Dolori a ossa, articolazioni e muscoli, come affrontarli

Dolori a ossa, articolazioni e muscoli, come affrontarli

Dolori a ossa, articolazioni e muscoli sono molto diffusi. Per alcune persone il dolore è localizzato in una sola zona del corpo, a un dito o ad un ginocchio, per esempio. Per altri, invece, i dolori osteoarticolari interessano punti differenti come vertebre cervicali, lombari, mani, ginocchia, dita eccetera. Chi più ne ha, più ne metta!
Come ho spiegato nell’articolo “Scopri come nascono i dolori osteoarticolari”, quando una persona ha dolori in diversi punti del corpo, ogni dolore e localizzazione del dolore parla di un vissuto specifico.
In questo articolo voglio proporti un altro punto di vista, una veduta più ampia, da integrare all’approccio analitico che ho già condiviso.

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Quando una persona sperimenta molti sintomi in diversi punti del corpo, che riguardano tutti la propria struttura, cioè dolori a ossa, muscoli, tendini e così via, solitamente consiglio di osservare e analizzare attentamente il proprio vissuto, e in particolare il modo in cui ci si relaziona con i limiti.

Cosa rappresentano i limiti

I nostri limiti reali, fisici, quelli che riguardano le nostre capacità e possibilità, possono avere un ruolo nella manifestazione dei dolori articolari perché alcune persone (forse capita anche a te), entrano in una fase di resistenza e cercano a tutti i costi di superare tali limiti, lottando di fatto contro se stesse.

Attraverso questo nuovo intervento, vorrei invitarti a guardare i limiti in modo diverso. E se non fossero barriere da abbattere come tori infuriati ma caratteristiche peculiari di ciascuno di noi? Se fosse utile e benefico identificarli e rispettarli?

Sono decenni che lotti contro i tuoi limiti? Ti propongo di sperimentare un altro approccio. Apriti al fatto che ogni limite, se nasce dalla tua vera essenza, può essere persino di aiuto, perché ti protegge da tutto ciò che non fa per te e non ti rappresenta. Torniamo ora ai dolori osteoarticolari diffusi e alla loro genesi.

Apriti al fatto che ogni limite, se nasce dalla tua vera essenza, può essere persino di aiuto

Non ascoltare i segnali provoca dolori a ossa, articolazioni e tendini

Alcune persone, per diverse ragioni, non rispettano i propri limiti. Si tratta di qualcosa che osservo spesso nel mio lavoro. Come mai? La prima ragione che ho individuato è semplice: c’è chi fa fatica ad entrare in contatto con il proprio corpo. In questi casi, la responsabilità è della mente, che agisce come un despota, decidendo in autonomia e contro ogni altra evidenza cosa fare e cosa no, senza prendere in considerazione i segnali del corpo.

Non sentire il proprio corpo impedisce di recepire correttamente i segnali di fatica, stanchezza e difficoltà. Se ti riconosci in questa situazione, forse sai anche che, quando ciò accade, il corpo agisce. Dopo che hai esagerato, il corpo invia segnali a volte molto intensi che ti obbligano ad ascoltarlo. Il messaggio dietro a questi sintomi, come stanchezza e/o dolore osteoarticolare invalidante è lampante: hai superato i limiti.

Facciamo un esempio: hai deciso di fare giardinaggio. Finalmente ti ritagli del tempo e inizi a lavorare su tutto quello che si è accumulato. Sai che potresti non aver tempo nelle prossime settimane e che oggi è proprio il giorno giusto. Dopo qualche ora senti la stanchezza, abbinata a un po’ di dolori alla schiena o alle braccia, per esempio. Però, oggi è il giorno in cui ce l’hai fatta a ricavarti del tempo, allora vai avanti. Dopo qualche ora ancora, ormai la stanchezza è pesante e decidi di fermarti.

Peccato che non hai preso in considerazione che serve ancora una mezz’oretta di attività per riordinare tutto. In pratica, ti fermi davvero solo dopo ore rispetto a quando il tuo corpo ti aveva chiesto di non sforzarti più. Quale è il rischio? Avere dolori osteo-muscolari per giorni e giorni, che ti impediranno un’attività quotidiana serena e che registreranno nella memoria un ricordo negativo sul giardinaggio.

Non riuscire a riconoscere i propri limiti, anche temporanei

La seconda ragione riguarda la difficoltà di riconoscere i propri limiti. Non riuscire a vederli e di conseguenza ritrovarsi in situazioni che non si è capaci di affrontare con serenità. Facciamo un esempio per chiarire.

Non sai sciare, hai appena fatto la tua prima lezione di sci, ma i tuoi amici ti invitano a seguirli su una pista nera: non ricordano quale sia il tuo livello. Tu scegli di andare perché pensi che in fondo puoi cavartela, invece ti metti in una situazione di stress acuto, perché non sei in grado di arrivare in fondo alla pista senza cadere e magari finisci anche per romperti un osso o comunque farti molto male.

Non riconoscere i limiti porta a ritrovarsi in situazioni che è difficile affrontare con serenità

Quando riconosciamo i limiti, occorre rispettarli

Dall’altra parte ci sono persone che sono in grado di comprendere, e anche bene, i propri limiti, ma non possono o non vogliono accettarli. Si intestardiscono a fare quello che credono di dover fare, a tutti i costi, senza darsi tregua. Nell’esempio precedente, lo sciatore principiante potrebbe essere consapevole dei propri limiti ma non prenderli in considerazione per paura di deludere i suoi amici. Queste persone sanno di non essere capaci di fare determinate cose ma rifiutano di accettarlo, non riescono a sentirsi degni, all’altezza, non riescono ad amarsi con quei limiti. O invidiano, svalutando se stessi, chi è in grado di fare ciò che a loro è precluso.

Cercare un equilibrio che favorisca il benessere

Non fraintendermi, non sto suggerendo a nessuno di rimanere sempre e comunque nella propria zona di comfort senza mai fare nulla di nuovo, senza impegnarsi per crescere, migliorarsi, osare e acquisire nuove competenze. Come ho già spiegato in un altro articolo, però, un pesce è un pesce: sforzarsi contro ogni evidenza di essere ciò che non siamo può farci solo del male.

Se anche tu ti trovi in questa situazione, se leggendo hai capito che i tuoi dolori a ossa, articolazioni e muscoli potrebbero essere dovuti al fatto che non accetti i tuoi limiti, ti consiglio di riflettere su una cosa. Per stare in salute è importante trovare un equilibrio tra due estremi: il pensiero di essere totalmente limitati e quello di essere, al contrario, senza limiti, onnipotenti.

Per stare in salute è importante trovare un equilibrio tra due estremi

Due facce della stessa medaglia

Tutti abbiamo dei limiti, è un dato di fatto: siamo umani e viviamo sulla Terra, dove siamo soggetti alla forza di gravità, dobbiamo sottostare alla nostra biologia, abbiamo bisogno di respirare, bere, mangiare eccetera. Limiti palesi, che la maggior parte di noi accetta senza troppi problemi. Non possiamo volare senza l’aiuto della tecnologia, la nostra biologia non ce lo consente. Così come non possiamo respirare sott’acqua senza bombola di ossigeno.

Dall’altra parte, abbiamo uno spirito che ha un potenziale enorme, inafferrabile per la nostra mente cosciente. Questo potenziale può essere esplorato e, se scegliamo di farlo, scopriremo uno spazio molto più ampio di azione, un nuovo modo di essere che facilita la vita e il benessere. Non possiamo, però, diventare puro spirito fino a quando abitiamo il nostro corpo.

Un’evoluzione fisica armoniosa

Guardando solo al corpo e alle sue possibilità, c’è comunque un modo per spingere molto più in là i propri limiti, avanzare, crescere. Puoi ampliare il tuo raggio di azione, competenza e padronanza di tecniche e abilità facendo esercizio in modo costante, progressivamente. In questa maniera ti impegnerai, ti sforzerai anche, ma rispettando il corpo così com’è in ogni momento. E il piacere che proverai sarà di gran lunga superiore alla fatica.

Un allenamento adatto e progressivo rinforza competenze e abilità, nel rispetto di un corpo in evoluzione. Ed è sempre possibile “alzare il tiro” man mano che si migliora e il corpo cambia. Facendo piccoli passi, puoi rendere adatta la tua struttura senza creare uno stress tale da scatenare sintomi e problemi quali infiammazioni, rotture, artriti, tendiniti e così via.

Puoi ampliare il tuo raggio di azione facendo esercizio in modo costante

Quando la competizione promuove i dolori a ossa, articolazioni e muscoli

Lo spirito di competizione è terreno fertile per lo sviluppo di dolori a ossa, articolazioni e tendini. La competizione è qualcosa di diffuso nella nostra società e favorito negli sport, ma anche sul lavoro. Dobbiamo affrontare gare, confronti, premi… Esiste però una forma di competizione più subdola, quella che si fa con se stessi per raggiungere un ideale di noi che esiste, spesso, solo nella nostra testa.

Oltre i dolori osteoarticolari

Il mio discorso, partendo dai dolori a ossa, articolazioni eccetera, si allarga a una filosofia di vita. Ti propongo un modo di vivere in grado di sostenere un sano equilibrio dinamico, fisico ma anche emotivo. Sottraendoti a un modello ideale esterno o interno che ti spinge a un confronto spietato e non ti fa mai sentire all’altezza, puoi sentirti libero di sperimentare, con rilassatezza.

Il percorso di vita diventa un’esplorazione del proprio potenziale ricca di curiosità, all’interno della quale ci si confronta con i diversi eventi della vita e si scoprono senza giudizio capacità, incapacità, talenti e limiti. Una strategia di questo genere non mette sotto stress insopportabile la nostra struttura fisica ed emotiva: la mette semplicemente in gioco.

Un modo nuovo e sano di mettersi in gioco

Sappi che è sempre possibile mettersi in gioco con piacere e senza rischiare di sviluppare sintomi. Quando non riesci a capire se stai rischiando di attivare uno stress eccessivo che richiederà una risposta del tuo corpo e che si tradurrà in sintomi tra cui anche dolori a ossa, articolazioni e tendini, prova a farti queste due domande.

  1. Stai agendo con piacere al massimo del tuo potenziale? Se lo stai facendo di certo non stai soffrendo, e man mano vedrai te stesso crescere nel tuo potenziale e migliorare.
  2. Ti stai impegnando per raggiungere a tutti i costi una determinata performance indipendentemente dal tuo stato fisico-emotivo reale? Forse proverai uno stato di angoscia latente, perché il messaggio che risuona nella tua testa, molto probabilmente, è un messaggio svalutante. “Non sono adatto in questa situazione”,Non valgo niente”, “Sarò eliminato dal mio clan”, “Nessuno mi noterà”, “Non mi ama nessuno” eccetera.

Mettersi in gioco con piacere e senza rischiare di sviluppare sintomi è sempre possibile

Come prevenire i sintomi psicofisici

Vuoi fare qualcosa di utile e positivo riguardo ai tuoi limiti? Esercitati, come prima cosa, a riconoscerli e accettarli. Impara a rispettarli. Cosa vuol dire? Prendili in considerazione senza riferirti ad essi in modo negativo, adatta la tua vita e le tue azioni per rispettarli e addirittura (perché no?) onorarli.

Immaginando di essere al centro di un cerchio il cui perimetro è rappresentato dai nostri limiti, c’è un grande spazio dentro a questo cerchio. Puoi passare una vita al confine o fuori dal cerchio distogliendo l’attenzione e perdendo l’opportunità di crescere in modo armonioso, sperimentando il tuo vero potenziale. Ad un pesce non serve arrampicarsi sugli alberi, gli serve saper nuotare e respirare sott’acqua.

Per esempio, conosco una persona che ha avuto durante l’infanzia così tanti problemi di salute che ha potuto fare poca attività fisica. È diventato un bravissimo pittore che trasmette bellezza con i suoi quadri. Quanti altri esempi di questo genere esistono? Di persone che, poiché sono state limitate in un campo, hanno sviluppato talenti in altri settori?

Quando penso a queste situazioni, vedo il limite come una porta che si chiude per indirizzare in un’altra direzione, più adatta alla realizzazione di quel singolo individuo.

Adatta la tua vita e le tue azioni per rispettare e addirittura onorare i tuoi limiti

Dalla svalutazione all’accoglienza

Prima di giudicarti subito come inadatto o comunque sbagliato, ti propongo di fare qualcosa di diverso e utile. Osserva il tuo limite e su un foglio prova a rispondere a queste domande.

  • Quale è il vantaggio di questo limite?
  • Potrebbe essere utile chiedere aiuto?
  • Mi dà veramente gioia l’idea di fare questa cosa che mi è così difficile?
  • Come posso fare diversamente (scatenando la mia creatività) per ottenere quello che voglio senza pesare sul corpo perché resisto al limite?

Talvolta un limite c’è perché hai altro da fare, cose più importanti per te e per il mondo. Oppure perché c’è un modo per risolvere un determinato problema o situazione più adatto a te e più efficiente: la tua anima lo sa. Ovviamente non credermi sulla parola, sperimenta e fatti la tua idea.

 

Scopri come nascono i dolori osteoarticolari

Scopri come nascono i dolori osteoarticolari

Come nascono i dolori osteoarticolari? Secondo l’approccio convenzionale, le ragioni dietro ai dolori osteoarticolari possono essere diverse. Tra le cause individuate ci sono i traumi fisici, grandi o piccoli, i movimenti sbagliati, i cosiddetti “acciacchi dell’età dovuti all’usura”. In pratica delle ragioni meccaniche. A volte vengono prese in considerazione anche cause infiammatorie come l’artrite, che sarebbe dovuta a reazioni immunologiche.

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Ma se le cause fossero solo meccaniche o immunologiche perché c’è chi ha mal di schiena a livello lombare e non cervicale, quando invece i raggi X mostrano artrosi ai due livelli o addirittura nessun problema strutturale?

In caso di artrite, invece, perché alcuni hanno male alla mano destra e non alla mano sinistra? Al mignolo e non al dito medio? In questo articolo ti voglio proporre un modo complementare di considerare i tuoi dolori osteoarticolari.

Ogni sintomo, infatti, racconta una predisposizione e una modalità di affrontare una determinata situazione. Nel caso dei dolori osteoarticolari, il vissuto emotivo profondo, a volte inconscio, è legato a un senso di inadeguatezza. Il messaggio sotteso, cioè, può essere “la mia struttura non è adatta”, “non ce la faccio”, “non sono capace”. In sintesi, si vive un senso di svalutazione.

La svalutazione nel senso biologico

In biologia, quando si parla di svalutazione, non si intende una svalutazione di tipo psicologico. Spesso non ci si rende conto del vissuto emotivo, e questo è un dato di fatto comune a moltissime persone. Per comprendere meglio quello di cui stiamo parlando, cioè quale sia il vissuto biologico, è più facile pensare agli animali.

Spesso non ci si rende conto del vissuto emotivo, e questo è un dato di fatto comune a moltissime persone

L’animale è “più semplice”, o meglio più biologico e concreto, perché vive la realtà. Non ha le ansie e le paure tipiche dell’essere umano riguardo a situazioni astratte, future, virtuali, immaginarie. Non vive, cioè, quegli stati d’animo che portano confusione e sono legati più alla cultura, al proprio ego e a un dialogo interiore non sano.

L’esempio dell’animale ci aiuta a comprendere davvero

Per comprendere l’aspettò biologico e capire come nascono i dolori osteoarticolari dobbiamo mettere da parte le sovrastrutture legate a ego e aspetti mentali per tornare a pensarci e considerarci come mammiferi, animali con dei bisogni fondamentali. Un animale che vive un momento di svalutazione è, per esempio, un animale che non riesce a scappare o a correre abbastanza velocemente per sfuggire ai predatori o restare insieme al suo branco, perché non ha la potenza muscolare adatta. Un cane che non riesce a saltare al di là di una recinzione perché questa è troppo alta.

Non stiamo parlando di un blocco psicologico e mentale, un messaggio tipo “non valgo”, “la mia vita non ha senso”, “non merito di essere felice”. È qualcosa di profondamente diverso.

Il corpo agisce in tuo aiuto

Quando si vive un senso di inadeguatezza relativo alla propria struttura fisica, il corpo comprende che è necessario un cambiamento e di conseguenza si attiva per cambiare di fatto, concretamente, e diventare più adatto. A seconda della struttura “chiamata in causa” le necessità di modifica e potenziamento possono essere diverse e riguardare ossa, legamenti, tendini, articolazioni, muscoli: il corpo crea una risposta diversa, su misura.
Un dettaglio importante che bisogna sempre tenere in considerazione è che, durante il momento di stress che identifichiamo con la fase di “azione e modifica”, il corpo non esprime sintomi di alcun tipo.

Il corpo comprende che è necessario un cambiamento e si attiva per cambiare di fatto, concretamente, e diventare più adatto

I dolori articolari arrivano dopo. Quando si supera la situazione stressante che ha innescato il bisogno di cambiare e l’intervento del corpo, allora si attivano infiammazione e dolore, che noi comunemente mettiamo (quando riguardano ossa, muscoli e tendini) sotto il cappello dei “dolori osteoarticolari”.

Facciamo degli esempi che ci riguardano da vicino

Un esempio molto concreto che non riguarda gli animali ma noi esseri umani, potrebbe essere quello di una persona che sta portando delle borse molto pesanti. Il peso è troppo ma ci prova e ce la fa lo stesso. Il pensiero biologico sotteso a questo evento sarà “la mia struttura fisica non è adatta a portare queste borse”. Nei fatti, la persona farà fatica fisicamente, senza per forza avere pensieri consci. In un secondo momento, però, accuserà dei dolori.

Facciamo un altro esempio. Quando non riesci ad aprire il barattolo della marmellata e si tratta magari di un evento ripetuto, che accade ogni mattina, il tuo corpo vive quotidianamente una svalutazione biologica. La tua struttura non è adatta per compiere quell’azione e poiché la situazione continua a ripetersi è possibile che tu viva un dolore cronico.

Dolori articolari specifici di tipo localizzato

A seconda della localizzazione del dolore o dell’infiammazione, è possibile capire per quale tipo di azione, movimento o gesto il corpo vive lo stress di non farcela, di non essere adatto.

Il pensiero biologico del corpo (non della mente!) è di questo tipo: non ce la faccio a trattenere, sostenere, avanzare, afferrare, allontanare, respingere, cucire con precisione e così via.

Il pensiero biologico è del corpo, non della mente

La buona domanda per ridurre i dolori osteoarticolari

Un modo per iniziare a indagare in autonomia la radice del proprio disagio è farsi questa semplice domanda: “quale è il movimento che non riesco a fare a causa del dolore?”. Una volta individuato questo movimento, potremmo osservare in quale situazione sarebbe utile compierlo, o in quale situazione cerchiamo di farlo senza ottenere un risultato soddisfacente.

L’esempio della spalla destra per un destrimano

Se il movimento che ti provoca dolore è quello di portare avanti il tuo braccio destro, prova a indagare in quali situazioni fatichi ad abbracciare, cioè a portare verso di te. Se al contrario senti male quando porti il gomito indietro, verso la schiena, cerca di capire se vivi una situazione in cui non riesci ad allontanare una persona che “ti sta addosso”.

Il lato destro, per un destrimano, è legato al padre, al partner oppure ai fratelli e sorelle.
Il lato sinistro, sempre per un destrimano, è legato alla madre e ai figli.

Il dolore potrebbe anche interessare un qualunque altro movimento. Ogni volta è importante osservare a cosa serve il movimento e cercare di capire a cosa potrebbe essere collegato.

Ogni volta è importante osservare a cosa serve il movimento e cercare di capire a cosa potrebbe essere collegato

Come nascono i dolori osteoarticolari alle cervicali

Quando si hanno dolori alle cervicali, consiglio di analizzare con attenzione il tipo di dolore. Si fa fatica a girare la testa a destra, a sinistra, ad abbassare la testa, oppure ad alzarla? Ogni movimento è legato e ci orienta ad analizzare un’azione specifica: il mio torcicollo mi impedisce di girare la testa a destra e a sinistra? Provo a chiedermi qual è stata la situazione stressante in cui era in gioco un “no” che volevo dire e che non sono riuscito a pronunciare, oppure che sono stato obbligato a dire.

Qual è invece la situazione in cui non devi guardare a destra e sinistra per non distrarti, perché è molto importante che focalizzi la tua attenzione su quello che hai davanti?
Non riesci ad abbassare la testa? Qual è la situazione stressante in cui vivi una sorta di sottomissione che ti fa stare male?

Il dolore che provoca dolore

Quando finalmente si supera la situazione stressante legata al movimento che non si poteva/doveva/riusciva a fare, il corpo si rilassa e sviluppa uno stato di infiammazione che si esprime (anche) attraverso il dolore.

Il dolore ha un suo senso e un significato profondo: il corpo ti “chiede” con gli strumenti che ha, di far riposare la zona osteoarticolare che ha attraversato il cambiamento, per permettere che recuperi al meglio le sue funzioni e ripristini un completo stato di benessere.

Il corpo chiede con gli strumenti che ha di far riposare la zona osteoarticolare

Il dolore limita nell’azione e ora hai capito che è un bene. Però, se non conosciamo questo vantaggio biologico e viviamo la situazione solo come un impedimento di tipo negativo, si concretizza il rischio di riattivare lo stress legato alla svalutazione biologica iniziale. Non riesco a fare il gesto a causa del dolore; quindi, il corpo si riattiva di nuovo per poi rilassarsi, di conseguenza si scateneranno l’infiammazione e il dolore e così via. In un continuo circolo vizioso di infiammazione.

In questi casi, la conoscenza che sto condividendo serve proprio a non preoccuparsi quando si presenta un dolore osteoarticolare e a lasciare che il corpo possa riposare quando serve. Possiamo farci aiutare dai farmaci per ridurre il dolore e l’infiammazione, rispettando però la necessità di quella parte di noi di non muoversi o muoversi molto poco, per il tempo che serve a ripristinarsi completamente.

Come gestire le emozioni in modo positivo e benefico

Come gestire le emozioni in modo positivo e benefico

Gestire le emozioni non significa reprimerle e neppure modificarle. Troppo spesso, le emozioni ci fanno paura perché crediamo che, se ci lasciassimo invadere da esse, ne rimarremmo schiacciati, disintegrati, in qualche modo sconfitti. È infatti diffusa l’erronea convinzione, forse anche tu la pensi così, che nel momento in cui accettiamo di sentire alcune emozioni queste ci abiteranno per sempre. Molte persone hanno paura di precipitare in un abisso senza fondo dal quale sarebbe impossibile uscire.

Ecco che diventa ovvio, partendo da queste convinzioni, il desiderio di gestire le emozioni nel senso di domarle, cancellarle, soffocarle.

 

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In questo blog ho già raccontato che il mio punto di vista sul tema è molto diverso. Anzi, potrei dire che è diametralmente opposto. Esprimere le emozioni è molto importante e oggi voglio raccontarti di un passaggio aggiuntivo essenziale per gestire le emozioni in modo nuovo. Il mio intento è aiutarti ad abbracciare anche le emozioni più potenti, con l’obiettivo di evitare che si accumulino. Evitare questo accumulo emotivo fa parte, per me e secondo il mio approccio terapeutico, della vera prevenzione delle malattie.

Vediamo allora come puoi fare perché le emozioni non rimangano troppo a lungo attive nel tuo organismo.

Primo passo per gestire le emozioni, capire da dove vengono

Spesso diamo la colpa delle nostre emozioni agli altri. “Sono arrabbiata perché mio marito non mi rispetta”. “Sono frustrato a causa del mio capo, mi chiede di lavorare moltissimo ma non mi paga abbastanza”. “Sono esausta: mio figlio mi fa impazzire”.

Gli altri, in realtà, non sono affatto responsabili delle nostre emozioni; esse ci appartengono e siamo noi a crearle. Le emozioni sono il risultato del nostro personale modo di vivere, in un determinato momento, una certa situazione.

Detto in altri termini, non sono gli eventi o le persone a provocare le emozioni. Questo diventa chiaro se rifletti sul fatto che di fronte a uno stesso evento dieci persone differenti possono avere altrettante emozioni diverse. Tra loro quasi sicuramente ci sarà anche chi rimarrà totalmente indifferente.

Le emozioni sono messaggi che raccontano quello che accade dentro di te, non quello che sta accadendo fuori.

Non sono gli eventi o le persone a provocare le emozioni, siamo noi stessi

Le emozioni condizionano azioni e risultati

Un’emozione si scatena dentro di te nel giro di pochi millisecondi (e quindi a una velocità che rende la cosa impossibile da controllare), insieme a essa si scatenano anche delle reazioni fisiche automatiche.

L’emozione provoca reazioni interne all’organismo (che puoi percepire oppure no). Secondo il tipo di emozione si possono verificare ad esempio un arrossamento del viso, l’aumento del battito cardiaco, l’inarcamento delle sopracciglia, l’irrigidimento della schiena. la dilatazione dello stomaco, la contrazione della mascella e così via.

Ogni emozione è anche accompagnata da una o più re-azioni agli stimoli esterni. Queste re-azioni (cioè azioni non propriamente volontarie rivolte all’esterno in risposta allo stimolo emotivo) sono un po’ più lente; per questo ci danno il tempo di scegliere se assecondarle o meno. In alcuni casi contrattacchiamo verbalmente in modo aggressivo, oppure smettiamo di parlare di colpo. In altri casi parte uno schiaffo, ci spostiamo di scatto, cambiamo posizione, ci blocchiamo fisicamente e così via.

L’emozione non si può impedire

Mettiti il cuore in pace: non puoi fare nulla sul momento per impedire a un’emozione di nascere e neppure per bloccare i suoi effetti fisiologici immediati. Hai però un grandissimo potere: puoi scegliere cosa fare di questa emozione, cioè se rifiutarla o accoglierla.

Scegliere di accogliere l’emozione, però, non significa darle il potere di farci reagire in modo automatico e controproducente. In effetti, quando siamo in balia delle nostre emozioni, non agiamo ma re-agiamo. Queste re-azioni ci portano spesso fuori strada e sono controproducenti rispetto ai nostri obiettivi e desideri profondi.

Cosa facciamo spesso

Spesso quando arriva un’emozione, intensa o meno che sia, blocchiamo il respiro e andiamo in contrazione per reprimerla e resistere ai suoi effetti. Questo non è saper gestire le emozioni.
Gestire le emozioni positivamente vuol dire invece trasformarsi in ampi contenitori che si lasciano attraversare dalla tempesta emotiva, respirando e restando fermi. Accogliere l’emozione è un’azione attiva e consapevole di osservazione, senza re-azioni.

Gestire le emozioni positivamente significa anche lasciarsi attraversare dalla tempesta emotiva

Cosa significa accogliere un’emozione

Accogliere un’emozione che vogliamo gestire in modo positivo e utile per noi significa riuscire a viverla in tutta la sua potenza, accettando di essere completamente coinvolti, senza però identificarci con essa. Significa anche accettare di non giudicare quest’emozione.

Quando un’emozione arriva, non cercare di razionalizzare pensando se sia giusta o sbagliata, legittima oppure no. Semplicemente prendi atto che c’è e lasciale spazio. Se le emozioni sono accolte, diventano effimere e non c’è ragione di aver paura che ti invadano a lungo.

Il rilassamento dopo lo tsunami emotivo

Dopo qualche minuto, o più raramente dopo qualche ora, di un vero e proprio tsunami emotivo, arriverà la fase del rilassamento. Proprio come il mare si calma ogni volta dopo la tempesta. Vedrai: a quel punto sarai libero dall’emozione e ti sentirai più vitale, anche se molto probabilmente sarai stanco. Si sperimenta, di solito, quella stanchezza rilassata tipica delle fasi successive a uno sforzo fisico importante.

Avendo accolto senza giudizio l’emozione, ci sarà tutto lo spazio libero per la serenità e la gioia. È proprio questo il vantaggio di accogliere le emozioni, evitando di reprimerle o nasconderle.

Abbi fiducia: dopo un momento di disperazione o di furia, potresti veramente provare una grande gioia. Ti sembrerà impossibile se non ne hai ancora fatto l’esperienza ma invece è proprio così.

Imparare dai bambini a gestire le emozioni

Recuperiamo la spontaneità e l’autenticità del bambino che è capace di piangere disperato per dieci lunghi minuti per poi scoppiare in una fragorosa risata pochi istanti dopo.

Nella mia esperienza, la gioia e la serenità provate dopo uno sfogo emotivo nascono dal fatto di aver lasciato agire l’emozione ed essersi liberati della tensione emotiva accumulata.

C’è anche un livello più profondo all’origine di questa gioia e serenità. La gioia profonda e sottile legata al fatto di aver accettato noi stessi e l’emozione, piacevole o spiacevole che sia. I nostri lati oscuri, in questo modo, diventano molto meno cupi e spaventosi proprio perché li abbiamo accolti.

Prova tu stesso. Dopo aver accettato di vivere un’emozione, specialmente una di quelle che ritieni scomode o sconvenienti, senza giudicarti, sentirai in te qualcosa di nuovo, l’apertura verso te stesso e verso gli altri. Una sensazione di amore, gioia e pace che provengono dall’interno.

Gestire le emozioni positivamente vuol dire pure accettare i lati più cupi e oscuri di noi stessi

Gestire le emozioni positivamente porta a un cambiamento

Nel tempo, man mano che si sperimenta la sensazione di pace data dall’accettare le emozioni e viverle liberamente, senza pregiudizi, costrizioni o paure, la vita diventa più leggera. Gestire le emozioni positivamente permette di essere semplicemente quello che siamo e di vivere sempre di più in pace con noi stessi e gli altri.

La spontaneità nella nostra società, è fattibile?

So già cosa stai pensando: come si fa nella nostra società a lasciar liberamente agire le emozioni? “Non posso infuriarmi con il mio capo”. “Non è possibile scoppiare a piangere durante una lezione”. “Come faccio a urlare contro lo Stato?”.

Ci sono situazioni nelle quali esprimere le nostre emozioni potrebbe essere controproducente. Per paura di “versare benzina sul fuoco”, crescendo impariamo a trattenere le emozioni.

Per ora le cose stanno così: la nostra società non vede di buon occhio la possibilità di esprimere le emozioni liberamente. Aspettando che l’umanità evolva e cambi atteggiamento nei confronti delle emozioni ti suggerisco una strategia, quella dei post-it.

La strategia dei post-it

Quando un’emozione sta arrivando e non pensi di essere nelle giuste condizioni per esprimerla liberamente scrivi mentalmente un post-it, un appunto da conservare dentro di te.

Ricordati di tornare sull’emozione in seguito, quando sarai libero di esprimerla. Le emozioni possono essere accolte anche a distanza, ripensando alle situazioni che le hanno generate. Per aiutarti a farlo puoi scrivere una lettera. Mi raccomando: usa carta e penna, al computer l’effetto non sarebbe lo stesso.

Quando esprimere le emozioni non è possibile perché non sarebbe socialmente accettato, possiamo usare alcuni espedienti per non reprimere le emozioni ma accoglierle in un secondo momento

La lettera e l’atto simbolico del fuoco

Pensa alla situazione che ha generato l’emozione che ti sei sentito costretto a trattenere e scrivi tutte le parole che ti vengono in mente.

Scrivi rivolgendoti alla persona o all’evento che pensi sia la causa scatenante dell’emozione (anche se in realtà la causa scatenante è il tuo modo di vivere la situazione). Ad esempio puoi scrivere “Signor capo non può trattarmi così! È profondamente ingiusto! Sono furioso…”. Oppure “Maledetti politici che non mettete al primo posto il benessere dei cittadini! Servirebbe così poco per far funzionare tutto al meglio!” e così via. Sviluppa tutti gli argomenti e sfoga liberamente le parole trattenute.

Non cercare di essere gentile, educato, simpatico o rispettoso, non avrebbe senso. Questa lettera non verrà mai recapitata a nessuno, non verrà letta da nessun altro a parte te. Scrivi di pancia: insulti, esagerazioni, generalizzazioni, sentenze drastiche… Tutto è permesso. Intanto che ti sfoghi verbalmente, respira, osserva e accogli anche le reazioni del tuo corpo.

Dopo aver liberato l’emozione in ogni sua parte, puoi bruciare la lettera per trasformare il suo contenuto in cenere: una sostanza leggera e fertile.

Puoi eliminare la cenere gettandola nel water oppure spargendola nella terra ai piedi di una pianta. Poiché la cenere è fertile, aiuterà la pianta a crescere. In questo modo avrai trasformato e messo di nuovo in circolo, nel ciclo della vita, ciò che era rimasto bloccato dentro di te.

La scelta di accogliere le proprie emozioni

Se ignoriamo le nostre emozioni e ci rifiutiamo di ascoltarle e prenderle in considerazione, accettiamo di essere in balia di quello che ci accade e che proviamo. Ci troviamo ad agire in modo automatico senza comprenderne le cause. Le emozioni ci gestiscono e ci sentiamo senza potere. Inoltre, perdiamo una preziosa occasione per conoscere noi stessi.

Quando invece scegliamo di essere attivi e osservare cosa accade nel momento in cui nasce un’emozione, abbiamo l’opportunità di comprendere:

  • il contesto in cui l’emozione nasce in noi, cioè i fatti oggettivi;
  • il motivo per cui nasce quest’emozione, ovvero il modo in cui interpretiamo la realtà e perché lo facciamo;
  • quale reazione o reazioni si scatenano in noi in modo automatico.

Quando osserviamo con onestà, possiamo anche valutare se quanto proviamo e le sue conseguenze sono “appropriate” alla situazione, cioè razionalmente adatte e proporzionate all’evento. Oppure se la reazione emotiva scaturita è oggettivamente sproporzionata alla situazione contingente.
Ci accorgiamo (senza giudicare o condannare) che l’emozione è sproporzionata? Possiamo interrogarci sul perché sia tanto intensa.

La qualità e l’intensità dell’emozione sono condizionate dal nostro modo di vivere la situazione e dunque dai filtri con cui interpretiamo la realtà. Questi filtri nascono dal nostro dialogo interiore, dal vissuto personale presente e passato e addirittura da quanto è accaduto ai nostri familiari risalendo alla genealogia.

Il potere di accogliere l’emozione

Accogliere l’emozione ci permette di osservare cosa accade in noi e perché. Quando provi un’emozione, puoi scegliere di lasciare che ti guidi verso altri episodi della tua vita in cui hai provato qualcosa di analogo. Potresti anche approdare in contesti diversi, in epoche diverse. Le emozioni del presente sono spesso emozioni già vissute nell’infanzia e nella vita dei nostri avi.

L’emozione può farci da guida per risalire ad altri episodi nel passato in cui ci siamo sentiti allo stesso modo

L’emozione come porta d’ingresso a un viaggio interiore

Se accetti di accogliere un’emozione che provi nel presente, farlo potrebbe ricondurti a una ferita emotiva del passato e potrebbe aiutarti a elaborarla. Sto parlando di quei traumi dolorosi che rimangono in noi e che guidano le nostre azioni senza che ce ne rendiamo conto. Potresti renderti conto che la furia che senti, il senso di svalutazione o di ingiustizia che provi, oggi, nei confronti di una persona o di una situazione, è la stessa emozione che provavi nell’infanzia di fronte a tuo padre o a tua madre.

L’emozione acuta e drammatica diventa così una preziosa alleata, il segnale di una ferita passata che si può scegliere di guarire per essere in pace con il passato e con il presente. Fare pace significa diventare più aperti e sereni rispetto alla propria vita presente e al futuro.

Chiamata a porsi delle domande

Chiamata a porsi delle domande

Perché porsi delle domande? Ho grande perplessità sul modo in cui si affrontano i temi della salute e della malattia oggi. Sento la necessità di riaprirsi alla curiosità, osando rimettere in causa le basi del ragionamento convenzionale. Osservo nell’evoluzione della medicina occidentale e della gestione della sanità una spinta al pensiero unico. Spinta supportata da un’informazione mainstream martellante e manipolante.

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Perché focalizzarsi su un solo tipo di pensiero, quando la varietà di vedute rappresenta una ricchezza incredibile che permette di ampliare sia il punto di vista su una situazione complessa, sia le opportunità di aiuto alle persone che stanno male?

Perché focalizzarsi su un solo tipo di pensiero?

Avere il diritto di dubitare

In un momento in cui sembra vietato dubitare e interrogarsi, lancio una “chiamata a porsi delle domande”. Credo che ogni persona possa trarre grandi benefici, in termine di salute, dall’imparare a porsi le domande giuste.

In questo breve articolo sarò io stessa a porre alcune domande a mio avviso fondamentali; alcune fungeranno da esempio per possibili domande che potresti porti rispetto alla tua salute, o a un sintomo. Altre sono questioni aperte sui temi generali della cura e della salute che pongo come stimolo di riflessione, sia per i curanti sia per le persone che vogliono rinforzare la loro autonomia in termini di cura e tutela della propria salute.

Quando sorge una domanda, il mio invito è di non arrendersi di fronte all’assenza di risposte e di perseverare nel porsi le domande; soprattutto rispetto a un tema così importante come la salute. 

Persevera nel porti delle domande

La curiosità è un motore

Sono personalmente grata per la tenacia della mia curiosità che è sopravvissuta agli anni senza risposte. Queste domande hanno guidato la mia ricerca e mi hanno permesso di scoprire tanti approcci diversi e di esercitare oggi la mia professione con gioia e in un modo che per me ha senso.

Ecco quindi un po’ di quelle domande che mi sono posta in gioventù, e per le quali ho dovuto cercare al di fuori dei miei studi di medicina convenzionale per avere risposte soddisfacenti.

Perché sorge un sintomo?

Perché ho un dolore all’orecchio destro e non a quello sinistro?

Perché sviluppo un cancro al seno? Perché a me e non a un’altra donna? Perché ora e non cinque anni fa? Perché un carcinoma duttale e non un adenocarcinoma?

Perché uno guarisce e l’altro no?

Se la prostata aumenta quando si invecchia, perché non tutti gli uomini anziani hanno fastidi urinari?

Porsi delle domande e mantenere la curiosità

Condivisione dei saperi

Recentemente una persona mi ha raccontato il suo primo incontro con l’oncologo in seguito ai risultati sospetti di alcune indagini.

Alla domanda della paziente: “perché mi sono ammalata di questo cancro?” la risposta è stata: “per puro caso”.

Poi il medico ha aggiunto “oppure a causa di un insieme di fattori che si sono incrociati per giungere a questo risultato”. 

Alla domanda successiva: “Cosa posso fare per aiutare le cure?” la risposta dell’oncologo è stata: “nulla”.

La prima e la terza risposta mi hanno lasciato a bocca aperta.

Faccio fatica a capacitarmi che dopo tutte le scoperte degli ultimi quarant’anni sia possibile avere ancora questo punto di vista! Veramente il cancro (come la malattia in generale) si sviluppa per caso e non c’è niente da fare per guarire, oltre a mettersi nelle mani dei medici convenzionali?

Non ti stona?

La medicina convenzionale ospedaliera e le medicine complementari vivono in compartimenti così perfettamente stagni?

Non arrivano nei reparti ospedalieri informazioni sulle scoperte della PNEI (Psico Neuro Endocrino Immunologia), sull’importanza del vissuto emotivo sulla salute, dei pensieri e dell’ambiente? 

Equivale forse a svalutare la propria professionalità integrare un punto di vista umanistico a quello meccanicistico e biochimico?

Integrare le conoscenze

Tutto frutto del caso?

Perché l’influenza, cosi contagiosa, colpisce solo alcuni e non tutti, anche in seno allo stesso nucleo famigliare?

Siamo d’accordo che esiste un processo vitale meraviglioso, capace di trasformare in nove mesi due cellule in un essere vivente completo, complesso e raffinato?

In caso di malattia questo processo si guasta? Veramente? Se veramente si guasta, perché oggi e non ieri o domani? E perché in questo punto preciso del corpo?

Perché da quest’anno sono allergico alle fragole quando ne ho mangiate felicemente per sessant’anni della mia vita?  Perché alcuni bambini sono sotto antibiotici ogni mese per vari malanni quando altri sono sani e robusti?

È cosi difficile porsi domande quando non abbiamo le risposte?

Se non ci poniamo le domande, ci precludiamo l’accesso alle risposte.

Se non ci poniamo le domande, ci precludiamo l’accesso alle risposte.

Porsi domande stimola la curiosità e aumenta la probabilità di ricevere risposte.

E se fosse possibile avere qualche informazione in più? E se non fossimo cosi ignoranti e qualcuno avesse studiato e trovato delle vie di ricerca interessanti?

Primi passi per integrare il vissuto emotivo e la risposta organica del corpo

Per esempio: sai che sulla base dell’osservazione dell’embriologia e dell’anatomia sono stati individuate quattro grandi famiglie di vissuto emotivo che fanno reagire il corpo a quattro livelli tessutali diversi? Ecco un paio di esempi di queste reazioni.

Quando vivi una situazione emotivamente significativa, che scatena in te un senso di pericolo per la tua sopravvivenza, si attivano i tessuti innervati dal tuo tronco cerebrale; esso, infatti, gestisce in modo inconscio la tua sopravvivenza. Essenzialmente, i tessuti coinvolti sono i polmoni o il tubo digerente e le sue ghiandole. Ciò perché le primarie necessita per la sopravvivenza sono respirare e digerire.

Quando invece vivi una situazione per cui senti la tua integrità in pericolo, si attiverà il cervelletto e in contemporanea qualche tessuto che ha il compito di proteggerti: il derma, la pleura, il pericardio, il peritoneo oppure la ghiandola mammaria quando chi è in pericolo è un membro del clan.

Il corpo, un capolavoro

Osservando questi meccanismi mi chiedo: e se il corpo fosse meravigliosamente orchestrato per un funzionamento ottimale in autonomia?

Non mi sembra che nel pacchetto “creazione degli esseri viventi su questa Terra” sia inclusa la dipendenza dai farmaci e dalla medicina. Certo: le relazioni umane includono l’aiuto e la cura, ma di sicuro non la dipendenza.

È cosi pericoloso aprirsi all’idea della competenza del corpo, il quale reagisce in modo sensato al modo tutto nostro di vivere una situazione? Rischiamo davvero di rimanere schiacciati dal senso di colpa se ci riappropriamo del nostro potere?

È più dannoso e pesante il senso di colpa o il senso di impotenza e smarrimento?

Prendere la responsabilità e lasciare la colpa

Il senso di colpa non ha nessun posto quando si approfondisce il funzionamento del corpo.

Il senso di colpa nesce dall’illusione di onnipotenza del nostro Ego. L’Ego che pretende essere capace di controllare la Vita che scorre dentro di noi, ogni nostra cellula e perfino le reazioni arcaiche del nostro “animaletto interiore”. Quando invece questo “animaletto interiore” ha il compito importantissimo di tenerci in vita, e sa come farlo. Non pensa; semplicemente sente e agisce immediatamente a fronte di ogni necessità biologica vissuta. Ci fa respirare, digerire, cogliere ogni informazione lasciandoci liberi di pensare, di amare e di rifare il mondo.

La bellezza di porsi delle domande

Alla fine di questa carrellata di domande e riflessioni, mi resta solo da invitare ognuno a riprendere o a continuare a porsi delle domande. Anche se le riposte non dovessero arrivare subito, la curiosità paga sempre. 

Ti auguro di riconnetterti alla meraviglia del tuo corpo e alle conoscenze sufficienti a non essere d’intralcio all’espressione della sua competenza. La conoscenza di sé e del proprio corpo è accessibile a tutti. Ci sono tante vie per svilupparla. La più importante è ascoltarti e seguire i segnali del tuo corpo. Puoi iniziare esplorando, con buone domande, un tuo sintomo. Inizierai così un percorso che ti permetterà di trasformare quel sintomo, al principio fastidioso, in un’opportunità di conoscenza interiore, riconciliazione e crescita personale.

Sicurezza e abbondanza, come farne esperienza

Sicurezza e abbondanza, come farne esperienza

Oggi, a molti sembra impossibile provare un senso di sicurezza e abbondanza. Stiamo attraversando un’epoca difficile che appare ostile al benessere e alla salute. Tante persone percepiscono insicurezza e hanno paura della scarsità. Scarsità di risorse, di tempo, di affetti.

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C’è da dire che le informazioni che arrivano dai telegiornali e in generale dal mainstream sono fortemente incentrate sui pericoli e sui drammi del mondo. Chi guarda la televisione ogni giorno subisce una subdola iniezione quotidiana di violenza, guerre, crimini, tradimenti, disonestà. Questi temi, inoltre, sono quasi onnipresenti nei film di vario genere proposti al grande publico.
Questo bombardamento, a lungo andare, toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro.

Il bombardamento mediatico toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro

Negli ultimi anni la comunicazione che va in questa direzione è stata ancora più martellante e ha nutrito un forte senso di paura per il futuro. Tra il cambiamento climatico, l’inquinamento, la pandemia, la guerra, la carenza di materie prime: le leve per nutrire il senso di insicurezza e scarsità sono numerose. Di conseguenza tanti si sentono sempre più lontani dal provare un senso di sicurezza e abbondanza.

Agire per avvicinarsi a sicurezza e abbondanza

Ci sono vari livelli ai quali si può intervenire quando stiamo male, come ho spiegato nell’articolo Mente sana in corpo sano, sono azioni, emozioni e pensieri.

Il primo consiglio che voglio dare a te che stai leggendo e vivi questa situazione di lontananza dal senso di sicurezza e abbondanza riguarda il primo livello, quello delle azioni.
Si tratta di un modo per cambiare ciò che accade all’esterno. Anche se questo è il livello più superficiale, io non lo trascurerei.
L’azione fondamentale che ti consiglio è: scegli con cura il tuo nutrimento emotivo, intellettuale e spirituale. Con questo obiettivo, ti invito a spegnere definitivamente la televisione. È un metodo molto efficace. Se però questa risoluzione ti sembra troppo drastica, potresti decidere almeno di non accendere lo schermo (grande o piccolo che sia) ogni giorno.
Come sottolineato, questa è un’azione che modifica l’esterno. Personalmente prediligo di più il lavoro sull’interno. Vediamo cosa si può fare per modificare ciò che accade in noi e che predispone a sentirci sempre più lontani da sicurezza e abbondanza.

Cambiare la predisposizione interiore

Se mi conosci già sai che il mio modo di affrontare una situazione difficile, qualunque essa sia, parte dal comprendere cosa va a smuovere in me quella situazione. Suggerisco sempre di chiedersi: perché vivo in modo così stressante questo evento? Eppure, un’altra persona, accanto a me, rimane serena, nonostante il contesto sia lo stesso.

Cercando di definire una domanda più precisa e in linea con il tema di questo articolo è importante chiedersi:
Come posso evitare di essere un terreno fertile per l’attecchimento del senso di insicurezza e scarsità?
Meglio ancora, trasformiamo la domanda in modo positivo, facendo un esercizio molto benefico per il dialogo interiore. Chiediti piuttosto: come posso diventare terreno molto fertile per lo sviluppo del senso di sicurezza e abbondanza?

Il mio obiettivo è quello di fornirti degli spunti di riflessione e dei suggerimenti per trasformare te stesso in un terreno fertile, così che cresca rigoglioso in te il senso di sicurezza e di abbondanza.

Il potere di stare meglio

Sotto molti punti di vista abbiamo un potere quasi nullo rispetto a quello che accade intorno a noi nel Mondo. Sto parlando per esempio dei terribili conflitti in corso. Noi comuni mortali non possiamo certo prendere decisioni politiche. Lo stesso vale per l’arrivo di un nuovo virus, le disposizioni di Legge, le scelte che riguardano il commercio internazionale o le direttive per la salvaguardia dell’ambiente. Invece, abbiamo un potere enorme sul modo in cui viviamo ogni situazione.
Le emozioni sono nostre e siamo noi a crearle, non sono gli eventi esterni a essere responsabili di come ci sentiamo.

Abbiamo poco potere su quanto di brutto accade nel mondo ma abbiamo moltissimo potere su come viviamo la situazione

Una persona, nonostante sia immersa in un contesto bellissimo di pace, serenità e abbondanza, potrebbe comunque sentirsi insicura, arrabbiata e insoddisfatta. E viceversa.

Per chi soffre di insicurezza e senso di scarsità

A volte l’insicurezza è legata al presente e alla situazione reale che stiamo vivendo. In altri casi l’insicurezza riguarda il futuro ed è legata a un pernicioso stato di ansia.
Forse ti capita di fare questi pensieri. “Ce la sto facendo ora, ma ho paura di non farcela domani. Sono vivo ora ma ho paura di morire domani. Ho un tetto sulla testa e abbastanza da mangiare oggi ma ho paura di perdere tutto domani. Ho abbastanza soldi oggi per vivere e garantirmi un buon tenore di vita ma questa cosa potrebbe cambiare. Ho una relazione di coppia e una famiglia soddisfacenti ma non so se durerà”.

La prima azione da compiere è ripristinare la capacità di adattarsi. Vediamo esattamente di cosa si tratta.

Primo passo: la capacità di sapersi adattare

Come primo passo penso sia importante ripristinare la fiducia nella propria capacità di adattarsi ai cambiamenti. Se non hai fiducia nella tua capacità di adattamento, ti ricordo qualche fatto che riguarda proprio la natura dell’essere umano. Adattarsi è qualcosa che fa parte di noi. In milioni di anni, la nostra specie non si è estinta proprio grazie alla capacità di adattamento, che è intrinseca.
In ogni instante il tuo corpo, senza che tu debba minimamente intervenire, si adatta al mondo esterno. E lo stesso fa anche la tua mente, si adatta. Ci adattiamo ai cambiamenti di temperatura, allo spostamento da un luogo all’altro, alle diverse altitudini e latitudini, all’umore che si modifica e così via.

C’è però probabilmente una parte di te, che potrebbe essere rigida e paurosa e bisognosa di controllare tutto, che teme i cambiamenti. Molto probabilmente è questa parte a instillarti il dubbio di non essere capace di adattarti. Chi dà ascolto a questa voce interiore evita di uscire dalla zona di confort ogni volta che può, perché così ha l’illusione di controllare tutto.

L’insicurezza positiva e quella negativa

Da un punto di vista biologico, percepire insicurezza può essere molto utile, ad esempio nel momento in cui ci si confronta con una situazione che va al di là dei propri limiti. Questo accade quando ciò che vivi ti richiede uno sforzo esagerato, tempi troppo rapidi (o magari troppo lenti), un movimento che mette a rischio l’integrità e la salute del tuo apparato muscolo-scheletrico, oppure ancora quando qualcosa ti costringe a un lavoro che per essere svolto ti impedisce di dormire a sufficienza. Anche vivere in un ambiente troppo inquinato o conflittuale può fare percepire insicurezza.

Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti. In questo modo possiamo evitare di accettare situazioni in cui mettiamo noi stessi in pericolo.
Ecco un esempio ancora più concreto. Se soffri di vertigini devi essere in grado di rifiutare l’invito a percorrere una via ferrata che si snoda sopra a un enorme precipizio.

Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti

Attenzione: quando si lavora a livello biologico, la capacità di riconoscere i propri limiti comprende quelli superiori, certo, ma anche quelli inferiori.
Questa capacità biologica ci permette di essere in contatto con la realtà nuda e cruda. Evita che la mente ci imbrogli e che ci faccia pensare di non essere capaci di qualcosa che invece possiamo fare benissimo.

Secondo passo: ripristinare la propria integrità

Ripristinare l’integrità è uno dei tre potenziali biologici pilastri, e si va a verificare quando un terapeuta lavora con la Biokinesiologia.

Perdiamo la nostra integrità quando siamo feriti fisicamente, a causa di un taglio, una frattura, una malattia eccetera. Possiamo anche perdere la nostra integrità a vari livelli: emotivo, sentimentale, sessuale, intellettuale, sociale, spirituale.
Succede a tutti di essere feriti, non possiamo immaginare di trovare un modo di vivere che eviti qualunque ferita, anzi… Sarebbe una situazione di restrizione tale da impedire lo stesso scorrere naturale della Vita, l’espressione della nostra anima e la nostra realizzazione in questa esperienza terrestre. Un intento che si rivela distruttivo e dannoso. Come voler mettere un bambino al riparo sotto una campana di vetro.

Liberare la capacità biologica bloccata

Un obiettivo molto più costruttivo, interessante e vitale è invece quello di liberare, quando è bloccata, la capacità biologica e naturale di ripristinare la propria integrità.
Di cosa si tratta? Sto parlando della fiducia che se ti dovessi ferire, hai in te il processo naturale biologico per guarire, che agisce senza che tu debba intervenire mentalmente. Un processo che permette di guarire, di cicatrizzare, di ripristinare la tua integrità, senza problemi.
Se non ho la fiducia che il mio organismo abbia questa capacità, vivrò un senso di insicurezza profondo. In modo inconscio avrò paura di ferirmi a vari livelli, andando incontro di volta in volta agli eventi della vita.

Senza la fiducia nella tua capacità biologica di ripristinare l’integrità vivrai un senso di insicurezza profondo

Un esempio dalla Natura selvaggia

Prendiamo l’esempio di un animale selvaggio. Se un animale è ferito fisicamente non può spostarsi, andare a caccia, alimentarsi, scappare o affrontare un predatore o un altro pericolo. Non può nemmeno riprodursi. Ovviamente tutte queste limitazioni espongono l’animale a un senso di vulnerabilità, insicurezza e scarsità che sarà superato con la guarigione. Quando l’animale avrà ripristinato la sua integrità fisica, svaniranno insicurezza e altri disagi.

Per completare la spiegazione di come la perdita di integrità porti a vivere un senso di scarsità, possiamo immaginare un individuo come un secchio. Se questo secchio è bucato (cioè ha perso la sua integrità) non riuscirà a riempirsi. In queste condizioni, come sentirsi colmi, appagati e soddisfatti da quello che riceviamo?
I buchi sono le nostre ferite non guarite, non elaborate.

Mancanze che restano impresse

Conosco un cane, trovatello, a cui sicuramente è mancato il cibo. Nonostante siano passati sei anni da quando è stato adottato, ancora oggi si tuffa sulla sua ciotola e continua a chiedere da mangiare anche quando non ha più fame. Può sembrare incredibile, ma dorme addirittura abbracciato alla sua ciotola. La carenza di cibo non è più una realtà, ma questa mancanza si è impressa nella sua memoria.
Un cane che non ha memoria di scarsità di cibo o ferite che hanno alterato il suo senso di integrità, mangia, digerisce, dorme, e quando sente che il suo stomaco è vuoto, chiede da mangiare o va a caccia per procurarsi il cibo, senza “ansie”.

Dal punto di vista biologico, il processo della paura che manchi il cibo e si possa morire di fame è uguale a quello della mancanza di denaro ma anche della mancanza affettiva, di amore, di supporto, di riconoscimento. È sempre una memoria che si esprime, indipendentemente dalla situazione reale presente.

Immaginiamo che la persona o l’animale sia come un secchio. Se è bucato, non si può riempire. Aumentare la quantità di cibo nella ciotola del cane trovatello non avrebbe nessun effetto sul comportamento del cane. Mettere a disposizione della persona abbondanza di denaro, amore, sostegno, riconoscimento o qualunque altra cosa di cui sente la mancanza non basterà. Non sarà mai sufficiente a trasmettergli un senso di abbondanza e completezza.
Serve prima di tutto lavorare sul ripristino dell’integrità del secchio, perché torni a essere stagno. Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza.

Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza

Gli approcci terapeutici efficaci

Puoi utilizzare qualunque approccio terapeutico che permette di elaborare le tue ferite emotive, i drammi passati che hanno lasciato memorie. Amo lavorare alla radice e privilegio gli strumenti che permettono di farlo sia sul passato personale sia sul passato genealogico.

La Biopsicogenealogia come strumento per favorire sicurezza e abbondanza

Quando una persona vuole lavorare sul suo senso di insicurezza e scarsità e così aprirsi all’esperienza di sicurezza e abbondanza, cerchiamo quelli che possiamo immaginare come “buchi”.
L’indagine che si fa in biopsicogenealogia avrà come obiettivo ritrovare e guarire le ferite e le situazioni vissute nel passato personale o genealogico, che hanno lasciato quel senso di insicurezza e/o scarsità. Affinché questa memoria del passato possa lasciare spazio alla situazione reale presente.
Spesso, la consapevolezza della ferita permette di elaborala e di conseguenza avviene la trasformazione.

Un altro strumento altrettanto interessante, la Biokinesiologia

Quando invece la consapevolezza della ferita non basta a guarirla, serve uno strumento che ha accesso alle memorie inconsce della persona. Nella mia esperienza la Biokinesiologia è molto interessante.
Abbiamo visto che essere capace di adattarsi ai cambiamenti, conoscere e rispettare i propri limiti, ripristinare la propria integrità, sono potenziali biologici che, quando liberi di esprimersi, favoriscono il senso di sicurezza e abbondanza. Come dicevo, la Biokinesiologia è uno strumento che permette di liberare i potenziali biologici bloccati.
Seguendo le indicazioni del corpo e attingendo alle memorie inconsce, la Biokinesiologia permette di liberare emozioni bloccate che impediscono di attingere e esprimere un potenziale biologico specifico.
È il corpo a portarci sulla linea del tempo nel nostro passato personale e attraverso quello dei nostri antenati, per scoprire e sciogliere le emozioni prioritarie e dominanti bloccate, che impediscono di vivere il senso di sicurezza e abbondanza.

Agire nuovamente sull’esterno

Quando avrai lavorato su di te perché il tuo terreno sia fertile al senso di sicurezza e abbondanza, in un secondo momento, potrai capire se realmente c’è carenza di cibo, amore, sostegno, denaro, riconoscimento o qualunque cosa di cui senti la mancanza oggi.
Se si verifica che realmente c’è una carenza, potrai (a seconda della situazione) adattarti, agire, scappare o muoverti per cambiare la situazione e sarai efficace.

Dopo aver lavorato su te stesso saprai se davvero c’è una mancanza nella tua vita

In conclusione…

Attraversiamo nel corso della vita un’infinità di eventi. Quando lavoriamo unicamente sulle situazioni esterne, tralasciando il lavoro su noi stessi, ci ritroviamo a spendere tutta la nostra energia su quanto accade al di fuori di noi. Il mondo esterno è qualcosa di mutevole e che ha infinite evoluzioni possibili, che portano altri problemi e rendono necessaria altra energia, altra creatività, altre soluzioni specifiche.

Nel corso della vita, però, c’è un elemento che sarà sempre presente: te stesso. Conoscere se stessi e lavorare su di sé, oltre a essere possibile per chiunque, è un investimento che permette di raccogliere benefici utili per il resto della vita.