Come prevenire le malattie, fin da oggi

Come prevenire le malattie, fin da oggi

Prevenire le malattie è possibile? Ci sono delle azioni che possiamo mettere in pratica e che aiutano concretamente a fare quella che comunemente viene chiamata prevenzione?

La buona notizia è che ci sono delle cose che puoi fare per raggiungere questo obiettivo, che poi coincide con quello di coltivare salute e benessere, di cui spesso parlo in questo blog. Probabilmente, però, queste azioni non sono quelle che pensi e sono piuttosto lontane da quanto il sistema sanitario comunemente chiama “prevenzione”. Ma facciamo un passo alla volta, partendo da qualcosa che tutti conosciamo bene.

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La medicina convenzionale occidentale, così com’è organizzata oggi, è essenzialmente una medicina d’urgenza o comunque che interviene quando compaiono dei sintomi. Il medico non è quel professionista che possiamo consultare con l’obiettivo di mantenerci in buona salute.

In effetti, prendi un appuntamento con il tuo medico di base quando non ti senti bene oppure quando il tuo corpo, in qualche modo, ti sta parlando attraverso la manifestazione di sintomi che non sai interpretare. Talvolta se il sintomo ti sembra chiaro chiami direttamente uno specialista per indagare più a fondo nella patologia che pensi di avere. Tutto questo però non serve a prevenire le malattie.

La medicina occidentale convenzionale è soprattutto una medicina d’urgenza

Manca una cultura della prevenzione

Spesso mi stupisco di sentire utilizzare la parola prevenzione, quando invece quello che la medicina convenzionale occidentale fa non è vera prevenzione. Tutt’al più è diagnosi precoce, come nel caso degli screening per verificare lo stato di alcuni organi o tessuti. Oppure si tratta, piuttosto, di vere e proprie terapie farmacologiche, come le statine per contrastare il colesterolo, che possono provocare diversi effetti collaterali (per fare un esempio).

In occidente, non c’è una vera cultura della prevenzione come accade invece in oriente, grazie alla medicina cinese o ayurvedica. La prevenzione è proprio il focus di queste medicine che ho citato. Al punto che anni fa, quando ho studiato la medicina cinese, ho imparato che i medici cinesi tradizionali si facevano pagare per prevenire la malattia, mentre lavoravano gratuitamente nel momento in cui il loro paziente si ammalava. Esiste anche un detto che conferma questo approccio: Curare la malattia è come iniziare a scavare un pozzo quando si ha sete.

La soluzione nel cambiamento

Penso che l’assenza dell’integrazione di un approccio realmente preventivo sia una delle cause della saturazione del sistema sanitario attuale. Proprio poiché la cura si attiva quando le persone si ammalano, il sistema non riesce più a rispondere alla domanda. Si parla tanto di spese sanitarie troppo alte e di problemi di budget che non consentono di assumere ulteriore personale sanitario, mentre rivalutare dove e come si investe potrebbe rappresentare una svolta sana ed efficace.

Sottolineo intanto che prendere in cura una persona malata per riportarla a un equilibrio salutare è molto più dispendioso, economicamente ed emotivamente (sia per i professionisti sia per i pazienti) che aiutarla a mantenersi in salute.

In questo articolo vorrei presentarti un aspetto di quello che dal mio punto di vista rappresenta la vera prevenzione. Voglio offrirti spunti utili per riprendere in mano il potere sulla tutela della tua salute, partendo dalla conoscenza di te stesso. Così potrai prevenire le malattie. Ma prima, ecco qualche informazione di base sul funzionamento dell’organismo, per comprendere gli strumenti che voglio darti.

Poiché la cura si attiva quando le persone si ammalano, il sistema sanitario non riesce più a rispondere alla domanda

Tre livelli: cerebrale, emotivo e organico

In una situazione del tutto normale, ad ogni istante il cervello riceve ed elabora miliardi di informazioni. Nel caso tu abbia tendenza a sottovalutare l’attività del tuo cervello, ti fermo subito: sappi che mette in gioco 1 miliardo e mezzo di connessioni ogni nanosecondo. Nel momento in cui ricevi un’informazione, miliardi di cellule si attivano e qualcosa si muove in te: occhi, bile, dita, bocca… Di fronte a ogni stimolo sono tre i livelli dell’organismo che vengono messi in gioco: cerebrale, emotivo e organico.

Una zona del cervello si attiva per ricevere ed elaborare l’informazione. Si vive una percezione, in modo cosciente oppure no, e parte immediatamente un ordine neurologico per stimolare l’azione di una parte del corpo specifica: un muscolo, una ghiandola, il tessuto di un organo eccetera. Le informazioni arrivano a volte in modo percepibile dalla coscienza come, ad esempio, il canto di un uccello, il sorriso di una persona, la sensazione della pioggia sul viso, il gusto di un biscotto, e così via. Altre volte sono inconsce, come i pollini nell’aria, un dettaglio nel nostro campo visivo sul quale non stiamo portando l’attenzione, i nutrimenti contenuti nel biscotto, un’informazione vibrazionale eccetera.

Di fronte ad ogni informazione ricevuta, l’organismo vive un percepito biologico e/o emotivo, anch’esso a volte conscio, a volte inconscio. L’organismo, per esempio, percepisce, senza bisogno che il fatto arrivi alla coscienza, se un cibo è tossico o vitale. Percepisce anche se un suono è piacevole o disturbante… In questo caso a volte il suono arriva alla coscienza, e così anche il percepito, altre volte tutto succede nella totale inconsapevolezza.

Le azioni biologiche automatiche

La ricezione dell’informazione crea contemporaneamente delle azioni biologiche automatiche. Appena ricevuta un’informazione, infatti, il cervello lancia degli stimoli nervosi ad alcune parti del corpo. A volte queste azioni e i loro effetti sono visibili: ad esempio passare la mano nei capelli, grattarsi l’orecchio, starnutire.

Altre volte, invece, sono del tutto invisibili. Per esempio, la contrazione dello stomaco, la dilatazione di un’arteria, il rallentamento del battito cardiaco, l’aumento della produzione di ormoni della tiroide e così via. Ad ogni stimolo, per riassumere, corrispondono un percepito e un’azione biologica. Stiamo parlando di miliardi di stimoli al secondo, cioè miliardi di processi e di triadi percezione-vissuto emotivo/biologico-azione.

Cosa accade in una situazione di stress breve e contenuto?

Gli stimoli, nel nostro vissuto quotidiano, sono più o meno intensi e lo stesso vale per le nostre reazioni. In una situazione di stress contenuto, quasi equiparabile a quello fisiologico e necessario per essere svegli e reattivi giorno dopo giorno, il corpo funziona in modalità di routine. Si alternano momenti di stress e di rilassamento. Tutto rimane nell’ambito della normalità.

Di alcuni momenti di stress siamo consci. È il caso, ad esempio, dello stress legato al fatto di guidare nel traffico e vedersi sbucare di fronte un’auto all’improvviso. Non appena gestito l’imprevisto ci rilassiamo. Lo stesso vale per lo stress che vivi quando devi parlare in pubblico e spiegare concetti complessi: se ti è capitato, sai che ti rilassi non appena vedi che chi ti sta di fronte capisce e ti sta seguendo, oppure quando finisce l’intervento. Anche lo stress per un figlio che vive un momento di difficoltà funziona in questo modo. Quando il momento è superato si torna in uno stato di rilassamento. Gli esempi che potremmo fare sono infiniti.

Gli stimoli, nel nostro vissuto quotidiano, possono essere più o meno intensi e lo stesso vale per le nostre reazioni

Un processo bifasico

In questa alternanza di stress e rilassamento riconosciamo un processo bifasico, cioè in due fasi. La prima corrisponde a quella dello stress attivo. In base al tipo di vissuto, durante questa fase l’organismo aumenta o diminuisce la funzione di un organo o di una ghiandola, per esempio. Può anche aumentare o diminuire il numero di cellule di un tessuto specifico. Tutto dipende dalla tipologia di vissuto psico-biologico e dall’origine embriologica del tessuto coinvolto.

Durante la seconda fase, la fase di vagotonia (cioè quando ti rilassi perché non sei più stressato a causa dell’evento che aveva generato tensione), l’organismo compie l’azione opposta rispetto a quella osservata in fase attiva. In pratica: se durante la fase di stress attivo il corpo aveva aumentato la funzione di un organo o di un tessuto, nella successiva fase di rilassamento la funzione tornerà al livello normale, a volte calerà addirittura drasticamente.

Se durante la fase di stress attivo l’organismo aveva aumentato il numero di cellule fino a creare un ispessimento o una massa, in fase di rilassamento il corpo eliminerà queste cellule, diventate oramai inutili. Viceversa, quando durante il momento di stress vengono eliminate alcune cellule, assottigliando un tessuto o creando delle ulcere, in fase di vagotonia il tessuto ricrescerà e le ulcere saranno richiuse.

L’intensità dei sintomi della fase di riparazione

La seconda fase, quella di vagotonia, che possiamo identificare come una fase di riparazione, è una fase calda. Essa cioè è accompagnata da edemi e infiammazione. Paradossalmente, spesso i dolori o l’infiammazione emergono proprio quando ci rilassiamo, dopo un periodo di stress. Ti è mai capitato di ammalarti proprio nei primi giorni delle vacanze, dopo mesi di sovraccarico lavorativo? Oppure hai sofferto di mal di testa nel fine settimana, dopo giorni di tensione?

Spesso, i sintomi infiammatori della domenica sera o del lunedì sono correlati a una situazione vissuta in modo stressante durante il weekend. Viceversa, i sintomi dei giorni di riposo sono correlati a una situazione vissuta in modo stressante durante la settimana lavorativa. Le reazioni infiammatorie ed edematose a seguito di stress brevi (di pochi secondi o minuti) e poco intensi, sono di fatto asintomatiche. Non sentiamo sintomi specifici oppure sono così lievi ed effimeri che passano inosservati. Ma non è sempre così.

Spesso dolori e infiammazione compaiono proprio quando ci rilassiamo

A una ricezione intensa corrisponde una reazione intensa

Di fronte a una situazione in cui lo stress generato è elevato e duraturo (giorni, mesi, anni…), l’organismo adatta comunque il suo funzionamento. Le reazioni organiche però diventano più intense e persistenti. Da qui dipende ciò che percepiamo come sintomi, che a volte coinvolgono vere e proprie modifiche organiche come masse, addensamenti dei tessuti o ulcere.

Tali cambiamenti non solo li sentiamo, ma possiamo anche osservarli grazie agli esami clinici (auscultazione, palpazione e simili) e paraclinici (esami biologici di laboratorio, esami di diagnostica per immagini come radiografie, ecografie, tac eccetera). Che lo stress sia lieve e breve o intenso e duraturo, si ripete sempre il paradigma dei 3 livelli: cerebrale, emotivo e organico.

Se la fase di riparazione in seguito a uno stress lieve e breve è spesso asintomatica, quella in seguito a uno stress intenso e duraturo può essere molto sintomatica. Si, la fase di riparazione è solitamente la fase la più difficile da vivere, poiché si hanno maggiori sintomi come dolori, infiammazione, limitazioni funzionali. Al di fuori dei check-up a cui potresti aver l’abitudine di sottoporti in assenza di sintomi, questo è il momento in cui di solito ti preoccupi e prenoti delle indagini aggiuntive. Magari in questa fase vengono anche diagnosticate delle malattie.

Non sapendo che questi sintomi fanno parte di un processo sensato, pazienti e curanti si possono spaventare. Di conseguenza, capita che i sintomi e le diagnosi portino le persone a vivere nuovi stress intensi e duraturi, che scatenano ulteriori reazioni del corpo. Si può così entrare in un circolo vizioso dovuto alla mancanza di consapevolezza e alla paura della malattia e dei suoi sintomi.

Di fronte a uno stress elevato e duraturo le reazioni organiche diventano più intense e persistenti, sono ciò che chiamiamo sintomi

Prevenire l’intensità e la durata della fase attiva di stress

La fase di riparazione da sola non può esistere. Accade solo come conseguenza alla fase attiva di stress e si manifesta quando la persona finalmente esce dalla situazione stressante. Una volta superato lo stress, ciò che accade come conseguenza non può essere impedito.

Per prevenire le malattie e cioè abbassare l’intensità dei sintomi nella fase di riparazione, serve agire a monte, con l’obiettivo di limitare la durata e l’intensità dello stress vissuto in fase attiva. A questo scopo, un aiuto concreto nel quotidiano ha a che fare con la capacità di saper accogliere le proprie emozioni e lavorare sull’accettazione di sé e di qualunque evento accada. Poi serve agire per favorire tutto quello che permette di rispettare se stessi e vivere una vita in armonia con i propri bisogni e i propri valori.

Sto parlando di una vita in armonia con il proprio Essere profondo. Rispettare i propri ritmi, avere cura dei propri bisogni fisiologici, conoscere se stessi, saper comunicare e creare relazioni armoniose, lasciare scorrere la vita dentro evitando di ostacolare il proprio movimento vitale interiore, come racconto anche qui. Da tutto quanto ho elencato, diventa evidente che quando aiuto le persone a crearsi una vita armoniosa, non sto affatto dimenticando il mio essere medico al servizio della salute.

Il problema della disconnessione

Spesso ci adattiamo alle situazioni e ai bisogni degli altri perché non siamo più connessi a noi stessi, ai nostri bisogni e ai nostri desideri profondi. Quando ti succede questo non sei molto centrato e vivi in balia degli accadimenti e degli altri. È come lasciare il timone della tua vita al caso.

In tali condizioni, non stai realizzando il tuo potenziale e non metti la ricchezza della tua unicità al servizio degli altri. La vita perde parte del suo senso. Diventa un insieme di obblighi che potresti affrontare come un automa e perdi la grande opportunità di vivere nella gioia.

Poiché non ascolti più te stesso, dimentichi anche di soffermarti sullo stress e sulle varie tensioni vissute. Non ti accorgi di essere in fase attiva di stress e di conseguenza non cerchi nemmeno soluzioni, così la situazione stressante si prolunga. Il corpo, invece, è sempre connesso alla realtà. Sente tutto lo stress e il disagio che attraversi, e agisce per adattarsi e sopravvivere.

Quando non si realizza il proprio potenziale la vita perde parte del suo senso

Cosa fare, invece, per prevenire le malattie e vivere meglio?

Spesso è in qualche modo necessario vivere situazioni insopportabili per ricevere la scossa che permette di capire che è il momento di cambiare. Il cambiamento inizia mettendosi al centro della propria vita.

Un cambiamento che prima di tutto è interiore, perché riprenderai ad ascoltarti, ad accogliere ed esprimere le tue emozioni, a rispettare te stesso, a farti rispettare dagli altri e soprattutto a creare situazioni in sintonia con i tuoi valori. In questo modo getterai le basi per l’espressione del tuo potenziale di gioia, salute e serenità. E potrai prevenire le malattie.

Certamente il mio consiglio è quello di non aspettare una situazione estrema. Molto meglio iniziare prima un percorso per recuperare la legittimità di mettersi al centro della propria vita, riprenderne il timone e lasciarsi guidare dalle proprie sensazioni. Saranno allora gioia e leggerezza, piuttosto che pesantezza e insoddisfazione, a guidarti e inviarti i segnali “giusti”, quelli che comunicano se avvicinarti o allontanarti da certe situazioni, persone, scelte lavorative…

La strategia che ti consiglio per prevenire le malattie consiste nel diventare molto sensibile ai segnali del tuo corpo. Ciò significa ascoltare ad esempio la tensione, le contratture, le intolleranze. Non per nutrire l’angoscia e la paura della malattia ma al contrario per agire in modo tempestivo e uscire da situazioni sgradite.

Potrai così limitare l’intensità e la durata della fase di stress. Di conseguenza sarà molto meno duratura e intensa la fase di riparazione, l’intensità e la durata dell’infiammazione e degli edemi. Quindi saranno meno intensi i sintomi fisici ed emotivi nel complesso.

Ti auguro belle scoperte e sempre maggiore gioia e serenità nel sperimentare la vera prevenzione, quella che include la salute, il benessere e l’espressione del proprio potenziale.

Marea emotiva e dinamica della folla: sentirsi trascinati

Marea emotiva e dinamica della folla: sentirsi trascinati

La pandemia di Covid-19 ci ha messo di fronte a una marea emotiva collettiva fuori dal comune. Dopo la fase di sbandamento totale iniziata con i primi di marzo 2020, quando paura e impotenza predominavano perché non si sapeva cosa stava accadendo, le cose non sono molto cambiate.

La paura imperversa ancora. Nonostante la ricerca, l’evoluzione favorevole delle conoscenze sul virus, i consigli di esperti di grande esperienza e una situazione sanitaria sotto controllo. La folla, fomentata dalla maggioranza dei media tradizionali, sembra aver intrapreso un percorso inarrestabile e indipendente. La massa, quando si parla di Covid-19, procede come uno tsunami inarrestabile, indifferente alla realtà dei fatti. Ed è allora che la marea emotiva si ingrossa.

 

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Si tratta di un movimento potente che ha scatenato e scatena ancora azioni e reazioni che sarebbero state giudicate insensate dalla maggioranza della popolazione mondiale appena venti mesi fa.

La paura, cattiva consigliera

La paura non è mai una buona consigliera. Prendere decisioni nel bel mezzo di un attacco di panico collettivo è una pessima idea. Perché? Il panico restringe il nostro campo visivo, focalizzando l’attenzione sul problema e facendoci perdere la visione d’insieme. Il panico dettato dalla marea emotiva spinge a reagire in modo frettoloso, portando ad azioni altamente controproducenti, che rischiano di essere molto più dannose dell’oggetto stesso che ha scatenato il panico.

La confusione e l’incoerenza che hanno portato a lockdown, chiusure forzate e isolamento, propugnati attraverso messaggi mutevoli e contraddittori da parte delle autorità, mi ha lasciato senza parole. Continuavo a chiedermi cosa sta succedendo? Com’è possibile che tutto questo accada in uno stato ufficialmente democratico?

Prendere decisioni nel bel mezzo di un attacco di panico collettivo è una pessima idea

L’articolo di Foster, Frijters e Baker

Mi è capitato, recentemente, di leggere un articolo di Gigi Foster, Paul Frijters e Michael Baker, autori del libro The Great Covid Panic. Assieme a letture sulla manipolazione delle masse, che avevo già fatto in passato, questo articolo mi ha aiutato in modo significativo a capire un aspetto importante della situazione in cui siamo stati bruscamente catapultati da febbraio/marzo 2020. Il fenomeno è conosciuto come dinamica delle folle e mi fa piacere condividere con te su questo blog alcuni concetti importanti che lo riguardano.

Ti invito anche a leggere l’articolo per intero (è in inglese). In questo primo intervento sul tema mi concentro sulla perdita di logica e coerenza che può causare la dinamica delle folle. Nelle prossime settimane condividerò con te un riassunto dell’articolo originale e lo commenterò, per aiutarti a riconoscere e comprendere meglio il fenomeno della dinamica delle folle.

Un aiuto dalla storia

Troviamo, nel passato dell’umanità, alcune situazioni paragonabili a quella scatenata a inizio 2020 dal nuovo coronavirus. La storia, quindi, rende possibile identificare e studiare il fenomeno del comportamento collettivo delle folle. Nonostante le teorie del complotto, che attribuiscono la responsabilità di questa e altre situazioni alle manipolazioni di un’élite affamata di potere, è interessante capire come la dinamica delle folle non implichi obbligatoriamente l’esistenza di un genio del male che dà il via al processo. Non serve che ci sia qualcuno che manipola la folla e la fa muovere al pari di un burattinaio. Anzi: questo fenomeno può essere di fatto prodotto dall’insieme della popolazione, senza che intervenga alcun controllo da parte di singoli o sottogruppi.

Il fenomeno della folla folle può essere prodotto dall’insieme della popolazione senza alcuna regia occulta

E nel caso ci fosse realmente un’élite affamata di potere e non solo una marea emotiva dietro quanto accade, servirebbe comunque la complicità (consapevole o meno) di tantissime persone, perché un eventuale piano di sottomissione e controllo fosse realizzabile.

Questa consapevolezza, a mio parere, aiuta a recuperare la valenza e il potere del singolo individuo; cosa che può favorire un’uscita più rapida dalla situazione distopica che stiamo vivendo. Come sempre, il mio intento è, grazie alla conoscenza di sé, quello di aumentare la consapevolezza di ciascuno e contribuire alla creazione di un mondo di Salute. Un mondo in cui ogni persona sia libera di esprimere pienamente il proprio potenziale.

Cosa c’è alla base dell’incoerenza

Da quando è scoppiato il “bubbone coronavirus” abbiamo subìto provvedimenti pieni di incoerenza, controproducenti, indifferenti a una realtà più ampia e complessa.

La dinamica delle folle e la marea emotiva che la accompagna possono spiegare gli elementi più strani di questa situazione di grande panico, così come il fatto di promuovere misure autodistruttive, nonostante esperienza e studi ne dimostrino l’inutilità o addirittura la nocività.

Facciamo degli esempi

Perché ci è stato vietato di uscire di casa durante il lockdown?

Le conoscenze di fisiologia di base, ampiamente condivise tra gli specialisti, ci insegnano che la luce del sole permette, tra le altre cose, di mantenere una buona concentrazione di vitamina D nell’organismo. Si tratta di un elemento essenziale a mantenersi in salute. Servono davvero degli studi per confermare che è utile favorire la salute anche nel caso di questa epidemia? Oggi diverse ricerche dimostrano che la carenza in vitamina D è un fattore di rischio per lo sviluppo di una forma grave di Covid-19.

Perché è stato alimentato il terrore attraverso forme di comunicazione allarmistiche?

La paura, si sa, è in grado di abbassare le difese immunitarie. Chi non si è protetto dalla comunicazione terroristica ha subito ogni giorno la conta dei morti e dei casi positivi, senza poter discernere tra persone con solo tampone positivo al Sars Cov 2, persone malate paucisintomatiche, malati gravi e quelli in rianimazione e così via. La comunicazione ufficiale ha alimentato la paura dell’untore e il senso di colpa, favorendo la separazione sociale. Sono state utilizzate immagini che hanno portato a interpretazioni iperboliche della realtà. Se l’obiettivo è la salute, serve informare le persone, non terrorizzarle.

Perché, ancora oggi, di fronte ai primi sintomi di Covid-19, vige il protocollo ministeriale “vigile attesa e paracetamolo”?

È dimostrato che il paracetamolo, abbassando la febbre e il glutatione, una molecola con attività antiossidante, impedisce una reazione efficace del corpo e potenzia le reazioni infiammatorie.

Le domande sono tantissime…

Perché viene impedito l’uso di farmaci conosciuti da decine di anni?

Si tratta di farmaci che hanno dimostrato la loro efficacia contro la Covid-19 e hanno un ottimo rapporto rischi/benefici. Come mai si è preferito costringere le persone sane a farsi inoculare un prodotto che di fatto è sperimentale e del quale non si sa niente degli effetti avversi a medio e lungo termine?

Perché ancora oggi è obbligatorio in tanti contesti l’uso della mascherina?

La mascherina non solo è inutile contro la diffusione del virus per le persone asintomatiche ma anche dannosa? Servono studi scientifici per dimostrare che la mascherina, coprendo naso e bocca ostacola una buona ossigenazione del corpo e una buona eliminazione di tossine respiratorie? Serve ricordare che l’ossigeno è il primo bisogno vitale? Dobbiamo anche ricordare che il linguaggio non verbale arricchisce la comunicazione e le relazioni sociali?

La follia dietro i provvedimenti

Perché imporre tutte queste misure liberticide che portano solo segregazione e crisi sociale, senza nessun beneficio sulla situazione sanitaria, quando più dell’85% della popolazione che entra in contatto con il virus rimane totalmente asintomatica, il che significa totalmente sana?

Quali misure dovremmo prendere allora contro l’inquinamento atmosferico, visto che provoca in Europa ogni anno 400000 decessi prematuri?

Perché è stato vietato, e chi lo fa rischia di farsi linciare, di richiedere la precisazione “morto di Covid-19” o “morto con test positivo al Sars-Cov-2”?

Come mai il Green Pass viene rilasciato sulla base della vaccinazione e non sull’immunità acquisita naturalmente dopo la malattia, che per esperienza è più affidabile e duratura?

Come può essere accettato, come se fosse normale, l’obbligo di fare un trattamento farmacologico del quale non si sa nulla a proposito di effetti a medio e lungo termine? Dov’è finito il principio di cautela?

Se l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie ha come scopo la diminuzione della circolazione del virus, come mai è stato discusso, e applicato in alcune provincie italiane, il divieto di lavorare anche online? C’è rischio di trasmissione del virus, lavorando online?

Queste sono solo alcune delle centinaia di domande che mi sono posta in questi mesi. Per capire quanto accade, partiamo dal concetto di folla. In questa prima parte sul tema vedremo insieme cos’è una folla e approfondiremo la prima caratteristica di una folla: l’ossessione comune.

Cos’è una folla?

Le folle sono gruppi che si comportano in modo folle (cioè irrazionale) secondo i loro stessi standard e principi acquisiti. Ovvero: nel momento in cui un gruppo da sano diventa una folla folle, tutti i suoi principi vengono messi da parte. Si impone una nuova verità, che spesso è contraria a quanto il gruppo credeva e sosteneva in precedenza, quando era sano.

All’interno della folla tutti i principi dei singoli vengono messi da parte

Gli osservatori di una folla sentono di essere testimoni di qualcosa che assomiglia a un gruppo di persone possedute da spiriti o demoni. La possessione demoniaca è stata usata a lungo per spiegare il fenomeno. Oggi, grazie agli studi di grandi sociologi (Norbert Elias, Theodor Adorno, Elias Canetti e Gustav le Bon) possiamo vedere le cose in un altro modo.

Tutti insieme per un’ossessione

Le folle sono grandi gruppi sociali i cui membri condividono un’ossessione e che operano attraverso una modalità emotivamente molto intensa. Ecco perché uso anche l’espressione marea emotiva.

Tre elementi distinguono le folle e le differenziano dai gruppi di persone ‘normali’, ovvero quelli che si comportano in modo razionale, pur con le naturali sfumature emotive del comportamento umano.

La caratteristica distintiva più chiara di una folla è la sua concentrazione condivisa su qualcosa. Una vera e propria ossessione comune.

La prima caratteristica di una folla è la sua ossessione assoluta per qualcosa, come una paura, un ideale, una persona

L’oggetto dell’ossessione può essere qualsiasi cosa o quasi, e non è necessario che sia reale. Il collante di una folla può essere la paura degli extraterrestri, un ideale religioso, un desiderio di vendetta, un leader carismatico e così via. Quello che motiva la folla non deve neppure essere qualcosa a cui gli individui credono o che sta loro a cuore in tempi sereni e pacifici.

Una popolazione diventa una folla quando una singola ossessione assorbe l’attenzione della maggioranza dei suoi membri, diventando l’argomento a cui tutti pensano, di cui tutti parlano. L’ossessione inoltre non è solo pubblica ma anche privata.

Un interessante déjà-vu

Quello che ti ho raccontato su come una popolazione diventa una folla ti ricorda qualcosa? Ti ricordi quanto è stato difficile nella primavera 2020, avere informazioni che non riguardassero la situazione pandemica? Quante volte ti è successo di addormentarti pensando al coronavirus e svegliarti con lo stesso tema in mente? Quante persone conosci che, ancora prima di salutarti o quasi, ti chiedono se sei vaccinato? Dove sono finiti tutti gli altri virus e batteri? E i terroristi esistono ancora o sono spariti dalla circolazione, terrorizzati dalla Covid-19? Piuttosto, tutta una serie di tematiche è scomparsa dal radar della folla e dell’onda emotiva.

Di cosa parlavamo prima di gennaio 2020, quando ci incontravamo fra amici e parenti?

Analizza i tuoi pensieri

Per concludere questa prima parte ti propongo un’autoriflessione. Se ti interessa sapere se fai parte della folla, prima di tutto valuta la varietà dei tuoi pensieri e dei tuoi obiettivi. Il tuo pensiero è dualistico o integrativo? Cioè riesci ad abbracciare la complessità della situazione con tutte le sue sfumature o la tua posizione è di tipo assolutistico? Sei PER o CONTRO, a FAVORE oppure NO? Da quanti amici o famigliari ti sei volutamente allontanato perché non pensano o agiscono come credi che sia giusto pensare e agire?

Quanto il tuo dialogo interiore e quello espresso sono pieni di virus mentali? Quanto tempo passi al giorno informandoti o parlando del tema Covid-19 e di tutte le sue conseguenze? Se succedono delle cose che non vuoi che accadano, quanta tempo ed energia stai mettendo per brontolare e quanta per creare concretamente un’alternativa?

Queste domande e le risposte che puoi dare a te stesso sono il primo passo di una consapevolezza che ritengo molto importante per recuperare la connessione con il tuo movimento interiore e per agire coerentemente con i tuoi desideri, libero dall’onda emotiva e dalla follia della folla.

Se questo tema ti sta a cuore leggi di più sulla follia della folla appena pubblicheremo il nuovo articolo.

Grasso corporeo: a cosa serve e perché fai fatica a dimagrire

Grasso corporeo: a cosa serve e perché fai fatica a dimagrire

Il grasso corporeo non è un nemico, anzi. Pensiamo a tutta una serie di animali, mammiferi come noi, che usano il grasso per sopravvivere in condizioni difficili o estreme. È il caso delle balene o delle foche monache, ad esempio. Il loro strato di grasso corporeo sottocutaneo aumenta significativamente in inverno e le protegge egregiamente dal freddo durante le immersioni.

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Nel caso degli esseri umani, storicamente, il grasso è stato percepito per secoli come simbolo di salute. Anzi, il grasso è considerato da millenni come un indicatore di prosperità e fertilità. Risaliamo agli albori della specie umana, alla preistoria. Magari anche tu ricordi qualche immagine delle veneri paleolitiche: statuette, come quella di Willendorf (23.000 – 19.000 a.C) che sono giunte fino a noi e che rappresentano una donna con grandi seni e una pancia molto prominente.

È solo nell’ultimo secolo che la magrezza è diventata sinonimo di bellezza e di salute, da alcuni decenni appena. Il periodo in cui, culturalmente, essere magri poteva significare non sopravvivere all’inverno o essere impossibilitati a procreare è stato molto più lungo. Questa informazione è scritta in profondità, nella memoria nostra e dei nostri avi.

Solo nell’ultimo secolo la magrezza è diventata sinonimo di bellezza e salute

Perché ti sto dicendo questo? Perché la nostra storia genealogica e biologica ha in sé il potere di determinare la tendenza del corpo a mantenere il sovrappeso. In questo articolo vorrei raccontarti a cosa può servire davvero il grasso sottocutaneo, scendendo in profondità nelle ragioni possibili dei chili “di troppo”. Vorrei aiutarti a comprendere perché, spesso, l’organismo oppone resistenza al dimagrimento.

Quando il corpo programma il sovrappeso

Diverse ragioni possono spingere il corpo a mantenere i chili di troppo e il grasso sottocutaneo. Tutte hanno a che fare con un trauma o un dramma, che è già avvenuto o che potrebbe avvenire e dunque viene percepito come una minaccia dall’organismo. Come ho scritto più volte nelle pagine di questo blog, il corpo è competente. Se sviluppa un sintomo o una caratteristica, in questo caso un grasso corporeo persistente che non ne vuole sapere di essere eliminato, neppure con la dieta e l’esercizio fisico, un motivo c’è.

Se il tuo corpo tende a mantenere un grasso corporeo persistente un motivo c’è

Quando vado alla ricerca delle radici del sovrappeso assieme al paziente, indago, per esempio, per capire quando (nella sua storia personale o in quella della sua genealogia) è avvenuto un dramma causato dal sottopeso. Non c’è bisogno necessariamente di risalire molto indietro nel tempo. Dimagrire può essere pericoloso anche nel ventesimo o nel ventunesimo secolo, come vedremo tra poco.

Il mio metodo, quello della Bioconsapevolezza, è sempre lo stesso, ma le risposte che troviamo e il percorso specifico che si delinea usando il metodo sono unici per ogni paziente.

Il pericolo rappresentato dal sottopeso

Il sottopeso, cioè la mancanza di sufficiente grasso corporeo, può essere la concausa di una morte o di una malattia debilitante. Questa affermazione potrebbe lasciarti un po’ perplesso. In un mondo in cui non si fa altro che inseguire la magrezza, come potrebbe il sottopeso rappresentare un pericolo?

Se lotti da una vita contro il sovrappeso, essere magro ti sembrerà sicuramente un grande vantaggio. Ma prova a cambiare punto di vista. Pensa ai bambini appena nati.

Il sottopeso del neonato

Nei laboratori Peso Forma che organizzo, quando chiedo ai partecipanti quanti di loro erano sovrappeso alla nascita, pochi alzano la mano. Invece, quando domando quanti di loro sono nati sottopeso, non è raro che almeno la metà dei partecipanti alzi la mano. Come mai un bambino che nasce sottopeso dovrebbe diventare un ragazzo o un adulto sovrappeso?

Come mai un bambino che nasce sottopeso dovrebbe diventare un ragazzo o un adulto sovrappeso?

Il sottopeso obbliga un neonato a un ricovero più o meno lungo in ospedale e spesso provoca la separazione del bambino dalla madre. Questa situazione crea dolore e ansia per la salute e la sopravvivenza, in tutta la famiglia. Per evitare che tutto questo dolore si ripeta, si può creare un programma biologico opposto al dimagrimento: il sovrappeso.

Nel caso dei neonati è importante ricordare che un bambino può uscire dall’ospedale solo quando si interrompe il calo ponderale fisiologico e c’è un aumento di peso, fino al raggiungimento della soglia considerata sufficiente a sopravvivere senza il controllo costante dei medici. Di conseguenza ingrassare ed evitare di dimagrire, oltre a rassicurare genitori e personale sanitario, permette al bambino di andare a casa più velocemente. Una volta messo un po’ di grasso corporeo addosso, il bambino potrà finalmente stare beatamente a contatto con il seno caldo e protettivo di una madre rasserenata.

Ecco che il programma biologico che consente di ingrassare velocemente e dimagrire solo a fatica ci sembra improvvisamente sensato.

Il sottopeso della persona ammalata

Facciamo ora un esempio, che nasce direttamente dalla mia esperienza di terapeuta. Un paziente, che chiameremo Luca, si ricorda benissimo che il suo adorato nonno ha iniziato a stare male al momento dei pasti. Aveva poco appetito e faceva fatica a digerire. A volte spariva in bagno per vomitare. I momenti di condivisione gioiosa si erano fatti sempre più rari man mano che il nonno dimagriva. L’anziano era diventato debole e fragile, poi era finito in ospedale per non tornare mai più… Mangiare in abbondanza e mantenersi in sovrappeso, per il Luca adulto che ho conosciuto io, sono azioni inconsce molto rassicuranti. Dietro al suo sovrappeso c’è tanto amore per il nonno. È come se Luca dicesse: “Mangio e mantengo dei chili di troppo per te, nonno. Perché tu possa tornare dall’ospedale e giocare di nuovo con me”.

Il sogno di tante persone in sovrappeso è quello di dimagrire progressivamente in modo spontaneo, cioè senza nessun impegno faticoso. Il dimagrimento spontaneo e il sottopeso però, possono essere associati al ricordo doloroso, a volte inconscio, della malattia di una persona amata.

Il dimagrimento spontaneo e il sottopeso vengono associati alla malattia di una persona amata

Non è raro vivere, nell’infanzia, l’ansia e la preoccupazione per una persona amata che si ammala. Quello che il bambino vede e nota è, spesso, proprio la debolezza e il dimagrimento della persona cara. Non conoscendo la causa della malattia, il bambino può solo immaginare che dimagrire facilmente ed essere sottopeso sia pericoloso. Di conseguenza, niente di più facile per il suo organismo che creare un programma di sovrappeso e difficoltà a dimagrire.

Per chi ha una memoria di questo genere, il dimagrimento, quando anche viene concesso dall’organismo, si raggiunge solo al costo di sforzi immani, per essere sicuri che non sia dovuto a una patologia in corso.

Il programma biologico si tramanda

Ora c’è una cosa importante che va interiorizzata per comprendere quali traumi e drammi possono avere potere molto a lungo, tramandandosi di generazione in generazione. Quando qualcosa funziona da salvavita lascia un’impronta nella memoria talmente forte e radicata da trasmettersi alla discendenza. Come fare a capire se questo è il tuo caso e se il grasso corporeo che ti porti addosso e di cui non riesci a liberarti è lì perché il tuo corpo lo considera un benefico salvavita?

Forse il grasso corporeo che ti porti addosso è lì perché il tuo corpo lo considera un salvavita

Le risposte sono dentro di te

Potresti aver bisogno di aiuto da un professionista per indagare nel tuo passato o in quello dei tuoi predecessori. Ma c’è un esercizio che puoi fare subito, in completa autonomia, che ti consentirà di iniziare il percorso verso il dimagrimento. Chiudi gli occhi e respira profondamente per tre volte, in modo lento e consapevole. Ora immagina la tua mente mentre si fa da parte per lasciare spazio a quella parte di te, che non è razionale o conscia e che si ricorda tutto, fin nei minimi dettagli: conosce tutto di te e comprende ogni singolo aspetto della tua vita.

Fai a questa parte di te una domanda: ho mai vissuto una situazione nella quale il sottopeso mi ha causato dolore? La magrezza ha mai messo me o qualcuno che amo in pericolo di vita?

Lascia affiorare una risposta. Potresti visualizzare un’immagine, o una parola. Spesso si tratta di informazioni molto semplici e fugaci. Qualunque sia questa risposta non la giudicare, accoglila con rispetto insieme a eventuali emozioni.

Cosa fare con le risposte raccolte

Con questo articolo non voglio darti risposte preconfezionate, quello che stai scoprendo leggendo questo testo non è la soluzione completa e definitiva alle tue difficoltà di dimagrimento. Ma è un passo importante. Primo perché hai capito che il sovrappeso può essere un’azione biologica sensata in generale. Secondo perché, probabilmente, hai scoperto che il grasso corporeo è uno scudo protettivo per te, una reazione biologica sensata del TUO corpo.

Il sovrappeso può essere un’azione biologica sensata

Ecco perché fai tanta fatica a dimagrire. Il tuo corpo, ad oggi, ha bisogno del sovrappeso e dei chili di troppo. Smetti di giudicarti. E’ venuto il tempo di fare pace con il tuo peso. Non sto dicendo che, capendo i motivi dietro al tuo sovrappeso, tu debba sopportare il tuo grasso corporeo così com’è fino alla fine dei tuoi giorni. Sto dicendo che andare alla radice dei tuoi chili di troppo in modo sereno ti permetterà finalmente di alleggerirti dentro e fuori, raggiungendo risultati duraturi.

Le risposte che hai trovato rispondendo alle domande che ti ho proposto sono preziose. Puoi usarle in autonomia continuando il tuo percorso verso il dimagrimento da solo oppure chiedere un aiuto per indagare più a fondo.

Ti invito a cambiare punto di vista: il tuo corpo non è un nemico ma un alleato. Insieme potete avviarvi verso l’obiettivo di salute e benessere che desideri raggiungere.

Vuoto affettivo: cos’è, da cosa dipende, come superarlo

Vuoto affettivo: cos’è, da cosa dipende, come superarlo

Il vuoto affettivo si manifesta come una sensazione di vuoto interiore che provoca disagio, malessere e la percezione di essere incompleti. C’è chi percepisce chiaramente di non bastare a se stesso e chi invece pensa di essere inadeguato per la realtà in cui vive.

Capita a tanti di provare una sensazione di questo genere, di tanto in tanto, e di cercare di colmare quel senso di vuoto affettivo in qualche modo. Talvolta col cibo, più spesso attraverso una relazione. Se la sensazione di vuoto affettivo è rara questo articolo non è destinato specificamente a te, ma se invece ti accompagna spesso, puoi prendere in mano la situazione per capire da cosa dipende e come superarla.

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Il vuoto affettivo può avere radici profonde nella relazione con i tuoi familiari e la maggior parte delle volte ha ripercussioni più o meno importanti su tutte le tue relazioni.

Il vuoto affettivo può avere ripercussioni pesanti sulle tue relazioni

Cos’è il vuoto affettivo

Non è facile definire il vuoto affettivo e capire quali sono i suoi contorni. Spesso, si tratta di una sensazione confusa e nebulosa che ha l’effetto principale di farti sentire infelice e incompleto. Ti senti vuoto? Hai la sensazione di essere poco connesso con te stesso? Magari sei angosciato nei confronti del quotidiano e ti rivolgi all’esterno in cerca di aiuto. Speri che una relazione d’amore possa cancellare magicamente il tuo disagio.

Prima di tutto vorrei ricordarti l’importanza di conoscere te stesso per capire davvero cosa c’è che non va. Su questo blog ho già trattato il tema della dipendenza affettiva e di una delle sue principali radici, l’ideale di amore romantico che fa nascere in noi il bisogno di trovare a tutti i costi “l’altra metà”, l’individuo che possa “completarci”. Ho condiviso il mio punto di vista e l’equazione alla base di questo malinteso: 1/2 + 1/2 = 1. Abbiamo visto che per evitare la dipendenza affettiva e tutti i suoi disagi, è utile abbracciare un altro paradigma, che è 1 + 1 = 3. Si tratta di una prospettiva radicalmente diversa, rispettosa delle due individualità che compongono la coppia e in grado di moltiplicare il benessere.

Quando non ti senti a posto con te stesso il primo passo è riconoscere che qualcosa non va

Nell’ambito delle dipendenze affettive ci sono altre due situazioni interessanti da conoscere ed esplorare, che possono essere all’origine della tua ricerca di quella metà “in grado di completarti”. Ricerca che per forza di cose non porterà ai risultati sperati.

La separazione dalla mamma

Tutti noi conserviamo inconsciamente la memoria di un tempo in cui eravamo tutt’uno con un altro essere vivente. Si tratta del vissuto nell’utero materno, durante la gravidanza. La nascita e i primi mesi di vita sono momenti molto delicati in cui è importante che sia tutelato il più possibile il legame madre-bambino. Quando tutto va bene, man mano il bambino prende coscienza della sua individualità e si stacca naturalmente dalla mamma, senza traumi.

Quando invece per qualche ragione c’è una rottura improvvisa e brusca del rapporto, rimane una ferita, un vuoto. Accade quello che nella pratica delle costellazioni famigliari si chiama movimento interrotto con la madre. Il dolore che nasce da questo evento può condizionare l’intera esistenza.

Il dolore che nasce da una separazione precoce e improvvisa dalla madre può condizionare l’intera esistenza

La rottura può essere dovuta a una separazione alla nascita, ad esempio per un problema di salute del neonato, della madre o di entrambi o per qualsiasi altra ragione.

Con il passare del tempo, spesso il bambino sviluppa nei confronti della madre una relazione di amore/odio in cui l’odio è l’emozione legata al senso di tradimento per l’abbandono subito.

L’adulto che questo bambino diventerà può essere consapevole del fatto che la madre abbia subito la separazione tanto quanto il bambino. Spesso però la consapevolezza dell’adulto non basta a guarire la ferita. Non è l’adulto che va guarito: è il bambino interiore.

La separazione da un gemello

Un’altra causa scatenante da prendere in considerazione quando si cercano le cause di un vuoto emotivo riguarda i gemelli. Alcuni studi relativamente recenti hanno rivelato che una percentuale importante di gravidanze inizia in forma gemellare o plurigemellare. Gli specialisti si stanno accorgendo, con l’aiuto degli strumenti per la diagnosi e l’analisi prenatale, che le gravidanze gemellari sono decisamente più frequenti di quello che si credeva nel recente passato. I dati a disposizione parlano di una variazione compresa tra il 10 % e il 70 % delle gravidanze, a seconda delle fonti.

Questo vuole dire che una persona può essere concepita insieme a un altro essere, con il quale inizia a svilupparsi. Per ragioni varie e così precoci da non poter essere nemmeno diagnosticate, l’evoluzione di un fratello gemello si ferma e nasce un solo bambino.

A volte questo aborto spontaneo parziale si manifesta nella gravida con delle perdite di sangue nelle prime settimane di gravidanza. Sintomo che spesso viene considerato una piccola (o grande) minaccia di aborto. Altre volte al momento del parto, quando l’ostetrica verifica l’integrità della placenta appena espulsa, nota una o due piccole calcificazioni: i resti dei fratelli non sviluppati. Generalmente non si dice nulla ai genitori.

Un gemello scomparso non è un dramma di per sé. Non c’è nessun colpevole da rintracciare, nessuna responsabilità da scoprire. Perché la Vita possa fluire e uno degli embrioni possa crescere e nascere, la Natura opera una selezione.

Informazioni taciute

Il problema è che l’informazione sul gemello mai nato, quando viene tenuta nascosta, può avere un’influenza molto grande sulla vita del sopravvissuto. Questo proprio perché l’evento della perdita intrauterina del fratello non è noto e non può essere elaborato.

Le informazioni taciute che impediscono di elaborare lutti e traumi possono pesare molto nella vita dell’individuo 

Capita allora che il rapporto con il gemello mai nato lasci una sensazione di vuoto incolmabile che può durare una vita intera.

Alcuni cercano di colmare il vuoto affettivo che sentono costantemente attraverso il cibo, come spiego nel mio libro sul dimagrimento senza diete. Altri provano a combattere il vuoto affettivo con una nuova relazione. Anche a te è successo di cercare la reazione ideale in cui finalmente sentirti completo? Un solo unicum indivisibile? Questa ricerca è vana.

La ricerca dell’altra metà è destinata a fallire

Nessuno partner, amico o fratello può essere all’altezza di colmare il vuoto lasciato dall’interruzione del rapporto con il gemello quando eravamo in utero, o con la mamma quando eravamo neonati. Nessuna relazione può competere con quella inclusiva e fusionale tra madre ed embrione o tra gemelli intrauterini. Provare a colmare quel vuoto riempendolo con una nuova relazione significa restare spiazzati, amareggiati e delusi dal risultato.

Solo un lavoro su se stessi, che conduca alla radice della ferita, può consentirti di uscire dal dolore subito.

Come superare il vuoto affettivo

Hai capito che la causa del tuo malessere di fondo e della tua dipendenza dalle relazioni amorose vanno cercati nel vuoto affettivo causato da un problema con la mamma o con un gemello scomparso? Diventare realmente consapevole di quanto è successo e riconnetterti con la tua parte bambina che ha subito il trauma può aiutarti a trasformare il tuo vuoto emotivo, tanto ingombrante e indefinito. L’assenza di un gemello o della madre in un momento fondamentale dello sviluppo può trasformarsi in un grave trauma. Ma quando lo avrai compreso e accettato potrai finalmente goderti appieno tutte le tue relazioni, senza addossare a partner e amici responsabilità che non competono a loro.

La consapevolezza è il primo passo per guarire il bambino interiore

Il problema delle unità di misura

Quando c’è un trauma non risolto legato alla separazione della madre nel primo anno di vita o alla morte in utero di un gemello, l’unità di misura, che ci guida nelle relazioni e che inconsciamente abbiamo dentro di noi, è fuorviante… A guidarci cioè è l’equazione 1/2 + 1/2 = 1. Ma anche la mamma o il gemello sono altro da te: l’unità di misura corretta è 2 e non 1.

Cosa succede quando ci comportiamo cercando di soddisfare questa equazione errata? A livello generale esistono due casistiche.

Tendenza a isolarsi per proteggersi dal dolore

C’è chi cresce sviluppando la tendenza alla massima autonomia. Queste persone spesso vogliono controllare tutto. Subire la separazione o l’abbandono in un momento in cui erano tremendamente vulnerabili, ha provocato un dolore e ha lasciato una ferita tale che, inconsciamente, cercano di prevenire qualunque altro trauma di questo genere. Ecco perché questi individui provano a non avvicinarsi emotivamente a nessuno, fanno molta fatica a lasciarsi andare e ad aprirsi agli altri.

C’è chi rifiuta di aprirsi agli altri per proteggersi da eventuali nuovi traumi e ferite

Hai l’abitudine di tenere chi potrebbe piacerti a debita distanza? Non ti fidi né ti affidi completamente al partner per nessuna ragione? Sei “preparato” al fatto che le tue aspettative saranno sicuramente tradite?

Se nutri in te la convinzione che nessuno sarà mai realmente degno della tua fiducia potresti avere alle spalle un trauma legato a una separazione da tua madre in fase neonatale o da un gemello mai nato.

Dipendenza affettiva dal partner

Molti sviluppano la tendenza ad attaccarsi al partner e hanno bisogno di vivere con lui o con lei ogni momento della vita. Pur essendo una reazione antitetica rispetto a quella di chi non si avvicina a nessuno, la causa alla radice del problema è la stessa. Queste persone hanno paura di qualsiasi allontanamento, anche temporaneo. Se non sono con l’altro provano una sensazione di ansia molto intensa.

La separazione, infatti, richiama a livello inconscio quella dalla madre o dal gemello. Provi queste sensazioni? Vorresti cambiare il tuo partner in modo che risponda alle tue esigenze di simbiosi? O magari è l’altro che vorrebbe cambiare te per renderti meno dipendente? Sappi che cambiare l’altro è una missione impossibile e potenzialmente fonte di tanta frustrazione, delusione, rabbia e impotenza.

Il timore di allontanarsi dal partner anche per poco tempo può avere radici profonde

La soluzione: lavorare su te stesso

La mia proposta, in linea con altri consigli che trovi in questo blog, è quella di lavorare lì dove hai un grande potere, cioè su te stesso. La Biopsicogenealogia, le costellazioni famigliari, le Biocostellazioni, la Biokinesiologia sono tutti strumenti che possono aiutarti nella trasformazione e nella guarigione emotiva, che ti porterà a superare il trauma inconscio dell’abbandono. Come? Ognuno ha bisogno di un percorso personalizzato. Ma un buon punto di partenza per ognuno è la presa di coscienza dell’abbandono e la possibilità di abbracciare la propria parte bambina ancora traumatizzata, per comprenderla, accettarla e rassicurarla.

Ti invito a intraprendere questo percorso. Vedrai che sarà bellissimo ritrovare il valore della propria individualità per poi relazionarsi con gli altri in modo nuovo, sano, libero e appagante.