Favorire la guarigione, le azioni dei curanti

Favorire la guarigione, le azioni dei curanti

Favorire la guarigione: come professionisti dobbiamo compiere delle azioni per andare in questa direzione. Esistono anche azioni che esulano dai protocolli, dai medicinali, dalle terapie? Oggi, ho voglia di condividere con i colleghi dei consigli concreti per favorire il processo di guarigione del corpo e della mente. Nell’articolo precedente, rivolto al grande pubblico ma adatto anche ai professionisti, ho spiegato come ogni reazione di adattamento del corpo di fronte agli eventi della nostra vita sia un processo in due fasi. La prima è una fase attiva, di stress, in cui l’organismo si adatta alla situazione stressante, seguita da una seconda fase in cui l’organismo emerge dalla situazione stressante e finalmente si rilassa.

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Come ho già sottolineato la seconda fase, quella di vagotonia, è una fase “calda” che possiamo chiamare “di riparazione”: è accompagnata, quindi, da infiammazione ed edemi. Una situazione che i medici conoscono bene perché di solito è il momento in cui sono chiamati ad intervenire. Paradossalmente, spesso i dolori o l’infiammazione emergono proprio quando si esce da un periodo di stress e non durante.

Come accompagnare il processo di riparazione

Anche se possiamo dire che “i giochi” si fanno durante la fase attiva, quella di stress, ci sono comunque delle azioni che sia i pazienti sia i medici o più in generale i curanti possono compiere per guarire o comunque supportare la guarigione durante la fase di riparazione. In particolare, è possibile accompagnare il processo per limitare i disagi e la sofferenza.

La conoscenza combinata della Biologia, di questo peculiare andamento bifasico, dei processi cerebro/emotivo/organici e dei ritmi biologici permette di individuare quelle situazioni che rischiano di aggravare l’intensità dei sintomi e il circolo vizioso della paura.

Da queste conoscenze possiamo comprendere l’importanza di alcune situazioni e gesti che potrebbero essere considerati a torto cose senza grande importanza. Vediamo ora insieme quanto e perché è importante fare in modo che la persona malata si senta al sicuro e sperimenti la fiducia di poter migliorare.

Essere come un pesce fuor d’acqua

Il quadro di cui vi voglio parlare in questo articolo descrive una situazione che aumenta l’intensità dei sintomi, e può rendere la fase di riparazione un percorso molto complicato. Ciò si verifica quando la persona malata vive una situazione d’insicurezza. Più precisamente quando la persona perde i suoi punti di riferimento e percepisce di essere in lotta per la sua esistenza, come un pesce fuor d’acqua.

Il senso di solitudine in generale e più specificamente l’impressione di essere solo a lottare per la propria esistenza peggiora ulteriormente il quadro.

Quando un pesce si ritrova fuori dall’acqua, il suo organismo trattiene i liquidi nel tentativo di sopravvivere per il tempo necessario a ritornare nel suo ambiente naturale. Nelle condizioni emotive di insicurezza e perdita dei punti di riferimento, anche l’organismo umano trattiene i liquidi. Questo senso di lotta per l’esistenza e di insicurezza aumenta tutti gli edemi e l’intensità dell’infiammazione. La seconda fase, quella di riparazione, diventa allora maggiormente sintomatica.

L’insicurezza che fa reagire l’organismo è un’insicurezza viscerale. Ciò significa che entra in gioco il nostro animale interiore, non il nostro essere razionale pensante. Ci vorranno azioni concrete e pragmatiche per rassicurare l’animale interiore.
Ecco qualche esempio concreto che mette a confronto persone che si sentono visceralmente al sicuro e persone che invece si sentono come un pesce fuor d’acqua. Un trauma che comporta sofferenza ai legamenti del ginocchio che si esprime solitamente con un piccolo edema si esprimerà attraverso un edema intenso con ampio travaso quando la persona che lo subisce sperimenta una situazione di insicurezza. La stessa persona sperimenterà un dolore pari a 10 su 10 quando invece in un contesto di sicurezza e serenità il dolore potrebbe essere pari appena a 2.

Una leggera anemia diventa un’anemia severa. Un leggero sovrappeso diventa un’obesità vera e propria. Una semplice evacuazione diarroica diventa una dissenteria con fitte molto dolorose. Un piccolo disorientamento temporo-spaziale effimero diventa uno stato di costernazione costante in cui il paziente può sembrare demente eccetera. Gli esempi che possiamo fare sono infiniti.

Il senso di solitudine in generale e più specificamente l’impressione di essere solo a lottare per la propria esistenza peggiora ulteriormente il quadro

Il circolo vizioso

Oltre ai sintomi difficili da sopportare, un dolore di intensità 10 su 10, per esempio, può spaventare molto, la vita diventa più faticosa e la persona che lo prova può sentirsi concretamente in pericolo. Per non parlare della diagnosi di un’anemia severa. Diventa molto facile in questi contesti entrare in un circolo vizioso infernale, in cui i sintomi, la cui intensità è aumentata dall’insicurezza, fanno sentire prepotentemente il senso di pericolo.

Quando una situazione del genere si moltiplica per 3 o 4 sintomi e cause differenti il paziente si può sentire totalmente sopraffatto e dominato da un’angoscia viscerale.

 Il contesto dell’ospedale

Vorrei ora attirare la tua attenzione su un luogo in cui una persona malata può sentirsi molto facilmente un pesce fuor d’acqua: l’ospedale.

Per il curante che lavora da tempo in ospedale, la struttura è un ambiente conosciuto e normale. Ogni individuo che ci lavora, per esempio, conosce i codici dei colori dei camici, spesso conosce bene le altre persone impiegate, gli ambienti gli sono famigliari così come le regole comuni. Il linguaggio tecnico è condiviso. Il curante può sentirsi a proprio agio e al sicuro in questo ambiente famigliare, per lui o lei è facile orientarsi! Come accade a un pesce nel proprio ambiente.

Tutto cambia per chi arriva in pronto soccorso a causa di un problema di salute. All’insicurezza percepita per il sintomo o il problema di salute, che ha spinto il paziente a presentarsi al pronto soccorso, si somma quella di trovarsi in un ambiente molto diverso da casa. Coloro che si ritrovano in pronto soccorso o ricoverati, percepiscono spesso l’ospedale come una terra sconosciuta.

Prova a immaginare. Per la maggior parte del tempo le persone care non sono con il malato. Il personale sanitario e gli altri pazienti sono perfetti sconosciuti. Il linguaggio tecnico medicale, per chi non è dell’ambiente, è incomprensibile. La struttura ospedaliera può sembrare un labirinto, in cui spostarsi e orientarsi diventa una sfida. Rapidamente, l’animale interiore di chiunque si può sentire un profugo in terra sconosciuta e attivare l’input a trattenere i liquidi.

All’insicurezza percepita per il sintomo, in ospedale si somma quella di trovarsi in un ambiente molto diverso da casa

Cosa fare per favorire la guarigione?

L’antidoto più efficace è il senso di sicurezza. Questo aiuta a guarire e attenuare i sintomi. Bisogna agire per sentirsi e far sentire il malato come a casa, al sicuro e sostenuto.

Le conoscenze e le competenze tecniche medicali dei professionisti in ospedale, che permettono al paziente di sentirsi nelle mani di persone preparate e serie, sono ovviamente importanti. Però non bastano. Cos’altro può aiutare a far sentire il paziente al sicuro e sostenuto?

Al paziente serve un curante che abbia quelle che si chiamano soft skills. Le soft skills sono le competenze relazionali, o competenze trasversali. Hanno a che fare con il saper essere piuttosto che il saper fare. Sono abilità personali e tratti del carattere che caratterizzano le relazioni fra le persone. E sono complementari alle competenze tecniche. Queste competenze possono essere innate, ma si imparano e si acquisiscono anche, come vale per ogni insegnamento tecnico: con studio serio e dedizione. Insegnarle è parte del mio impegno professionale.

Alcuni esempi concreti per aiutare a guarire prima e meglio

Facciamo alcuni esempi per chiarire cosa aiuta il paziente a sentirsi al sicuro con l’obiettivo di favorire la guarigione. Sto parlando ad esempio di: qualità della relazione, tempo dedicato, sguardo rassicurante, sorriso complice, il semplice fatto di essere tenuto per mano in un momento di ansia, ricevere spiegazioni chiare senza paroloni medici. In pratica… Per favorire la guarigione il paziente ha bisogno di confrontarsi con curanti umani, calmi, seri ed empatici.

Si comprende allora tutta l’importanza del saper comunicare e creare una relazione di fiducia, in cui la persona si sente presa in considerazione: ascoltata, rispettata e sostenuta. Un’altra cosa che consiglio sempre è chiamare la persona malata con il suo nome/cognome evitando espressioni come “quello del 37 finestra” o “la frattura del femore della stanza 42”.

Imparare a comunicare, creare una relazione di fiducia, chiamare la persona con il proprio nome sono tutte azioni concrete per favorire la guarigione

Diventa lampante anche l’importanza di autorizzare le visite di parenti e amici rassicuranti. (A questo scopo, la salvaguardia degli ospedali di periferia, vicini al domicilio delle persone, permette ai cari di fare regolarmente visita e favorire la guarigione dei malati). Altro elemento di grande valore è il ruolo dei volontari, pronti a dare informazioni a una persona apparentemente smarrita o a fare due chiacchiere con chi si trova solo.

L’ospedale non sarà mai come casa propria. Anzi: dev’essere il più possibile un luogo di passaggio in cui stare il minimo possibile. Ma quando il ricovero è necessario, è importante che il nostro animale interiore, quello che dirige la nostra biologia, si senta al sicuro.

Consigli pratici per favorire la guarigione

Oltre alla qualità dell’ESSERE del personale sanitario e dei volontari, non va sottovalutata l’importanza di lasciare alla persona in cura qualcosa che le ricordi casa sua (se è per lei/lui un luogo sicuro). Una coperta, un quadro con la foto di un parente, un amico o un animale domestico, oppure un altro oggetto famigliare. Un semplice esemplare della Settimana Enigmistica potrebbe anche bastare se la persona ne è un appassionato. Sogno un giorno in cui, nella prassi normale di accoglienza del paziente in ospedale, tra tutte le domande propriamente medicali poste al paziente ci sarà anche questa: desidera qualcosa da casa che potrebbe portarle un suo parente o un amico?

Nel momento dell’urgenza, quando non capiamo cosa accade al nostro corpo, sentirsi nelle mani di persone preparate e serie è la condizione prioritaria che allenta l’insicurezza. Passata l’urgenza, casa diventa il luogo privilegiato.
Infine, poiché siamo tutti diversi, va sottolineato che, per alcune persone, l’ospedale è il luogo più rassicurante. Specie per coloro che non hanno un sostegno a domicilio. Invece per tutti gli altri, che vivono situazioni armoniose, il luogo in cui si sentono più al sicuro, passata l’urgenza, è appunto casa loro.

Il fenomeno è molto evidente per gli anziani; spesso vanno incontro a veri e propri squilibri e peggiorano rapidamente quando sono strappati dal loro ambiente conosciuto. Lontani dalla loro casa, con i loro fiori e gli animali da curare, i ritmi consolidati, le routine su misura, deperiscono a vista d’occhio. Perdere i riferimenti li fa sprofondare in uno stato di costernazione e disorientamento spazio-temporale tale da non riconoscerli dopo soli due giorni di ricovero.

Il ricovero a domicilio

Di solito, il tempo delle cure vere e proprie, durante un ricovero, è di poche ore. Gran parte della giornata è fatta di tempi “morti”, in cui la persona aspetta che passi il tempo fra due visite, due esami o due trattamenti.

Facendo tesoro di queste informazioni, diventa evidente l’importanza di favorire il ricovero a domicilio. È ovviamente fondamentale che la persona malata venga seguita. Sogno un futuro prossimo in cui il sistema sanitario e più specificamente la medicina di territorio saranno organizzati molto bene a riguardo. Passata l’urgenza, quando la situazione a casa è propizia, potremmo allora proporre ai pazienti di essere seguiti dal proprio medico di fiducia o da una squadra sanitaria ad hoc, a casa propria. Tutto il tempo libero dalle cure sanitarie diventerà tempo speso in un luogo conosciuto, amato e famigliare, dove la persona potrà beneficiare della presenza dei propri affetti, oggetti e ambienti.

A casa tutto il tempo libero dalle cure sanitarie diventa tempo speso bene in un ambiente dove ci si sente al sicuro

L’esperienza dei curanti durante l’epidemia covid 19

L’esperienza recente ci ha mostrato quanto è stata vincente la cura dei pazienti a domicilio. L’attivazione di squadre sanitarie che operano erogando visite regolari e il supporto della telemedicina e dei colloqui telefonici hanno fatto sentire le persone malate sostenute e più al sicuro.

Invece, le persone che si sono sentite abbandonate dal proprio medico e dal sistema, con il divieto di presentarsi in ospedale per evitare di “occupare un posto” o “creare affollamento”, hanno avuto sintomi molto più intensi con un conseguente peggioramento e spesso esiti drammatici.

Partendo dalle informazioni condivise in questo articolo, si comprende anche l’aspetto biologico che spiega perché la comunicazione martellante dei media, che alimentava l’angoscia e l’insicurezza, sia stata dannosa e abbia trasformato un evento potenzialmente complicato in un dramma collettivo. Di fatto i media hanno ostacolato e rallentato la guarigione con il loro atteggiamento allarmistico. Spero che qualche giornalista o editore legga questo articolo e prenda coscienza del proprio potere sulla salute delle persone, così da usarlo d’ora in poi con cuore, serietà e consapevolezza.

In conclusione

Ogni persona e ogni azione che permetta al paziente di sentirsi al sicuro e sostenuto favorisce la guarigione. Questo perché aiuta concretamente ad attutire l’intensità dei dolori, degli edemi, dell’infiammazione e di qualunque sintomo proprio della fase di riparazione. Far sì che questo aspetto sia totalmente integrato nel percorso di cura è un potente contributo al processo naturale di autoguarigione. E anche un sostegno reale alle cure mediche propriamente dette.

Sicurezza e abbondanza, come farne esperienza

Sicurezza e abbondanza, come farne esperienza

Oggi, a molti sembra impossibile provare un senso di sicurezza e abbondanza. Stiamo attraversando un’epoca difficile che appare ostile al benessere e alla salute. Tante persone percepiscono insicurezza e hanno paura della scarsità. Scarsità di risorse, di tempo, di affetti.

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C’è da dire che le informazioni che arrivano dai telegiornali e in generale dal mainstream sono fortemente incentrate sui pericoli e sui drammi del mondo. Chi guarda la televisione ogni giorno subisce una subdola iniezione quotidiana di violenza, guerre, crimini, tradimenti, disonestà. Questi temi, inoltre, sono quasi onnipresenti nei film di vario genere proposti al grande publico.
Questo bombardamento, a lungo andare, toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro.

Il bombardamento mediatico toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro

Negli ultimi anni la comunicazione che va in questa direzione è stata ancora più martellante e ha nutrito un forte senso di paura per il futuro. Tra il cambiamento climatico, l’inquinamento, la pandemia, la guerra, la carenza di materie prime: le leve per nutrire il senso di insicurezza e scarsità sono numerose. Di conseguenza tanti si sentono sempre più lontani dal provare un senso di sicurezza e abbondanza.

Agire per avvicinarsi a sicurezza e abbondanza

Ci sono vari livelli ai quali si può intervenire quando stiamo male, come ho spiegato nell’articolo Mente sana in corpo sano, sono azioni, emozioni e pensieri.

Il primo consiglio che voglio dare a te che stai leggendo e vivi questa situazione di lontananza dal senso di sicurezza e abbondanza riguarda il primo livello, quello delle azioni.
Si tratta di un modo per cambiare ciò che accade all’esterno. Anche se questo è il livello più superficiale, io non lo trascurerei.
L’azione fondamentale che ti consiglio è: scegli con cura il tuo nutrimento emotivo, intellettuale e spirituale. Con questo obiettivo, ti invito a spegnere definitivamente la televisione. È un metodo molto efficace. Se però questa risoluzione ti sembra troppo drastica, potresti decidere almeno di non accendere lo schermo (grande o piccolo che sia) ogni giorno.
Come sottolineato, questa è un’azione che modifica l’esterno. Personalmente prediligo di più il lavoro sull’interno. Vediamo cosa si può fare per modificare ciò che accade in noi e che predispone a sentirci sempre più lontani da sicurezza e abbondanza.

Cambiare la predisposizione interiore

Se mi conosci già sai che il mio modo di affrontare una situazione difficile, qualunque essa sia, parte dal comprendere cosa va a smuovere in me quella situazione. Suggerisco sempre di chiedersi: perché vivo in modo così stressante questo evento? Eppure, un’altra persona, accanto a me, rimane serena, nonostante il contesto sia lo stesso.

Cercando di definire una domanda più precisa e in linea con il tema di questo articolo è importante chiedersi:
Come posso evitare di essere un terreno fertile per l’attecchimento del senso di insicurezza e scarsità?
Meglio ancora, trasformiamo la domanda in modo positivo, facendo un esercizio molto benefico per il dialogo interiore. Chiediti piuttosto: come posso diventare terreno molto fertile per lo sviluppo del senso di sicurezza e abbondanza?

Il mio obiettivo è quello di fornirti degli spunti di riflessione e dei suggerimenti per trasformare te stesso in un terreno fertile, così che cresca rigoglioso in te il senso di sicurezza e di abbondanza.

Il potere di stare meglio

Sotto molti punti di vista abbiamo un potere quasi nullo rispetto a quello che accade intorno a noi nel Mondo. Sto parlando per esempio dei terribili conflitti in corso. Noi comuni mortali non possiamo certo prendere decisioni politiche. Lo stesso vale per l’arrivo di un nuovo virus, le disposizioni di Legge, le scelte che riguardano il commercio internazionale o le direttive per la salvaguardia dell’ambiente. Invece, abbiamo un potere enorme sul modo in cui viviamo ogni situazione.
Le emozioni sono nostre e siamo noi a crearle, non sono gli eventi esterni a essere responsabili di come ci sentiamo.

Abbiamo poco potere su quanto di brutto accade nel mondo ma abbiamo moltissimo potere su come viviamo la situazione

Una persona, nonostante sia immersa in un contesto bellissimo di pace, serenità e abbondanza, potrebbe comunque sentirsi insicura, arrabbiata e insoddisfatta. E viceversa.

Per chi soffre di insicurezza e senso di scarsità

A volte l’insicurezza è legata al presente e alla situazione reale che stiamo vivendo. In altri casi l’insicurezza riguarda il futuro ed è legata a un pernicioso stato di ansia.
Forse ti capita di fare questi pensieri. “Ce la sto facendo ora, ma ho paura di non farcela domani. Sono vivo ora ma ho paura di morire domani. Ho un tetto sulla testa e abbastanza da mangiare oggi ma ho paura di perdere tutto domani. Ho abbastanza soldi oggi per vivere e garantirmi un buon tenore di vita ma questa cosa potrebbe cambiare. Ho una relazione di coppia e una famiglia soddisfacenti ma non so se durerà”.

La prima azione da compiere è ripristinare la capacità di adattarsi. Vediamo esattamente di cosa si tratta.

Primo passo: la capacità di sapersi adattare

Come primo passo penso sia importante ripristinare la fiducia nella propria capacità di adattarsi ai cambiamenti. Se non hai fiducia nella tua capacità di adattamento, ti ricordo qualche fatto che riguarda proprio la natura dell’essere umano. Adattarsi è qualcosa che fa parte di noi. In milioni di anni, la nostra specie non si è estinta proprio grazie alla capacità di adattamento, che è intrinseca.
In ogni instante il tuo corpo, senza che tu debba minimamente intervenire, si adatta al mondo esterno. E lo stesso fa anche la tua mente, si adatta. Ci adattiamo ai cambiamenti di temperatura, allo spostamento da un luogo all’altro, alle diverse altitudini e latitudini, all’umore che si modifica e così via.

C’è però probabilmente una parte di te, che potrebbe essere rigida e paurosa e bisognosa di controllare tutto, che teme i cambiamenti. Molto probabilmente è questa parte a instillarti il dubbio di non essere capace di adattarti. Chi dà ascolto a questa voce interiore evita di uscire dalla zona di confort ogni volta che può, perché così ha l’illusione di controllare tutto.

L’insicurezza positiva e quella negativa

Da un punto di vista biologico, percepire insicurezza può essere molto utile, ad esempio nel momento in cui ci si confronta con una situazione che va al di là dei propri limiti. Questo accade quando ciò che vivi ti richiede uno sforzo esagerato, tempi troppo rapidi (o magari troppo lenti), un movimento che mette a rischio l’integrità e la salute del tuo apparato muscolo-scheletrico, oppure ancora quando qualcosa ti costringe a un lavoro che per essere svolto ti impedisce di dormire a sufficienza. Anche vivere in un ambiente troppo inquinato o conflittuale può fare percepire insicurezza.

Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti. In questo modo possiamo evitare di accettare situazioni in cui mettiamo noi stessi in pericolo.
Ecco un esempio ancora più concreto. Se soffri di vertigini devi essere in grado di rifiutare l’invito a percorrere una via ferrata che si snoda sopra a un enorme precipizio.

Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti

Attenzione: quando si lavora a livello biologico, la capacità di riconoscere i propri limiti comprende quelli superiori, certo, ma anche quelli inferiori.
Questa capacità biologica ci permette di essere in contatto con la realtà nuda e cruda. Evita che la mente ci imbrogli e che ci faccia pensare di non essere capaci di qualcosa che invece possiamo fare benissimo.

Secondo passo: ripristinare la propria integrità

Ripristinare l’integrità è uno dei tre potenziali biologici pilastri, e si va a verificare quando un terapeuta lavora con la Biokinesiologia.

Perdiamo la nostra integrità quando siamo feriti fisicamente, a causa di un taglio, una frattura, una malattia eccetera. Possiamo anche perdere la nostra integrità a vari livelli: emotivo, sentimentale, sessuale, intellettuale, sociale, spirituale.
Succede a tutti di essere feriti, non possiamo immaginare di trovare un modo di vivere che eviti qualunque ferita, anzi… Sarebbe una situazione di restrizione tale da impedire lo stesso scorrere naturale della Vita, l’espressione della nostra anima e la nostra realizzazione in questa esperienza terrestre. Un intento che si rivela distruttivo e dannoso. Come voler mettere un bambino al riparo sotto una campana di vetro.

Liberare la capacità biologica bloccata

Un obiettivo molto più costruttivo, interessante e vitale è invece quello di liberare, quando è bloccata, la capacità biologica e naturale di ripristinare la propria integrità.
Di cosa si tratta? Sto parlando della fiducia che se ti dovessi ferire, hai in te il processo naturale biologico per guarire, che agisce senza che tu debba intervenire mentalmente. Un processo che permette di guarire, di cicatrizzare, di ripristinare la tua integrità, senza problemi.
Se non ho la fiducia che il mio organismo abbia questa capacità, vivrò un senso di insicurezza profondo. In modo inconscio avrò paura di ferirmi a vari livelli, andando incontro di volta in volta agli eventi della vita.

Senza la fiducia nella tua capacità biologica di ripristinare l’integrità vivrai un senso di insicurezza profondo

Un esempio dalla Natura selvaggia

Prendiamo l’esempio di un animale selvaggio. Se un animale è ferito fisicamente non può spostarsi, andare a caccia, alimentarsi, scappare o affrontare un predatore o un altro pericolo. Non può nemmeno riprodursi. Ovviamente tutte queste limitazioni espongono l’animale a un senso di vulnerabilità, insicurezza e scarsità che sarà superato con la guarigione. Quando l’animale avrà ripristinato la sua integrità fisica, svaniranno insicurezza e altri disagi.

Per completare la spiegazione di come la perdita di integrità porti a vivere un senso di scarsità, possiamo immaginare un individuo come un secchio. Se questo secchio è bucato (cioè ha perso la sua integrità) non riuscirà a riempirsi. In queste condizioni, come sentirsi colmi, appagati e soddisfatti da quello che riceviamo?
I buchi sono le nostre ferite non guarite, non elaborate.

Mancanze che restano impresse

Conosco un cane, trovatello, a cui sicuramente è mancato il cibo. Nonostante siano passati sei anni da quando è stato adottato, ancora oggi si tuffa sulla sua ciotola e continua a chiedere da mangiare anche quando non ha più fame. Può sembrare incredibile, ma dorme addirittura abbracciato alla sua ciotola. La carenza di cibo non è più una realtà, ma questa mancanza si è impressa nella sua memoria.
Un cane che non ha memoria di scarsità di cibo o ferite che hanno alterato il suo senso di integrità, mangia, digerisce, dorme, e quando sente che il suo stomaco è vuoto, chiede da mangiare o va a caccia per procurarsi il cibo, senza “ansie”.

Dal punto di vista biologico, il processo della paura che manchi il cibo e si possa morire di fame è uguale a quello della mancanza di denaro ma anche della mancanza affettiva, di amore, di supporto, di riconoscimento. È sempre una memoria che si esprime, indipendentemente dalla situazione reale presente.

Immaginiamo che la persona o l’animale sia come un secchio. Se è bucato, non si può riempire. Aumentare la quantità di cibo nella ciotola del cane trovatello non avrebbe nessun effetto sul comportamento del cane. Mettere a disposizione della persona abbondanza di denaro, amore, sostegno, riconoscimento o qualunque altra cosa di cui sente la mancanza non basterà. Non sarà mai sufficiente a trasmettergli un senso di abbondanza e completezza.
Serve prima di tutto lavorare sul ripristino dell’integrità del secchio, perché torni a essere stagno. Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza.

Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza

Gli approcci terapeutici efficaci

Puoi utilizzare qualunque approccio terapeutico che permette di elaborare le tue ferite emotive, i drammi passati che hanno lasciato memorie. Amo lavorare alla radice e privilegio gli strumenti che permettono di farlo sia sul passato personale sia sul passato genealogico.

La Biopsicogenealogia come strumento per favorire sicurezza e abbondanza

Quando una persona vuole lavorare sul suo senso di insicurezza e scarsità e così aprirsi all’esperienza di sicurezza e abbondanza, cerchiamo quelli che possiamo immaginare come “buchi”.
L’indagine che si fa in biopsicogenealogia avrà come obiettivo ritrovare e guarire le ferite e le situazioni vissute nel passato personale o genealogico, che hanno lasciato quel senso di insicurezza e/o scarsità. Affinché questa memoria del passato possa lasciare spazio alla situazione reale presente.
Spesso, la consapevolezza della ferita permette di elaborala e di conseguenza avviene la trasformazione.

Un altro strumento altrettanto interessante, la Biokinesiologia

Quando invece la consapevolezza della ferita non basta a guarirla, serve uno strumento che ha accesso alle memorie inconsce della persona. Nella mia esperienza la Biokinesiologia è molto interessante.
Abbiamo visto che essere capace di adattarsi ai cambiamenti, conoscere e rispettare i propri limiti, ripristinare la propria integrità, sono potenziali biologici che, quando liberi di esprimersi, favoriscono il senso di sicurezza e abbondanza. Come dicevo, la Biokinesiologia è uno strumento che permette di liberare i potenziali biologici bloccati.
Seguendo le indicazioni del corpo e attingendo alle memorie inconsce, la Biokinesiologia permette di liberare emozioni bloccate che impediscono di attingere e esprimere un potenziale biologico specifico.
È il corpo a portarci sulla linea del tempo nel nostro passato personale e attraverso quello dei nostri antenati, per scoprire e sciogliere le emozioni prioritarie e dominanti bloccate, che impediscono di vivere il senso di sicurezza e abbondanza.

Agire nuovamente sull’esterno

Quando avrai lavorato su di te perché il tuo terreno sia fertile al senso di sicurezza e abbondanza, in un secondo momento, potrai capire se realmente c’è carenza di cibo, amore, sostegno, denaro, riconoscimento o qualunque cosa di cui senti la mancanza oggi.
Se si verifica che realmente c’è una carenza, potrai (a seconda della situazione) adattarti, agire, scappare o muoverti per cambiare la situazione e sarai efficace.

Dopo aver lavorato su te stesso saprai se davvero c’è una mancanza nella tua vita

In conclusione…

Attraversiamo nel corso della vita un’infinità di eventi. Quando lavoriamo unicamente sulle situazioni esterne, tralasciando il lavoro su noi stessi, ci ritroviamo a spendere tutta la nostra energia su quanto accade al di fuori di noi. Il mondo esterno è qualcosa di mutevole e che ha infinite evoluzioni possibili, che portano altri problemi e rendono necessaria altra energia, altra creatività, altre soluzioni specifiche.

Nel corso della vita, però, c’è un elemento che sarà sempre presente: te stesso. Conoscere se stessi e lavorare su di sé, oltre a essere possibile per chiunque, è un investimento che permette di raccogliere benefici utili per il resto della vita.