Dire no sul lavoro: perché è importante per te e la tua carriera

Dire no sul lavoro: perché è importante per te e la tua carriera

Dire no sul lavoro è importante sia per il tuo benessere sia per la tua carriera. Tutti possiamo trovarci nella situazione di dover dire no a un collega, a un superiore, a un cliente piuttosto che a un dipendente.

Alcuni possono fare molta fatica a dire no in famiglia: ai propri genitori, a un amico, a un figlio o ancora al coniuge. Mentre per altri è molto più difficile farlo sul lavoro.

In ogni caso, per tutta una serie di ragioni, riuscire a dire no sul lavoro può essere complicato. In questo articolo voglio raccontarti perché è importante imparare a farlo e quali vantaggi porta il no, sia a te sia agli altri. Capendo le ragioni per dire no sul lavoro sarai più spinto a trovare il coraggio per dire no tutte le volte che senti che è importante farlo.

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Cosa significa dire no sul lavoro

Dire no, esattamente come dire sì, significa prendere una posizione. All’interno di un’azienda, di un gruppo di lavoro, di un’associazione, si lavora per obiettivi comuni. Tutti contribuiscono, mettendo in gioco le proprie competenze e conoscenze, al raggiungimento di uno o più traguardi. Proprio come il sì, anche il no rappresenta un contributo della tua personale intelligenza nel percorso da costruire, insieme agli altri collaboratori, per raggiungere il miglior risultato possibile.

Quando dici di no significa che vuoi essere presente nella relazione, che in questo caso è una relazione di lavoro. Vuoi esserne protagonista e contribuire. Molto spesso, ci vuole più coraggio a dire no sul lavoro piuttosto che a dire sì.

Il no rappresenta un’informazione preziosa. Perché può far capire agli altri che qualcosa non è stato recepito correttamente. Il no per esempio è indispensabile in tutte le situazioni di pericolo. Potresti aver identificato un pericolo per te o altre persone che altri non hanno visto.

In altre circostanze, il no può permettere di evitare una strategia che mette a repentaglio l’efficienza o il rendimento, tuo e dei colleghi. Oppure ancora, il no può essere di ostacolo a un grosso errore alle porte, che rischia di compromettere il buon andamento degli affari.

Facciamo un esempio. Ti viene chiesto di svolgere un compito per il quale non senti di avere le competenze. Cosa può succedere se dici sì e svolgi il lavoro, pur facendolo al meglio delle tue possibilità? Rischi di farlo male e lentamente. Potresti anche togliere l’opportunità a qualcun altro di portare a termine quello stesso compito con maestria, in modo veloce ed efficace. E qualcosa di simile potrebbe ripetersi in più occasioni.

Il no può far capire agli altri che qualcosa non è stato recepito correttamente

Dire no ti consente di pronunciare dei sì autentici  

Per raggiungere i tuoi obiettivi professionali individuali, che ti sono stati assegnati per il buon funzionamento dell’azienda o del progetto, è necessario concentrarti sulle tue priorità. Per rimanere focalizzato, è importante dire no a quello che ti distrae dai tuoi obiettivi. Avere il coraggio di affermarti è anche importante per la tua carriera: sei stato assunto per quello che fai, certo, ma anche per quello che sei. Solo pronunciando veri sì e veri no puoi creare valore aggiunto.

Ricordati che una giornata dura solo 24 ore. Se dici sì ad alcune attività, dovrai per forza dire no ad altre. I tuoi no sul lavoro ti permettono di pronunciare dei sì autentici alle cose da fare che vanno messe in priorità. Saper dire no ti permette di onorare gli impegni presi, conditio sine qua non per essere affidabile.

Sei stato assunto per quello che fai, certo, ma anche per quello che sei

Dire no sul lavoro fa bene a tutta la squadra

Saper dire no sul lavoro, quindi, significa rimanere concentrati sugli obiettivi prioritari e offrire la propria expertise. Sono aspetti che aiutano a far progredire tutti, collaboratori e azienda.

Troppi impegni senza direzione né priorità definite rischiano di portare a risultati scarsi o scadenti. Fare troppo poco così come fare troppo è controproducente.

Cosa succede se non osi dire no sul lavoro

Quando non trovi il coraggio di dire no sul lavoro non rispetti te stesso perché non sai porre dei limiti. Quando non puoi accettare un lavoro perché è troppo difficile per te o perché sai che non ne avrai il tempo, ti invito a osare di NON impegnarti. Può sembrare paradossale, ma dire no sul lavoro è importante per dimostrarsi affidabili. Sia nei confronti di se stessi sia nei confronti degli altri.

Quando ti sembra di non poter dire no puoi riflettere su questo: non osare di dire no significa precluderti l’opportunità di offrire un contributo di qualità. Ogni volta in cui non esprimi e non condividi le tue perplessità e richieste, neghi agli altri un’informazione preziosa per raggiungere gli obiettivi comuni. Il tuo no può essere una carta importante che manca nel gioco.

Ogni falso sì che pronunci, inoltre, rappresenta una falsa informazione che distorce i rapporti in essere.

Tutte le volte in cui pensi di non poter dire di no non rispetti le tue priorità di persona e di professionista. Ribadisco: saper dire di no significa poter rimanere concentrati sulle priorità, per andare avanti nella propria carriera e per il buon funzionamento dell’azienda.

Saper dire di no significa poter rimanere concentrati sulle priorità

Evitare di dire no sul lavoro può danneggiare la relazione

Quando fai qualcosa contro la tua volontà, spesso finisci per rimproverare a te stesso il fatto di non aver detto no. Ma altrettanto spesso provi rabbia anche nei confronti della persona che stai aiutando, alla quale hai detto un falso sì. Questo può danneggiare la qualità della relazione sul medio e lungo termine, perché crea incomprensioni e tensioni a volte difficili da sciogliere.

In un quadro in cui si dicono molti sì forzati al posto di dire no, si sviluppano tutta una serie di squilibri nei rapporti di lavoro. Se non sai dire no, potresti cercare di evitare le persone che potrebbero chiederti aiuto. Si creano distanze (che gli altri magari non riescono a spiegarsi), tensioni e un clima generale di scarsa collaborazione. Una persona inizialmente entusiasta di mettere a disposizione i propri talenti si può trasformare in un collaboratore scontento e brontolone, che lavora “con i piedi di piombo”.

Quando il sì è imposto

Se obblighi te stesso a dire sì a seguito di pressioni o minacce, più o meno velate, cerca di capire che, anche se ti sei sentito obbligato, sei comunque tu che hai deciso di dire sì. Saprai perdonare le persone che ti hanno fatto sentire così tanto sotto pressione? Potrai ancora lavorare con loro o per loro? A volte dire no permette di preservare la relazione mantenendo rapporti benefici.

Considera anche il fatto che, quando ti viene richiesto qualcosa che va oltre i tuoi limiti, rischi di portare a termine un lavoro fatto male o di non finire in tempo. Oltre a sentirti irritato tu, molto probabilmente lo saranno anche superiori e colleghi, perché la qualità del tuo lavoro sarà bassa e tradirai le aspettative altrui. Dispiaceri e tensioni inquinano il clima sul posto di lavoro.

Rischi di portare a termine un lavoro fatto male o di non finire in tempo

Un caso concreto

Facciamo un esempio. Il tuo superiore ti chiede di scrivere un report al posto suo. Sei già oberato di lavoro e scrivere report non è mai stato il tuo forte, anzi. Sai che se accetti, farlo richiederà delle ore e il risultato rischia di essere scarso. Accettare di scrivere quel report significa anche sottrarre tempo alle attività che devi concludere entro la giornata.

Hai anche promesso alla tua famiglia di limitare al massimo le volte in cui porti a casa documenti e attività da completare. L’idea di non onorare la tua promessa ti fa provare tensione. Senti già una serie di lamentele e proteste dirette verso il tuo capo invadere il tuo dialogo interiore.

Dire no spiegando le proprie ragioni

Dire no sul lavoro spiegando le tue ragioni permette di fare capire all’altro il tuo no. Avrà l’opportunità di mettersi nei tuoi panni. Torniamo al nostro esempio. Anche se il tuo capo rischia di essere scontento perché dovrà scrivere lui il report, potrà comprendere che ti preme onorare i tuoi impegni, sia professionali sia personali. Dire no per delle buone ragioni aumenterà la tua credibilità.

Dopo il tuo non rimani comunque aperto alla discussione, per comprendere come mai il tuo superiore ti chiede qualcosa che non ti compete. Permetterà anche a te di metterti nei suoi panni e potrete trovare insieme una soluzione alternativa. C’è qualcuno più competente a cui piace questa attività? L’obiettivo comune è quello di ottenere il risultato migliore: un ottimo report.

Ecco un caso in cui dire no sul lavoro rappresenta un beneficio per tutti. Se dici no, potrai concentrarti su quello che ti compete. Potrai finire al meglio le tue attività, in tempo per l’orario di uscita.

Dopo il tuo non rimani comunque aperto alla discussione

Cosa fare quando il tuo capo non accetta il no?

In effetti, in una società gerarchica, il tuo capo può rifiutare il tuo no e importi il compito richiesto. Se la sua è una richiesta illegittima che può ledere te o altri, la situazione è complessa da affrontare. Ne parlo in modo approfondito in un altro articolo su questo blog.

Quando invece essere obbligato ha come unico effetto quello di diminuire in piccola parte il tuo benessere, ti consiglio di prendere le distanze da questa situazione spiacevole.

Prova a ricordare tutti i vantaggi che hai sul lavoro. Potrai comunque essere in pace con te stesso, perché sei stato capace di esprimere il tuo no, con in mente l’obiettivo di manifestare la tua posizione, rispettare te stesso e i tuoi impegni.

Dulcis in fundo, se impari a dire no, ti allenerai anche ad accettare i no degli altri. Comprenderai che questi no non sono prese di posizione contro di te ma sono invece un’affermazione fatta per rispettare delle priorità e dare un valore aggiunto.

Quando ognuno comprende l’importanza dei veri sì e dei veri no sul lavoro, le relazioni professionali diventano più serene e si basano sulla libertà e il piacere della collaborazione, relegando in un angolo dovere e costrizione.

Ecco perché è tanto importante saper dire no sul lavoro.

Dire no, quando fa bene alla coppia e perché

Dire no, quando fa bene alla coppia e perché

Dire no è fondamentale per dare valore ai tuoi sì. Se non riesci a dire no finirai per non rispettare te stesso e le tue priorità in molti settori importanti della vita. In questo articolo, voglio concentrarmi sulla coppia.

Non autorizzandoti a dire no, magari perché pensi che farlo scatenerebbe liti e incomprensioni, potresti lasciare che si accumuli tensione tra te e il tuo partner. Potresti persino arrivare a una rottura che non vuoi.

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Limitare la comunicazione non è una buona strategia. Serve solo a procrastinare lo scontro o nascondere i problemi. Dire no in modo salutare è rispettoso nei confronti di te stesso, e non può che fare bene alla coppia. Perché rispettare il tuo modo di sentire significa dimostrare rispetto anche per l’altro. Dire no è coraggioso e necessita determinazione. Dire no manifesta il tuo desiderio di impegnarti e metterti in gioco: significa che tieni all’altro e alla qualità della relazione di coppia.

Dire no in modo salutare è rispettoso nei confronti di te stesso, e non può che fare bene alla coppia

In questo articolo vediamo insieme come imparare a dire no. Puoi applicare questi consigli le volte in cui non puoi o non voi fare qualcosa. Per esempio, sei troppo stanco per prenderti carico di un obbligo familiare o di una faccenda domestica.Oppure non hai nessuna voglia di accompagnare il tuo partner a quella cena con i suoi amici. L’obiettivo non è cercare giustificazioni per tirarsi indietro dalle proprie responsabilità. Al contrario, vorrei darti i mezzi per fare al meglio le cose che rispecchiano le tue capacità e i tuoi talenti e per facilitare una tua vita di coppia viva e appagante.

Dire no è coraggioso e necessita determinazione

Prendi posizione

Sia dire no sia dire sì sono prese di posizione preziose per la coppia, perché significa che ti stai assumendo la responsabilità di contribuire alla relazione e che vuoi esserne protagonista.

Quando si crea una relazione di coppia, i due partner si conoscono man mano e scoprono i loro obiettivi individuali e quelli comuni, che fanno la felicità di entrambi. All’interno della relazione, ciascuno ha l’opportunità di mettere il proprio carattere, la propria sensibilità e i talenti al servizio di questi obiettivi.

In questo quadro, il no rappresenta un’informazione preziosa. Fornisce dati su aspettative, modi di essere e di sentire che l’altro potrebbe non avere ancora indovinato. Così facendo può emergere il personale contributo e punto di vista di ognuno.

Il no rappresenta un’informazione preziosa

Dire sì quando pensi no scatena rabbia e frustrazione

Pensa a quello che succede quando vorresti dire no e invece dici sì. Se non permetti mai a te stesso di dire no all’interno della coppia, potresti sentire crescere dentro di te una forte irritazione.

La rabbia emerge perché non sei stato tempestivo nel farti rispettare: hai lasciato passare troppo tempo, hai accumulato tensione, hai autorizzato diverse piccole violazioni senza reagire. Questa rabbia che senti serve a fornirti l’energia per creare un cambiamento. Ti consiglio di riconoscerla come un segnale utile e di non scaricarla sull’altro. Ricordati che il tuo modo di vivere la situazione ti appartiene.

Non è l’altra persona che ti fa arrabbiare e non è neppure detto che il tuo partner ti abbia mancato di rispetto: ha semplicemente espresso una richiesta.

Tu, però, ti puoi sentire violato e forzato a fare qualcosa che non vuoi… Quando ti senti così ti consiglio di trovare un modo per scaricare la rabbia. Vai a camminare o concediti un urlo muto, per esempio. Dopo potrai discutere quanto ti succede con calma ed efficacia.

Saper dire no per essere autentico

I falsi sì sono false informazioni che distorciono le carte in tavola. Se non esprimi e non condividi le tue esigenze, non informi l’altro sulla tua reale posizione.

Il tuo partner ha scelto te, non qualcun altro. Dire no significa esserci, cioè assumersi il rischio di affermare se stessi, creando valore aggiunto anche per l’altro.

I falsi sì sono false informazioni che distorcono le carte in tavola

Dire no ti permette di essere affidabile

Imparare a dire no ad alcune cose significa dire veri sì ad altre. Ogni no sano che riesci a pronunciare ti permette di concentrarti sulle tue priorità e di fare dei passi in avanti nella costruzione di una relazione di coppia felice.

Le giornate durano solo 24 ore, di conseguenza siamo costretti a fare delle scelte tra le cose che vogliamo e possiamo fare e quelle che non vogliamo e non possiamo fare.

Concentrati sul fatto che dire no significa permettersi di dire sì a quello che conta davvero per sé e per la coppia. Saper dire no permette di essere fedele ad altri impegni ai quali hai detto sì. Condizione indispensabile per essere affidabile.

Il no apre le porte a una relazione appagante

Se sei consapevole dell’importanza dei no, sarai anche più capace di accettare un no dalla persona amata. Perché saprai che non sta dicendo di no a te, non ti sta rifiutando. Sta semplicemente dicendo di sì a qualcosa d’altro, più in linea con il suo modo di essere, con i suoi desideri in quel momento e con gli impegni già presi.

Questo favorisce una relazione serena basata sulla libertà e il piacere della collaborazione e della condivisione, più che sul dovere e la costrizione.

Quando dire no è difficile

Dire no all’interno della coppia significa mettere dei paletti, limitando in modo salutare per entrambi le richieste e le aspettative del partner. Spesso, però, dire no è difficile. Le ragioni possono essere diverse.

Prima di tutto, dire no è complicato se non conosci te stesso. Essere consapevole dei tuoi desideri e delle tue priorità è un aiuto molto importante per decidere se dire sì oppure no a una richiesta.

Cosa desideri veramente? Potresti non saper rispondere, magari perché a furia di dire sì al posto di dire no ti sei allontanato dai tuoi veri desideri ed emozioni. Rifletti su quali sono le tue inclinazioni. Pensa alle tue esperienze passate e a quello che ti riesce meglio. A quello che ti da gioia.

Dire no è complicato se non conosci te stesso

Accettare i propri limiti

Se accetti un impegno che non potrai onorare rischi di fare le cose male e in ritardo, raccogliendo lo scontento della persona che contava su di te.

Dobbiamo farcene una ragione, nessuno di noi è un super eroe, in grado di accontentare tutti e sempre. Impara a riconoscere i tuoi limiti e accettali per quello che sono. Hai tutto il diritto di non essere sempre perfetto e accomodante. La giornata dura solo 24 ore: è giusto avere delle priorità. In pratica è assolutamente normale e sano il fatto che tu abbia voglia di dire di no.

Voler dire di no è assolutamente normale e sano 

Credere di doversi sacrificare in nome dell’amore

Sacrificarsi per l’altro al punto di dimenticare se stessi, non è un regalo per nessuno. Sacrificio e amore non sono legati. Attenzione: sto parlando del sacrificio che minaccia la tua gioia.

Sempre a causa del fatto che non possiamo fare tutto, ci sono dei momenti in cui potresti decidere di sacrificare alcuni aspetti della tua vita, perché qualcos’altro è diventato sacro per te, dunque prioritario. In questo caso non c’è frustrazione e rabbia, ma al contrario si prova un coinvolgimento profondo. Agisci in pace e con amore, con tutto il tuo cuore.

Avere paura delle conseguenze

Molti dicono sì al posto di dire no perché hanno paura delle conseguenze negative. Temono che dire no peggiori la qualità della relazione. Temono di essere svalutati e abbandonati. Se però imparerai a comunicare, come ho già sottolineato, il no diventerà una risorsa, parte integrante di una buona relazione.

Anche la società e l’educazione hanno un ruolo importante nella tendenza a dire sì al posto di dire no. Molte persone sono oppresse da una serie di credenze limitanti. Forse anche tu pensi che non puoi dire di no a una persona amata, perché interpreti il no come mancanza di amore, di gentilezza o di rispetto, quando in realtà può essere il contrario. Ti invito a fare questa auto-riflessione: quali convinzioni ti impediscono di dire no al tuo partner?

La società e l’educazione hanno un ruolo importante nella tendenza a dire sì al posto di dire no

Nel momento in cui riesci a riconoscere le convinzioni bloccanti che ti impediscono di rispettare te stesso dicendo di no quando ne hai bisogno, cerca di togliere loro potere. Rifletti sul fatto che sono solo punti di vista e non verità assolute.

Un’esperienza mai fatta

Un’altra ragione per la quale può essere difficile per te dire no è che semplicemente tu non hai esperienza in materia. Hai sempre detto di sì a tutto e iniziare a dire no rappresenta per te una sfida verso l’ignoto. In questi casi non è raro che l’immaginazione costruisca scenari catastrofici, che impediscono di cambiare abitudine. Se è il tuo caso, ti serve allenamento.

Inizia con il dire dei no facili. Prova a dire di no a richieste che hanno poca importanza e che molto probabilmente non susciteranno proteste da parte dell’altro. Ti accorgerai rapidamente che il mondo non crolla a causa dei tuoi no. Quando avrai acquisito gradualmente fiducia in te stesso, potrai iniziare a dire no anche di fronte a richieste relative a bisogni e aspettative più importanti.

L’esperienza ti consentirà di essere più consapevole delle conseguenze dei tuoi no e imparerai a gestire le risposte e le reazioni del tuo coniuge.

Il no è sempre legittimo?

Abbiamo sottolineato che è perché sai dire no che il tuo sì ha valore. Vale anche all’opposto: poiché sai dire sì, il tuo no ha valore. Se ogni volta che ti viene chiesto qualcosa dici di no, il tuo no rischia di perdere la sua legittimità.

Quando la richiesta dell’altro è valida, il tuo no può non esserlo. Questo accade, ad esempio, se il tuo partner ti chiede di fare qualcosa che di comune accordo avete deciso di far rientrare nei tuoi compiti. Ad esempio occuparsi del bucato o accompagnare i bambini a scuola. Oppure può succedere che l’altro ti chieda di lavare i piatti per una volta, perché non si sente bene. Tu odi farlo, ma eccezionalmente potresti prenderti questa incombenza. Prima di dire no, chiediti onestamente se in quella specifica situazione ne hai diritto.

Quando la richiesta dell’altro è valida, il tuo no può non esserlo

C’è modo e modo di dire no

Nel momento in cui ti sarà chiara l’importanza di dire no e ti sarai esercitato a capire in quali situazioni il no è legittimo e perché, potrai anche lavorare sul modo di dire no. Si può dire no in modo amorevole e sereno. Soprattutto se sei consapevole che il tuo no può essere un regalo per l’altro e per la coppia.

Il no, un regalo per l’altro

Facciamo un esempio che dimostra come il no può trasformarsi in un’opportunità. Nel momento in cui, dicendo di no al tuo partner che ti chiede di andare a ballare, gli (o le) permetti di trovare qualcun altro più entusiasta con cui condividere l’esperienza, sarete entrambi più felici. Piuttosto che portare te che ballerai tutta la sera con il muso, si divertirà molto di più con un amico o un’amica che ama ballare. E tornerà pieno di entusiasmo per condividere con te altri aspetti della vostra vita in comune.

Quando diciamo di sì controvoglia, la qualità del nostro contributo nell’attività che avremmo evitato volentieri è mediocre. Abbiamo trasformato un potenziale momento di piacere in una costrizione. Nel momento in cui diciamo sì oppure no in modo allineato con il nostro sentire, la qualità della nostra presenza migliora drasticamente. La tua capacità di dire di no ti apre alla possibilità di essere per l’altro un partner entusiasta o un pesante musone.

Il no non è un’azione contro l’altro

Come ho già accennato, dire no non significa disinteressarsi dell’altro e delle sue richieste. Quando dici i tuoi no cerca di farlo presente al partner e prima di tutto a te stesso. In questo modo sarai sereno quando ti rifiuterai di fare qualcosa.

Spiegare chiaramente le ragioni del tuo no, non serve a giustificarsi: semplicemente rende partecipe l’altro. Quando dici no, spesso è utile dare all’altro le informazioni necessarie per capire come mai. In questo modo dai al tuo partner la possibilità di immedesimarsi e comprendere il tuo punto di vista. Facciamo un esempio. Dire “non ho tempo” o “non ho voglia” rischia di non essere sufficiente.

Spiegare chiaramente le ragioni del tuo no, non serve a giustificarsi: semplicemente rende partecipe l’altro

Invece, potresti spiegare che sei in difficoltà con il lavoro e che temporaneamente non riesci a occuparti delle faccende di casa come vorresti. O che passare l’unico giorno libero con i suoceri ti pesa perché hai bisogno di un po’ di tempo per te stesso. Se hai bisogno, prenditi qualche minuto (o anche qualche ora) per dare una risposta realmente allineata con il tuo sentire.

Manifestare benevolenza

Saper dire no vuole dire anche essere preparato ad accogliere le reazioni negative dell’altro di fronte al tuo rifiuto. Quando diciamo no, a volte gli altri si sentono feriti. Rimanere benevoli è un atteggiamento che permette di preservare il rispetto reciproco. Nel momento in cui il no rischia di generare un conflitto nella coppia, puoi trovare il modo di disinnescare il problema comunicando in modo sano. Ti invito a imparare alcuni fondamenti di trasformazione dei conflitti.

Accettare il rifiuto degli altri

Quando si impara a dire no, è importante imparare di pari passo ad accettare il fatto che l’altro elemento della coppia può essere scontento del nostro rifiuto. Cosa che può accadere anche quando il tuo no è legittimo e hai fatto del tuo meglio per spiegare le tue ragioni. Potresti aver bisogno di attingere a competenze di comunicazione e gestione delle emozioni più complesse.

Nel frattempo, ricorda che non sei responsabile delle emozioni degli altri ma solo delle tue. Non puoi e non devi controllare tutto. A volte, può essere necessario fare un passo indietro e prendere le distanze dal comportamento altrui.

Non sei responsabile delle emozioni degli altri ma solo delle tue

Trovare insieme delle soluzioni

Sii pronto ad ascoltare gli argomenti dell’altro di fronte al tuo rifiuto. Consentirà anche a te di metterti nei suoi panni. E potreste trovare insieme delle soluzioni soddisfacenti, nelle quali ognuno è rispettato nei suoi bisogni e limiti.

In altre occasioni, puoi dire sì anche se vorresti dire no, dopo averci pensato con attenzione, perché le circostanze sono eccezionali e il benessere dell’altro e della coppia è tra le tue priorità.

Empatia e gentilezza, sempre

La gentilezza verso te stesso e la gentilezza verso l’altro permettono di creare e mantenere un rapporto di fiducia.

Mentre aspetti che la persona elabori il tuo no, continua a essere leale e degno di fiducia. Così facendo aumenterai ulteriormente la tua credibilità. Impegnati a onorare le promesse fatte. Più sei affidabile nell’onorare gli impegni presi, più i tuoi no saranno legittimi e accolti con serenità.

Impegnati a onorare le promesse fatte

Imparare a dire no in coppia

Molti di noi hanno ereditato la convinzione che vivere in coppia richieda sacrifici. Tanti sono abituati a pensare che non si possono rispettare totalmente nella relazione a due. Pensando di non avere scelta, ci rassegniamo a dire dei falsi sì. Così facendo perdiamo l’opportunità di migliorare la situazione. Negli anni, la relazione ricca di potenziale, iniziata nel piacere di condividere momenti preziosi di amore e gioia, può diventare tesa, oberata da scontri, doveri e frustrazioni. Di sicuro nessuno dei due partner ambiva a questo risultato…

Se la tua relazione di coppia è arrivata a questo stadio o sta pericolosamente viaggiando in quella direzione, ti suggerisco un modo per ribaltare la situazione. Di comune accordo, potreste decidere di inventare un altro modo per stare in coppia. Potreste individuare un obiettivo comune. Sperimentare cosa accade se ognuno sta attento a rispettarsi pienamente nella relazione.

Imparare a dire no può diventare una nuova avventura da vivere insieme.

Stanchezza altalenante come affrontarla e superarla

Stanchezza altalenante come affrontarla e superarla

La stanchezza è una sensazione debilitante che può essere provocata da tante cause diverse. Talvolta la stanchezza può essere legata a problemi di sonno. Altre volte può essere legata a una carenza di micro nutrienti. C’è chi si sente stanco e assumendo magnesio, ad esempio, si sente meglio nel giro di pochi giorni. Ma la stanchezza non è necessariamente connessa al fabbisogno di vitamine o Sali.

Talvolta la stanchezza è associata a una patologia diagnosticata sulla base della presenza di altri sintomi. Sto parlando ad esempio di anemia e diabete, che tra i vari problemi provocano anche un senso di spossatezza generalizzato. C’è poi un altro tipo di stanchezza che non dipende dalle tue scorte di energia. Una stanchezza che può assalirti e poi sparire da un momento all’altro. È di questa stanchezza altalenante che voglio parlarti in questo articolo.

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Quando la stanchezza arriva all’improvviso

Ti capita mai di sentirti senza energie nel corso della tua giornata di lavoro per poi scoprirti pieno di entusiasmo e di forze nel momento in cui un amico ti propone di fare insieme una cosa che piace a entrambi? Non si tratta di una scusa o di pigrizia. La stanchezza che sentivi quando lavoravi era reale e profonda.

Ti succede di sentirti stanco all’improvviso mentre un momento prima avevi l’energia vitale adatta a compiere qualunque azione?

Ti succede di sentirti stanco all’improvviso mentre un momento prima sapevi di avere l’energia vitale adatta a compiere qualunque azione? Prova a seguire questo mio ragionamento. Potrebbe aiutarti a comprendere le cause della tua personale stanchezza e trovare finalmente una soluzione.
La tipologia di stanchezza di cui parlo adesso non ha a che fare con l’energia vitale. Se invece ti trovi in difficoltà per una mancanza di vitalità leggi questi consigli: possono aiutarti a capire come muoverti per iniziare a stare meglio fin da oggi.

Un aiuto dall’etologia

La Biopsicogenealogia, uno degli strumenti che ho integrato nel mio metodo della Bioconsapevolezza, usa anche l’osservazione del comportamento animale per comprendere i sintomi degli esseri umani. Torniamo alla genesi della stanchezza improvvisa o meglio altalenante, partendo da una similitudine etologica.
La pecora è un animale debole, senza difese, che ha come unica protezione quella del branco. Vivere e spostarsi all’interno del gregge permette alle pecore di ingannare almeno in parte il predatore, fingendo di essere un animale più grosso. L’unione fa la forza. Molti pesci piccoli, come le sardine, si comportano allo stesso modo.

Quando la pecora si perde si ritrova sola, smarrita, isolata e senza più difese. Lontano dal gregge il suo stress aumenta in modo significativo, perché il rischio di essere aggredita da un predatore è tangibile. Per lei qualsiasi spostamento è nella direzione errata, eccetto lo spostamento che la riporterebbe nel suo branco.

Il corpo si attiva in aiuto della pecora

Se la pecora ha tanta energia a sua disposizione, rischia di correre dalla parte sbagliata, allontanandosi ancora di più dal gregge di appartenenza. Lo stress fa allora scattare un meccanismo biologico per proteggere questa preda. Il corpo prende le redini della situazione: il cervello ordina di diminuire la secrezione di cortisolo (è un tipo di cortisone naturale) da parte delle ghiandole surrenali, creando nella pecora una stanchezza profonda, che le impedisce di muoversi. In questo modo il rischio che si perda maggiormente viene evitato.

Nel momento in cui, finalmente, la pecora è di nuovo in contatto visivo, auditivo oppure olfattivo con il branco o con il cane pastore, la sua biologia innesca il meccanismo opposto. Il cervello ordina alle surrenali di aumentare la secrezione di adrenalina, innescando una potente fonte di energia che permette alla pecora smarrita di avere le forze sufficienti per ricongiungersi nel tempo più breve possibile al branco.

La pecora è un animale debole, senza difese, che ha come unica protezione quella del branco

Anche tu puoi sentirti smarrito

Quando un essere umano si sente solo, perso, isolato dal suo “branco” può essere colto da questa grande stanchezza improvvisa, proprio come quella che si innesca nella pecora smarrita. Il primo gregge per noi esseri umani è generalmente la famiglia, stretta o allargata. Poi nel tempo il gregge può diventare il gruppo di amici che si conosce da una vita, o l’insieme dei colleghi. Lontane dal branco alcune persone si sentono incredibilmente stanche fisicamente ed emotivamente apatiche. Si parla anche di Conflitto della pecora smarrita.

Lontane dal branco alcune persone si sentono incredibilmente stanche fisicamente ed emotivamente apatiche

L’energia va e viene

Di solito coloro che presentano questa difficoltà vivono alti e bassi. Trovano in se stessi una grande energia vitale che in alcuni momenti sembra non essere più disponibile, come se ci fosse da qualche parte nel loro corpo un tasto on/off. E i periodi off possono durare dei mesi, così a lungo che spesso a queste persone viene diagnosticata una depressione.

Quando vivi un lutto a causa della perdita di più persone care contemporaneamente o in un breve lasso di tempo, ad esempio, può innescarsi questo meccanismo. Ma anche se ti trasferisci lontano dai tuoi affetti puoi essere assalito regolarmente dalla stanchezza legata al Conflitto della pecora smarrita.

Stanchezza o depressione?

Quando lavoravo come medico di famiglia mi è capitato di avere in cura dei migranti, che si ritrovavano in un paese straniero senza nessuno accanto. L’intera famiglia viveva ancora nel Paese d’origine. Questa situazione di isolamento, aggravata da una scarsa (o nulla) conoscenza della lingua e della cultura del Paese di arrivo, li faceva sentire completamente smarriti. Subivano quindi una stanchezza profonda con apatia e spesso arrivavano da me con una diagnosi di depressione cronica fatta da un collega.

Quando la stanchezza è altalenante e sembra non avere una spiegazione, perché non c’è una patologia organica concomitante, spesso si ipotizza o una depressione oppure uno squilibrio nell’apporto di micronutrienti. Invece una spiegazione ci può essere. Devi essere tu a capire se e quanto la tua stanchezza può essere in realtà legata allo smarrimento. Dipende ovviamente dalla situazione che stai vivendo.

Le persone che vivono la difficoltà di essere isolate dal proprio “branco” hanno regolarmente fasi di apatia, non hanno voglia di fare nulla e si sentono svuotate dalle emozioni. Il problema risiede proprio nella lontananza dal clan di appartenenza, sia in senso stretto sia allargato.

Quando la stanchezza è altalenante e sembra non avere una spiegazione spesso si ipotizza una depressione ma la ragione è un’altra

Superare la lontananza in modo simbolico

Nel caso in cui non ci si possa riconnettere fisicamente con i propri cari per diversi motivi, consiglio di realizzare un piccolo album fotografico in cui poterli riunire almeno simbolicamente, da portare sempre con sé.
Se vivi questa situazione prova a farlo e guarda spesso quest’album con l’intento di riconnetterti al tuo clan simbolicamente. È un consiglio che funziona e può aiutarti concretamente a sentirti di nuovo in forma, anche se il tuo gruppo di appartenenza non c’è più o è sparpagliato per il mondo. L’album ti aiuterà a sentirti ancora parte del gruppo.

L’album con le foto di famiglia ti aiuterà a sentirti ancora parte del gruppo

Stanchezza, menopausa o effetto pensione?

Le donne che si sono occupate per una vita dei figli e della casa, una volta che i bambini crescono fino a diventare adulti e farsi una vita propria, possono venire assalite da una incredibile stanchezza. Si sentono non solo sole e senza forze, ma anche apatiche e prive di uno scopo. Di frequente viene detto loro che stanno entrando in menopausa e che questi sintomi dipendono da un cambiamento ormonale. Invece la causa spesso è da imputarsi proprio al Conflitto della pecora smarrita.

Talvolta si scambia il Conflitto della pecora smarrita per un cambiamento ormonale legato alla menopausa

Qualcosa di simile può accadere a tutti coloro che hanno lavorato per una vita e vivono la pensione come uno shock. Perché hanno perso non solo il proprio clan sociale di riferimento (i colleghi) ma anche lo scopo principale per cui si alzavano al mattino.
Ti riconosci in questa descrizione? Prova a cambiare direzione trovando un nuovo gruppo con cui condividi passioni e modi di pensare. Cerca di dedicarti a qualcosa che avresti sempre voluto fare quando non avevi tempo libero.

Quando possibile, consiglio sempre di agire preventivamente preparandosi per tempo al cambiamento. Se sei prossimo alla pensione cerca un nuovo gruppo di riferimento, come un’associazione per esempio, e una o più attività che ti piacciano davvero.
L’obiettivo è sapere come impiegare proficuamente il tempo per svegliarsi al mattino con la voglia di fare, prima di entrare in pensione o prima che l’ultimo figlio grande esca di casa.

Quando si prende la strada sbagliata

Il conflitto della pecora smarrita può avere una declinazione particolare che riguarda coloro che sentono di aver imboccato la strada sbagliata. Sto parlando per esempio di chi si ritrova a fare un lavoro che detesta o a studiare qualcosa che non gli interessa. Persone costrette a fare quotidianamente o comunque per buona parte della loro giornata qualcosa che non amano affatto, in seguito a una scelta che considerano sbagliata. Il risultato è lo stesso: grande stanchezza e apatia che improvvisamente sembrano scomparire nel weekend o non appena si ha la possibilità di riconnettersi con qualcosa che si ama.

Grande stanchezza e apatia possono scomparire appena si ha la possibilità di riconnettersi con qualcosa che si ama

Cosa Fare

Se sei stato costretto a lungo ad agire contrariamente al tuo sentire per obbligo o necessità, siediti e prenditi del tempo per te stesso. Fai un punto della situazione cercando nuovi obiettivi in linea con chi sei veramente. Comincia rispondendo a queste domande. Cosa ti piace nella vita? Che cosa nutre la tua gioia? Cosa fai con facilità ed entusiasmo?
Quando la stanchezza nasce dallo stress della pecora smarrita, si può lavorare con la Biokinesiologia per riconnettersi alla propria direzione interiore, sbloccando la situazione per avere nuovamente accesso a energia e risorse.

Se c’è un trauma infantile

Capita spesso che il Conflitto della pecora smarrita nasca da un trauma vissuto durante l’infanzia. Ad esempio un ricovero in ospedale, un momento spaventoso per un bambino, che si ritrova in un luogo ostile completamente solo, senza le figure di riferimento. Mi viene in mente anche il caso di un bambino che si era smarrito su una strada di montagna: camminando davanti ai propri genitori aveva preso il bivio sbagliato. Una brutta avventura conclusasi bene dopo qualche ora.

Ma la difficoltà può nascere pure da un allontanamento momentaneo dalla propria famiglia. Pensiamo ad esempio ai bambini molto piccoli che si perdono in un supermercato. Non hanno il senso del tempo e quella mezzora di smarrimento e solitudine può fissarsi in modo inconscio nel loro io profondo. Da adulti non se ne ricordano neppure, o magari ne parlano scherzandoci su. In realtà l’evento a volte ha lasciato strascichi che si ripercuotono sul presente sotto forma di lunghi momenti di stanchezza. Perché quel momento è stato vissuto in modo acuto e drammatico.

Da bambino ti sei mai perso rimanendo separato dai tuoi genitori?

Come sempre, dopo aver indagato la storia personale alla ricerca di indizi riconducibili a un momento di isolamento e perdita del proprio clan vissuto in modo drammatico, grazie alla Biopsicogenealogia è possibile indagare nel passato dei propri antenati. Magari c’è stato un parente che non è più tornato dalla guerra o che a causa della guerra ha vissuto una prigionia all’estero, o ancora un momento di isolamento difficile e spaventoso.

Conoscere se stessi è il primo passo

Per risolvere la stanchezza altalenante che nasce dal Conflitto della pecora smarrita è importante innanzitutto lavorare per conoscere se stessi e riconnettersi alla propria direzione interiore. Darsi degli obiettivi e degli scopi ben precisi quotidiani legati ai propri talenti è una chiave importante per lasciarsi alle spalle stanchezza e smarrimento.

Darsi degli obiettivi e degli scopi ben precisi legati ai propri talenti aiuta a lasciarsi alle spalle stanchezza e smarrimento

Ognuno di noi è un piccolo niente nell’universo ma un piccolo niente unico e irrepetibile. Tale è il contributo che sei venuto a portare nel mondo. Questo contributo non deve essere necessariamente qualcosa di grande e importante, non serve che tu operi per forza per la pace nel mondo. L’importante è che tu possa esprimere con gioia quello che sei veramente.

Come aiutare i figli a crescere felici e in salute

Come aiutare i figli a crescere felici e in salute

Aiutare i figli a crescere felici e in salute è possibile. In questo articolo propongo ai genitori di operare un cambiamento radicale in quello che è il loro modo abituale di pensare e preoccuparsi per il benessere dei figli.

Vengo spesso contattata da genitori desiderosi di aiutare i propri figli. Alcuni sono neo genitori e vorrebbero crescere figli felici e in salute fin da neonati. Si tratta di persone in cerca dell’approccio “giusto” per salvaguardare la salute e il benessere della famiglia. Altri hanno figli già adulti che stanno vivendo momenti di difficoltà o che stanno affrontando una malattia.

 

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Aiutare può essere difficile

Talvolta i genitori si sentono impotenti di fronte a un problema del proprio figlio sia per l’ampiezza del problema sia perché il figlio non vuole essere aiutato. Magari tuo figlio sta male ma è in una fase di rifiuto dei propri sintomi e non te ne vuole parlare. Oppure si fida di altre persone però a te sembra che non stia ricevendo tutto l’aiuto di cui ha bisogno. O ancora la relazione con i tuoi figli manca di comunicazione e fiducia a causa di alcune vecchie divergenze. Talvolta i figli rifiutano l’aiuto dei propri genitori in modo categorico.

Talvolta aiutare è difficile perché l’altra persona non vuole essere aiutata

Aiutare i figli a crescere felici richiede un cambio di paradigma

Esiste però un modo molto efficace di aiutare i propri figli, indipendentemente dal loro comportamento e dalle specificità della situazione. Come puoi fare? Lavorando sul tuo equilibrio e sul tuo benessereAncora una volta, a mettere il bastone tra le ruote è (spesso) la cultura nella quale siamo cresciuti. La società occidentale (ma non solo) propaga di generazione in generazione l’idea che ci si debba sacrificare per i propri figli. Chi rinuncia a tutto per cercare di fare stare bene i figli è un bravo genitore, da prendere ad esempio. Prova a chiederti se anche tu, più o meno consapevolmente, la pensi così. Ora ti propongo di accantonare questa convinzione per qualche minuto e aprirti a un nuovo punto di vista.

Pensi anche tu che il bravo genitore sia quello che si sacrifica?

Un sostegno dalla Biopsicogenealogia

La Biopsicogenealogia ci insegna innanzitutto che ognuno porta in sé la memoria della sua famiglia, della sua tradizione, della sua specie. Sei vivo, ovvero esisti, grazie e anche attraverso i tuoi antenati, che nel fare passare la Vita, ti hanno regalato positività e capacità di agire e reagire ma anche alcune difficoltà o problematiche non risolte.

Ognuno porta in sé la memoria della sua famiglia, della sua tradizione, della sua specie

Ereditiamo programmi biologici che si esprimono sotto forma di comportamenti o sintomi, che a volte ci allontanano da quello che sarebbe il nostro modo personale di vivere una determinata situazione.

Non solo: la memoria inconscia della famiglia è trasmessa al bambino, che si comporta nel corso di tutta la sua esistenza secondo il desiderio implicito (perché inconscio) dei genitori e concretizza in modo inconsapevole lo scenario di vita del proprio branco familiare.

Il figlio concretizza in modo inconsapevole lo scenario di vita del proprio branco

Ogni singolo aspetto della propria vita può essere riportato alla storia famigliare. Per spiegarmi meglio condivido due esempi che incontro spesso. Un figlio maschio non esprime pienamente il suo potenziale di maschio perché nella genealogia, diversi uomini non sono stati degni: possono essere stati violenti o inaffidabili. Una donna diventa una professionista di successo tralasciando l’ambito affettivo perché le donne della sua genealogia hanno patito la carenza di autonomia a livello economico. E così via.

Il bambino da questo punto di vista rappresenta la soluzione perfetta dei conflitti dei suoi antenati. Si tratta di regole biologiche alla base dell’intero sistema che promuove la continuazione della specie umana. I genitori non sono né vittime né colpevoli.

Una questione di equilibrio

L’equilibrio e l’armonia di ogni persona sono influenzati dall’equilibrio e dall’armonia del suo sistema di origine, cioè dalla famiglia. Questo fatto permette ai genitori di avere un potere positivo sul benessere dei propri figli.

Senza bisogno di agire direttamente sui tuoi figli puoi comunque promuovere la loro salute e il loro benessere.

Puoi aiutare i figli a crescere felici e in salute senza agire direttamente su di loro

Le costellazioni famigliari ci insegnano che in un sistema la prima fonte di armonia deriva dal fatto che ognuno sia al proprio posto. In questo articolo, il sistema che prendo in considerazione è quello famigliare vero e proprio. grandi devono stare al posto dei grandi, i piccoli al posto dei piccoli. E nessuno deve essere escluso. Cerchiamo di capire meglio cosa significa.

Ognuno al suo posto

Quando adulti e bambini vivono secondo il proprio ruolo, i flussi che riguardano dare e ricevere sono rispettati. I grandi danno ai piccoli e i piccoli ricevono e prendono dai grandi. Quando però un bambino per varie ragioni si “sostituisce” in modo più o meno conscio all’adulto e cerca di proteggere il proprio genitore, di rispondere alle sue richieste, di renderlo felice, allora questo equilibrio si rompe. Può accadere per varie ragioni, ad esempio una crisi familiare legata a un lutto, un momento di depressione della madre dovuta a un divorzio e così via.

Quando il bambino prova ad assumersi il ruolo del genitore l’equilibrio naturale delle cose si rompe

Se i piccoli cercano di fare gli adulti si imbarcano in una missione impossibile. Come l’acqua di una cascata che prova a scorrere in modo contrario alla forza di gravità, salendo anziché scendere. Quando è l’adulto che dà al bambino, invece, il movimento è sostenuto dalle leggi naturali e non richiede fatica.

Consigli pratici per crescere figli felici e in salute

Partendo dalle basi di Biopsicogenealogia e di Costellazioni Famigliari che ho condiviso, se sei un genitore e vuoi aiutare i tuoi figli, mi permetto di darti sei consigli.

1-Riporta equilibrio nella tua famiglia di origine

Verifica di essere al tuo posto. Comportati da piccolo nei confronti dei tuoi genitori. Giudicarli o essere iperprotettivo, ad esempio, significherebbe sostituirti a loro come adulto, rompendo l’equilibrio e il naturale fluire delle relazioni. Come conseguenza, non puoi ricevere da loro tutto quello che possono e dovrebbero darti come genitori… Potresti inoltre trovarti a chiedere quello che ti manca ai tuoi figli, perpetuando lo squilibrio. Un movimento faticoso perché contro corrente. Stai attento a comportarti da adulto nei confronti dei tuoi figli anche se sono già cresciuti.

I piccoli devono ricevere dai grandi, non viceversa

2-Prendi il tuo posto di adulto nei confronti dei tuoi figli

Sostieni i tuoi figli senza eliminare ogni ostacolo che incontrano. Occupa il tuo posto di grande nei confronti di tuo figlio all’interno della tua famiglia acquisita, quella che ti sei costruito. Ma attenzione a come lo fai. Molti genitori vorrebbero proteggere il proprio figlio da ogni dolore, da ogni difficoltà. C’è un fatto però da accettare: nessuno di noi può vivere esperienze o compiere determinate azioni al posto di qualcun altro: è impossibile. E cercare di farlo è anche controproducente.

Prendere il tuo posto di grande significa assumerti la responsabilità di educare, dare, proteggere, sostenere e rispondere alle richieste dei tuoi figli. Ciò però non significa spianare loro la strada, evitando che affrontino qualunque tipo di ostacolo, dolore o sfida. Togliendo loro l’opportunità di sperimentare, sbagliare, imparare, confrontarsi e conoscersi rischi di farne degli adulti meno sani e meno felici, non il contrario.

Io invece ti sto parlando di educare i figli nel senso etimologico della parola: ex-ducere significa tirare fuori. Educare non è imbottire di sapere, convinzioni, modi di essere e di pensare. Non è scolpire le mente e lo spirito dei bambini per raddrizzarli e per farne degli adulti con una struttura precisa, dogmaticamente “giusta”.

Educare è tirare fuori non mettere dentro

Educare per aiutare i figli a crescere felici e in salute significa favorire l’espressione del potenziale dei tuoi bambini, che nascono con competenze e caratteristiche varie, adatte al mondo di oggi e soprattutto di domani. Accogli la loro differenza con curiosità. Con la fiducia e la consapevolezza che i bambini di oggi sono adatti a essere gli adulti di domani.

I bambini di oggi sono adatti a essere gli adulti di domani

 3-Prendi il tuo posto di piccolo riguardo alla Vita

Mettere a disposizione dei tuoi figli quello che sei e quello che sai è già tanto. A volte, nel farti carico della responsabilità di educare, potresti assumere comportamenti ansiosi e dittatoriali, perché vorresti onorare la missione impossibile di controllare il tuo bambino, la sua crescita e il suo destino. Non si può fare.

Controllare il tuo bambino, la sua crescita e il suo destino? Non si può fare

Per evitare questa trappola, è importante (anche) ricordarsi che siamo un piccolo niente nell’universo. Impegnati a stare al tuo posto non solo nei confronti del tuo nucleo famigliare ma anche nei confronti della Vita, che scorre dentro ognuno di noi. C’è un Grande Destino per ciascuno. Quello che sei e quello che fai al tuo livello di essere umano è già abbastanza impegnativo. Non ti viene chiesto nient’altro.

4-Rispetta il padre o la madre di tuo figlio

Accade che l’altro genitore non si comporti come il padre o la madre ideale che tu hai in testa per tuo figlio. Cerca di capire e accettare il fatto che i bambini non hanno bisogno di genitori ideali ma di quegli specifici genitori. Prova ad accettare umilmente nel tuo cuore l’altro genitore come figura di riferimento giusta per tuo figlio. Paradossalmente questo è vero anche nel caso di quei genitori inaffidabili o assenti. Così facendo permetterai al bambino di attingere a tutto il suo potenziale, favorendo la sua realizzazione nel mondo. Sarà un modo ottimale di aiutare i figli a crescere felici e in salute.

I bambini non hanno bisogno di genitori ideali ma di quegli specifici genitori

Ogni volta che critichi l’altro genitore, stai criticando la metà dei geni ricevuti dal padre o dalla madre. La richiesta che inconsciamente stai facendo al tuo bambino (o figlio adulto) è quella di non attingere a quel potenziale genetico, emotivo ed esperienziale a sua disposizione grazie a suo padre o a sua madre. In pratica gli chiedi di amputare il suo potenziale.

Se non vuoi accettare l’altro genitore perché lo ami e lo rispetti fallo per amore e rispetto nei confronti del tuo bambino. Gli farai un regalo enorme.

Potenziali amputati

Se, per una ragione o l’altra, il figlio non può prendere dal padre o dalla madre tutto il potenziale a sua disposizione, dovrà adattarsi e farà più fatica nella vita. Il tipo di vuoto causato da questa mancanza influenzerà in modo specifico la sua esistenza.

La mancanza delle risorse materne influenzerà la sua relazione con il cibo, con l’abbondanza e la sua relazione di coppia. La mancanza delle relazioni paterne invece influenzerà il suo lavoro, la sua realizzazione nel mondo e il suo successo.

Accetta come giusto l’altro genitore di tuo figlio, chiunque sia

5-Reintegra ogni escluso

Un’altra causa di squilibrio all’interno del sistema-famiglia è l’esclusione di un membro del gruppo. Il padre, la madre o un antenato. È importante invece non escludere un membro della famiglia negandogli il suo posto. Cosa che potrebbe succedere per varie ragioni. Capita ad esempio quando un parente ha agito in modo considerato “vergognoso”. Magari perché è un uomo e si è suicidato all’interno di una cultura in cui questo atto è considerato peccato, oppure è una donna che è rimasta incinta al di fuori del matrimonio. O ancora un famigliare che comportandosi in modo disonesto e finendo in carcere ha rovinato la dignità della famiglia.

C’è anche chi non ha il suo posto nel gruppo perché è stato dimenticato. È il caso dei bambini morti di cui si cerca di cancellare la memoria. Infine può capitare che un membro della famiglia non sia riconosciuto come tale perché nessuno o quasi sa che esiste: pensiamo al caso di un bambino nato fuori dal matrimonio e non riconosciuto dal genitore.

6-Chiedi una mano per aiutare meglio i figli a crescere felici e in salute

Come fare per prendere il tuo posto, non escludere nessuno e favorire il tuo equilibrio allo scopo di crescere figli felici e in salute? Nella mia esperienza, gli strumenti come le Costellazioni Famigliari, le Biocostellazioni®, la Biopsicogenealogia, la Bioconsapevolezza e ogni sostegno alla crescita personale sono di aiuto a questo scopo.

Vuoi iniziare a fare questo percorso da solo? Ti consiglio di indagare e ricostruire il tuo albero genealogico: è un primo passo per, simbolicamente, rimettere ognuno al proprio posto. Almeno sulla carta.

I genitori sono esempi viventi

Conosci te stesso, prendi il tuo posto, impara a rispettarti, trova le strade per perseguire la tua felicità: il tuo esempio vivente sarà per i tuoi figli un insegnamento mille volte più potente di qualunque grande discorso.

Conosci te stesso, impara a rispettarti, trova le strade per la tua felicità

Per concludere voglio salutarti con alcuni versi tratti da una poesia di Khalil Gibran

 

I vostri figli non sono figli vostri…

sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.

Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.

Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.

(…)

Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.

L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.

Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere,

poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano

e l’arco che rimane saldo.

Khalil Gibran 

Dall’attaccamento all’accettazione, cambia la vita con un sì

Dall’attaccamento all’accettazione, cambia la vita con un sì

L’attaccamento si verifica ogniqualvolta, di fronte a un evento che consideri avverso, ti arrabbi e ti disperi, perché avresti voluto che le cose andassero diversamente. Provi emozioni intense e durature che a volte continuano a ripresentarsi per una vita intera, abbassando la tua energia vitale. Rimugini sul fatto che le cose siano “andate storte”, ti rimproveri per le parole dette o le scelte fatte. L’attaccamento è l’opposto dell’accettazione.

Quando lasciamo spazio all’accettazione, prendiamo atto che qualcosa è successo anche se questo qualcosa non ci piace ed è doloroso. Accettazione significa accogliere qualsiasi evento così com’è. Può sembrarti impossibile fare un passo verso l’accettazione, invece puoi riuscirci anche tu e vorrei spiegarti perché è importante per la tua salute.

Accettazione significa accogliere qualsiasi evento così com’è

 

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Un problema molto diffuso

Se anche tu sei preda dell’attaccamento non devi stupirti. È normale per l’uomo e lo è soprattutto per chi nasce in occidente. Fin da piccoli veniamo cresciuti nella convinzione che possiamo plasmare la nostra vita: con un po’ di impegno anche noi potremo vivere la nostra favola ed evitare il dolore. Così, quando il dolore inevitabilmente bussa alla nostra porta, ci stupiamo e ci arrabbiamo.

L’attaccamento può interessare non solo il passato ma anche il futuro: siamo attaccati all’idea che tutto debba svolgersi secondo i nostri piani e questo crea ansia e insicurezza.

Sei attaccato all’idea che tutto debba svolgersi secondo i tuoi piani?

Metti nero su bianco quello che non riesci ad accettare

Ti consiglio, subito dopo aver letto questo articolo, di fare un esercizio: prendi un foglio e scrivi in forma di elenco tutte quelle situazioni presenti e passate che senti di non aver accettato. Fallo senza filtri, cercando di sospendere qualunque giudizio. Le emozioni negative che provi riguardo a situazioni passate o presenti possono servirti da filo conduttore nella tua indagine. Magari non accetti di essere nato nella tua famiglia oppure non ti capaciti di aver fatto una scelta professionale “sbagliata”. O sei arrabbiato per come è morta una persona cara.

Tutti, nella nostra vita, affrontiamo situazioni ed eventi che viviamo con piacere e altri con dolore. Avere un ideale assolutistico di riferimento, però, ci fa sentire profondamente offesi quando le cose non vanno “per il verso giusto”. Spesso ci sentiamo vittime degli altri o di un’Autorità che, nella nostra testa, se la prende con noi: Dio, la Vita, l’Universo, qualunque nome vogliamo dare a questo “qualcosa più grande di noi”. Ovviamente tutto questo vissuto, questo pathos, è influenzato dalle nostre convinzioni culturali, spirituali e religiose.

Paradossalmente, l’attaccamento al benessere e una mancata accettazione del dolore ci espongono al rischio di vivere una sofferenza intensa e duratura.

L’attaccamento al benessere ti espone al rischio di vivere una sofferenza intensa e duratura

Un diverso punto di vista

Dagli insegnamenti spirituali che arrivano prevalentemente dall’oriente possiamo imparare che siamo sulla Terra per fare delle esperienze, e quando abbiamo finito di fare queste esperienze torniamo da dove siamo venuti.

Qualcuno di noi dovrà vivere esperienze che richiedono un lungo periodo di tempo, qualcun altro resterà sulla Terra per pochi anni di vita. E c’è addirittura chi conclude il suo viaggio senza neppure uscire dall’utero materno.

Secondo questo nucleo di convinzioni, la nostra anima sa benissimo cosa deve imparare e quale tipo di esperienze siamo destinati a vivere, quindi sceglie di conseguenza l’epoca, il luogo, la famiglia e il corpo più adatti, con tutti i loro pregi e tutte le loro mancanze e difetti.

Non abbiamo potere di vita o di morte

Per me è diventato ovvio che noi, da piccoli umani quali siamo, non abbiamo potere di vita e di morte. Pur avendo un margine di libero arbitrio e di scelta, viviamo quello che è possibile vivere, quello che il nostro Universo contempla.

Quando dico che non abbiamo potere di vita e di morte penso anche ai colleghi medici, che spesso vivono la morte dei loro pazienti come un fallimento personale. Ho in mente le coppie che non riescono ad avere figli, cioè a dare la vita, ma anche quei genitori che si sentono in colpa per non essere stati capaci di proteggere abbastanza un figlio ed evitare la sua dipartita.

Rimettersi al proprio posto di esseri umani, lasciare andare l’idea astratta di perfezione, permette di ridimensionare il proprio compito sulla Terra. Possiamo così, semplicemente, impegnarci a fare il meglio che possiamo, fiduciosi che esista un Senso, spesso inafferrabile alla nostra coscienza di uomini e donne. Nella mia esperienza, questi passi sono decisivi per vivere la vita in modo più sereno.

Impegnati a fare del tuo meglio, fiducioso che esista un Senso inafferrabile alla tua coscienza

Attaccamento positivo e attaccamento negativo

Un minimo di attaccamento alla Terra e alla vita terrestre fa parte della vita ed è sensato, altrimenti non avremmo nessuna spinta per tutelare la nostra sopravvivenza. Quando però l’attaccamento alla vita terrestre è prepotente ed esagerato, ti richiede talmente tanta energia da rischiare di ucciderti. L’attaccamento ti obbliga a vivere in uno stato di tensione perenne.

L’attaccamento ti obbliga a vivere in uno stato di tensione perenne

Quando l’attaccamento prende il sopravvento non riesci mai a rilassarti e perdi la capacità di percepire la realtà nel qui e ora. Non riesci più a distinguere tra ciò che è vitale e ciò che è mortale. Non hai più accesso alla capacità istintiva che solitamente consente di sentire se qualcosa accresce la tua vitalità oppure la consuma e la distrugge.

Cosa accade quando perdi il contatto con la realtà

Privato del contatto con le reali sensazioni del momento, diventi un individuo tutto testa, senza più un corpo. È così che la tua mente concepisce dei dogmi che iniziano a condizionare la tua intera esistenza, anche se non hanno alcun legame con la reale situazione che stai vivendo.

In queste circostanze le tue azioni sono influenzate da pensieri irrazionali. Di conseguenza risultano incoerenti rispetto alla realtà. Entri in uno stato di re-azione e ti centri sul problema. La tua risposta è spesso automatica e di difesa. Perdi di vista i tuoi obiettivi fondamentali e spesso sei spinto ad agire in modo altamente controproducente.

Puoi dire sì al trauma

Quando un evento avverso ci piomba addosso possiamo rispondere di no al trauma, cioè non accettarlo, oppure di sì. Dire sì significa accettare che qualcosa che consideriamo negativo è successo, anche se non ci fa piacere. Possiamo non essere d’accordo con quanto è accaduto ma prendiamo atto che è successo.

Dire di no invece vuol dire staccarsi dalla realtà e cadere nella spirale dell’attaccamento. Puoi sempre dire di no a un evento negativo ma questo non cambia il fatto che si è verificato.

Puoi dire di no a un evento negativo ma questo non cambia il fatto che si è verificato

Cosa fa il no alla tua vita

Quando dici di no vince la propensione all’attaccamento. E nascono i giudizi e i pensieri assolutistici, che ti allontanano dalla realtà.

Di conseguenza vivi l’evento avverso in modo acuto e drammatico. Perdi contatto con l’ampiezza della realtà dei fatti. Il tuo sguardo si restringe sul problema. Mancando una visione d’insieme, trovare soluzioni a quanto è accaduto diventa ancora più difficile. Potresti persino fare fatica a renderti conto che le tue azioni in reazione a quello che non accetti hanno conseguenze negative peggiori della situazione iniziale.

Quando vince l’attaccamento, gli obiettivi da raggiungere si trasformano in esigenze assolute. Agisci come se tu fossi Dio. Questo atteggiamento provoca ansia e disarmonia perché è del tutto irrazionale. I pensieri assolutistici consumano tanta energia e bloccano il fluire armonioso della Vita dentro di te.

Come abbiamo sottolineato in altri articoli di questo blog, l’eccesso di stress e la carenza di energia portano alla malattia. Hai detto di no a un evento avverso perché hai pensato che avrebbe rovinato la tua vita, ostacolato la tua felicità. Invece è il tuo no che ti sta facendo soffrire sempre di più.

I pensieri assolutistici consumano tanta energia e bloccano il fluire armonioso della Vita

Il no ti precipita verso la condanna

In tempi brevissimi il no porta alla condanna: condanna di sé e degli altri, di tutto quello che consideri causa della situazione che non hai accettato. Te la prendi con te stesso perché ti sei “cacciato nei guai”, sei arrabbiato con gli altri che non fanno nulla per migliorare le cose, ce l’hai con Dio o con l’Universo, ti senti solo al mondo…

Dire no porta alla separazione: si diventa scontrosi, incapaci di empatia, non si ascoltano più le ragioni degli altri. Il confronto aperto diventa impossibile. Dire no porta all’opposizione e scoppiano continui litigi.

Dire no porta a condannare, separarsi e opporsi

Un’energia distruttiva ti invade in modo più o meno importante. Vivendo la situazione in modo intollerabile, acuto e drammatico, desideri fortemente che cessi al più presto. Quali mezzi dovrai usare per uscirne non ti interessa più. Desideri sparire tu o fare sparire gli altri. Cancellare chiunque pensi che sia responsabile del dolore. Agendo in questo stato alterato potresti fare qualcosa di molto peggio dell’evento iniziale che ha scatenato il trauma.

Ti illustro con qualche esempio cosa intendo per azioni irrazionali e controproducenti rispetto al desiderio o alla volontà iniziale. Ti separi da una persona amata perché non passavate abbastanza tempo insieme. Fai una guerra per ottenere pace e rispetto. Utilizzi terapie tossiche su persone sane per evitare che si ammalino. In pratica prendi provvedimenti più deleteri della situazione iniziale che rifiuti.

Qualunque sia la realtà dei fatti sei molto, molto teso e il tuo livello di stress è altissimo. Il corpo deve necessariamente intervenire per aiutarti a risolvere questa situazione. Oltre al malessere psicologico iniziano a manifestarsi dei veri e propri sintomi fisici di malattia.

Quando dici di no alzi talmente tanto il livello di stress da costringere il corpo a intervenire

Capire le ragioni alla base dell’attaccamento

Siamo portati all’attaccamento perché crediamo erroneamente che tutto ciò a cui siamo attaccati (familiari, amici, oggetti, professioni, dogmi, convinzioni, status sociale, identità…) ci porti energia. Invece, l’attaccamento ha conseguenze deleterie su di noi.

  • Limita il movimento vitale fisico, emotivo e spirituale, proprio della Vita. La paura di perdere ci spinge a non ascoltare con costanza il movimento vitale interiore, che ci porterebbe verso esperienze nuove e situazioni ignote. Metaforicamente, è come se il melo fosse attaccato ai suoi fiori e resistesse alla trasformazione che da sempre gli permette di creare frutti.
  • Non fornisce l’energia adatta al singolo individuo. Aggrappandosi a quello che crediamo indispensabile, non abbiamo le mani libere per ricevere l’abbondanza adatta a noi in ogni singolo momento.
  • Riduce lo spazio mentale e spirituale. L’attaccamento ci chiude per esempio alla curiosità e all’opportunità di evolvere.

Ti attacchi a ciò che pensi sia vitale per te ma invece l’attaccamento ti toglie vitalità

Il grande potere del sì

Quando dici sì vince l’accettazione. La percezione della realtà che ti circonda e dell’accaduto rimane realistica.

Attenzione: accettazione non è sinonimo di sottomissione o rassegnazione. Quando provi rassegnazione significa che non hai accettato il trauma ma che a malincuore hai cercato di fartene una ragione. Andando in questa direzione sei comunque nella spirale negativa del no.

Accettazione non è sottomissione o rassegnazione

Contrariamente a quello che di solito si teme, è possibile accettare la realtà così com’è e al contempo mantenere vivi i propri desideri. Ti connetti a quanto è accaduto ma resti connesso anche ai tuoi desideri profondi. Stando in contatto con la realtà, in ogni momento, ti concentri su quello che puoi fare per stare bene nonostante quanto è successo.In pratica, non re-agisci ma agisci. Rimani centrato su quello che è importante per te. Hai ben chiaro il tuo intento e tendi alla realizzazione del tuo obiettivo.

Concentrati su quello che puoi fare per stare bene nonostante quanto è successo

Quando dici sì i tuoi pensieri rimangono razionali e sono utili a raggiungere i tuoi scopi. Portano a reazioni emotive proporzionate e adeguate all’evento. Di fronte a un fatto indesiderato ti porrai delle domande, cercherai di trarne degli insegnamenti, potrai sentirti dispiaciuto ma non disperato o sopraffatto. Il trauma si trasforma in un’occasione di crescita interiore.

Il trauma si trasforma in una occasione di crescita interiore

Responsabilità e Gratitudine

Rimanendo in contatto con la realtà sei in grado di prenderti la tua parte di responsabilità (se ne hai), senza colpevolizzarti. Puoi cercare attivamente una soluzione proficua. Riesci a capire se quanto è successo è immutabile o può essere cambiato. Puoi comprendere che da un fatto negativo potresti uscirne persino rinnovato, più forte e felice di prima.

Puoi arrivare a provare persino gratitudine, perché in qualche modo Dio, l’Universo o chi per lui ti hanno inviato un segnale. Dolore e disagio ti hanno indicato un cambiamento necessario o un aspetto di te stesso su cui puoi lavorare per rinforzarti o addirittura trasformarti.

Grazie al sì mantieni uno Stato di visione unitaria: tu, gli altri e persino l’evento negativo che hai vissuto, fate tutti parte di un Unicum. Puoi quindi condividere la situazione difficile con le persone coinvolte. Arriverai a chiederti cosa potete fare insieme per stare tutti bene.

Il sì porta energia costruttiva

L’energia che ti pervade quando dici sì a un disagio oppure a un evento negativo è costruttiva e porta maggiore benessere. Non entri in conflitto né con te stesso né con gli altri. Il tuo corpo non ha bisogno di prendersi carico di una quantità eccessiva di stress perché non si è innescato il meccanismo dell’attaccamento. Le tue cellule mantengono l’omeostasi, l’equilibrio è preservato.

Lo stress è adatto a quello che sperimenti. Sei in tensione quando c’è un reale pericolo e serve agire per cambiare la situazione. Sei invece rilassato quando le circostanze lo permettono.

Evolvere in armonia con la Vita

Anche gli eventi avversi sono opportunità di crescita, di insegnamento, di evoluzione. Qualcuno dice che evolvere è l’obiettivo principe di questa esperienza sulla Terra. Quando diciamo di no ai traumi e agli accadimenti negativi, blocchiamo il fluire della Vita e il trauma di per sé diventa inutile. Il dolore che sarebbe stato provvisorio diventa una sofferenza che può durare una vita.

Quando diciamo di sì, restiamo in armonia con la Vita, che può scorrere libera in noi e intorno a noi. Possiamo allora attingere al flusso vitale e goderne tutti i benefici. Rimaniamo anche in contatto con i nostri desideri profondi e agiamo in modo coerente per realizzarli.

Ti consiglio di ascoltare questa meditazione dei 7 minuti proposta da Cesare Boni e presentata da Gabriele Policardo. Praticata ogni giorno ha il potere di favorire l’accettazione.

Biopsicogenealogia: risalire alla radice antica dei sintomi

Biopsicogenealogia: risalire alla radice antica dei sintomi

La Biopsicogenealogia abbina Psicogenealogia e Leggi Biologiche. Ideata da Anne Ancelin Schützenberger negli anni 70, la Psicogenealogia è fondata sull’osservazione del fatto che eventi, traumi, conflitti e segreti che riguardano i nostri antenati hanno una conseguenza, diretta o indiretta, sulla nostra costituzione fisica, sulla nostra psiche e anche sui nostri comportamenti.

In sostanza traumi e conflitti avvenuti nel passato, lungo il tuo albero genealogico, possono essere responsabili di qualunque tuo sintomo fisico, psicologico o comportamentale.

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Traumi e conflitti vissuti nel passato dai tuoi antenati possono essere responsabili di qualunque tuo sintomo

Cosa sono le Leggi Biologiche

Le Leggi Biologiche si concentrano sullo studio e la comprensione dei sintomi psicofisici. Ogni sintomo è una reazione sensata del corpo per attraversare al meglio una data situazione, che ha colto la persona impreparata. Inoltre, ogni sintomo è il risultato dell’attivazione simultanea di tre livelli: la psiche, il cervello e l’organo che manifesta il sintomo.

Ogniqualvolta un avvenimento ti coglie impreparato si attiva un programma speciale che si esplicita attraverso una o più reazioni del corpo. Qualunque reazione organica è il risultato di un programma biologico speciale e risponde a uno specifico vissuto e a uno specifico nucleo di sensazioni. Il sintomo permette agli esperti di Leggi Biologiche di risalire al vissuto. Dopodiché, assieme ai pazienti, si cerca l’evento all’origine di quello specifico vissuto. L’evento “svelato” consente di orientare le azioni per capire come liberarsi dello stress legato al trauma e contemporaneamente del sintomo.

Qualunque reazione organica è il risultato di un programma biologico speciale

Il punto di vista della Biopsicogenealogia

Integrando le due discipline (cioè Psicogenealogia e Leggi Biologiche), la Biopsicogenealogia vede la malattia come una risposta del corpo in relazione a una data situazione che stai vivendo e alla quale non trovi una soluzione. A sua volta le modalità di risposta sono influenzate dal tuo vissuto personale, presente e passato, ma anche dal vissuto dei tuoi antenati.

La risposta, chiamata comunemente malattia, è influenzata dal vissuto dei tuoi antenati

Contrariamente a quello che viene insegnato durante gli studi di medicina convenzionale occidentale, questo paradigma alternativo vede la malattia come una risposta sensata. La radice del problema non è al di fuori di noi ma dentro di noi.

La malattia non proviene dall’esterno come un nemico invasore che ti attacca. Non è nemmeno l’espressione di un’incompetenza o di una debolezza del corpo. Bensì nasce dalla competenza del corpo, in reazione a una situazione che diventerebbe mortale se non affrontata.

Il tuo cervello è programmato per favorire la tua sopravvivenza e quella della tua specie, quindi fa in modo che si attivi un protocollo “di salvataggio”: la malattia.

 

Cosa definiamo patologico

In questo blog puoi trovare diversi esempi che ti aiuteranno a capire come definisco la malattia nel contesto del mio metodo, quello della Bioconsapevolezza, che racchiude in sé i principi della Biopsicogenealogia.

Immagina ora una gazzella stanca, in affanno, con il battito cardiaco accelerato (tachicardia), la pressione arteriosa alta. I suoi esami del sangue risulterebbero leggermente fuori norma. Secondo te, tutti questi sintomi sono patologici? Dipende dal contesto. Se la gazzella è appena scappata da un leone affamato, tutte queste manifestazioni sono fisiologiche. Il riposo in un luogo sicuro basterà e l’organismo della gazzella tornerà al suo funzionamento di routine in totale autonomia, senza più manifestare alcun sintomo.

 

Un’anamnesi incompleta

Quello che mi ha sempre lasciato perplessa fin dagli studi di medicina convenzionale è la tendenza, propria della medicina occidentale, di isolare il paziente dal suo contesto. Quando qualcuno sta male si rivolge al medico. Al paziente però si chiede raramente che lavoro fa, quale è la sua situazione famigliare e sociale, che forme di stress sta vivendo. L’anamnesi medica si concentra quasi esclusivamente sulle patologie pregresse personali e famigliari.

Isolare il paziente dal suo contesto impedisce di andare alla radice del problema

La Biopsicogenealogia riconosce una soglia di stress massimo, che se superata mette a rischio la sopravvivenza. Quando in un contesto specifico si supera questa soglia, il cervello attiva un protocollo di soluzione d’emergenza, la soluzione con la S maiuscola, ovvero la malattia. Al posto di morire, il cervello preferisce attivare una malattia. Ecco perché è così importante raccogliere informazioni sul vissuto dei pazienti.

Al posto di morire di stress il cervello preferisce attivare una malattia

Per salvarti la vita, il tuo corpo trasferisce lo stress psicologico a livello organico, su un tessuto cellulare, individuando quelle cellule che potrebbero risolvere il problema. La malattia interviene per salvarci momentaneamente la vita. Biologicamente parlando è sempre meglio essere malati che morti. Ecco allora che capire qual è la fonte di stress che ha spinto il corpo ad agire è fondamentale per guarire. Ciascuno di noi può vivere un evento in modo drammatico per ragioni differenti. Tra queste ragioni ci sono la storia personale e il vissuto genealogico.

La malattia interviene per salvarci momentaneamente la vita

La tua storia personale

Se hai bisogno di indagare sul tuo vissuto per capire l’origine di un sintomo, chiediti innanzitutto cosa stai vivendo di molto stressante in questo momento. Ma non fermarti qui. Domandati se ci sono stati dei drammi nella tua vita. Le ferite del passato condizionano il tuo modo di vivere la situazione presente.

Poiché tutti noi viviamo tanti tipi di stress diversi, spesso senza esserne pienamente consapevoli, come fare per individuare qual è la situazione fonte dello stress che ti fa ammalare? A orientarci nella direzione giusta sono le Leggi Biologiche. Si parte sempre dal sintomo, poi si analizza la malattia con le sue caratteristiche specifiche cercando di capire in quale modo può essere una risposta sensata del corpo. Quindi si indaga per comprendere perché il corpo ha attivato quella malattia in quel tessuto cellulare (organo) e non in un altro. Ci si chiede come la malattia “tampona” momentaneamente il problema legato a un forte stato di stress. Se vuoi approfondire trovi un esempio qui.

Si cerca di capire in quale modo la malattia può essere una risposta sensata del corpo

La tua storia famigliare e l’albero genealogico

Ognuno porta con sé e in sé la memoria della sua famiglia, della sua tradizione, della sua specie. Siamo vivi, esistiamo grazie e attraverso i nostri antenati, che con la loro esperienza ci hanno regalato risorse positive ma anche difficoltà e vissuti irrisolti.

Inconsapevolmente ereditiamo dei programmi biologici che si esprimono sotto forma di comportamenti o sintomi, che a volte ci allontanano da quello che sarebbe il nostro modo “personale” di vivere la situazione.

Ci sono due tipi di elementi che vengono trasmessi di generazione in generazione: il problema o la soluzione.

L’eredità della soluzione

Se un tuo antenato ha vissuto un dramma e ha trovato una risposta di adattamento efficace, questa capacità e questo comportamento adattivo diventano un programma inconscio. Nel caso in cui tu sia portatore di questa memoria, anche se la situazione che ha causato il problema nel passato non esiste più, proporrai sistematicamente quella stessa “soluzione” in tutta una serie di contesti. Una capacità utile nel passato può così diventare una fonte di stress e malattia nel presente.

Facciamo alcuni esempi, tratti dalle mie sedute di Biopsicogenealogia.

  • Un uomo che non si sentiva molto bene è stato salvato perché sua moglie si è preoccupata e l’ha portato dal medico, nonostante le sue reticenze. Aveva una peritonite acuta ma tutto si è risolto per il meglio. Perché è stato preso in tempo. Preoccuparsi può diventare così un programma biologico vitale. Finché non si libera da questo programma, la persona portatrice rischia di non sapere cos’è la serenità, anche in situazioni di totale sicurezza.
  • Anche comportamenti considerati socialmente sbagliati possono derivare da programmi biologici. Una donna durante la guerra ha mentito nel corso di un interrogatorio riuscendo a salvare cinquanta persone. Dire bugie può diventare un programma vitale inconscio. Ottenere la verità da una persona che porta in sé questo programma è davvero difficile: non lo fa attivamente, è spontaneamente portata a distorcere la realtà e omettere alcuni fatti.
  • Pensiamo alle famiglie nelle quali più di un componente viola la legge. È possibile che nel loro albero genealogico qualcuno abbia salvato molte persone, o la propria vita, non rispettando la legge all’interno di un regime dittatoriale. E così via.

Quando la soluzione non è stata raggiunta

Se il dramma vissuto dall’antenato è stato senza soluzione, i discendenti continueranno a viverne le conseguenze fino a quando non si identifica finalmente una possibile soluzione.

Facciamo qualche esempio, sempre tratto dalla mia esperienza professionale.

  • O magari un bambino è morto durante la notte e i genitori hanno vissuto il dolore di non averlo sentito, perché dormivano. Coloro che, nelle generazioni successive, ereditano questo dolore, potrebbero soffrire di insonnia. L’insonnia in questo caso è un programma biologico inconscio sensato: permette di rimanere vigili, vegliare il bambino e salvarlo per tempo.
  • In un’altra famiglia due persone sono morte a causa di un incidente in macchina sulla strada per le vacanze. Nelle generazioni successive tanti individui sembrano morbosamente attaccati al proprio lavoro, incapaci di prendersi una pausa. Le ragioni sono incomprensibili perché inconsce, ma un motivo c’è sempre…

Le ragioni sono incomprensibili perché inconsce, ma un motivo c’è sempre

I programmi biologici privano della libertà di scelta

Quando la situazione problematica stressante è presente, la consapevolezza di quanto sta accadendo permette di sapere in quale direzione agire concretamente per risolverla. Così si scioglie lo stress e si libera il corpo dal compito di trovare una soluzione creando sintomi e malattie.

Se invece il problema vissuto è legato a una situazione del passato, personale o genealogico, diventare consapevoli, accogliere il problema può bastare a sciogliere il nodo e liberarti dal programma biologico. Ciò permette, grazie alla Biopsicogenealogia, di recuperare la libertà di scelta. Potrai andare in vacanza o lavorare senza sosta, avere figli oppure no, preoccuparti o essere sereno, dire la verità o mentire eccetera.

Ogni nostra azione è influenzata dai programmi inconsci ereditati dai nostri antenati. Questo è un concetto chiave al cuore della Biopsicogenealogia. Se si apre la mente a questo punto di vista diventa superfluo giudicare bene o male se stessi o un’altra persona per i suoi comportamenti.

Hai in te comportamenti, modi di fare e di sentire che ti piacciono? Puoi ringraziare i tuoi antenati per i programmi biologici portatori di positività che hai ereditato. Se al contrario manifesti comportamenti che ostacolano la tua crescita, la tua felicità e il tuo benessere puoi lavorare su te stesso sfruttando i principi della Biopsicogenealogia, per sciogliere alcuni ostacoli e guadagnare consapevolezza, libertà e salute.