Set 29, 2023 | cambio culturale, Comunicazione in sanità
Comunicare diagnosi e prognosi in modo professionale e allo stesso tempo empatico non è affatto facile. La diagnosi, ovvero il giudizio clinico che riconosce la malattia è spesso una doccia fredda per i pazienti, anche quando c’è la consapevolezza che qualcosa non va. La prognosi, cioè la previsione sul decorso e sull’esito di una condizione morbosa, può essere ancora più difficile da comprendere e accettare.
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Professionisti sanitari, terapeuti e più in generale qualunque persona che abbia scelto di mettersi al servizio della salute e del benessere degli individui, di solito studiano anni per acquisire le proprie competenze. In questo modo raggiungono un potenziale incredibile per aiutare, sostenere e prendersi cura delle altre persone. Tale opportunità può essere seriamente compromessa da una scarsa capacità di comunicare e da un posizionamento errato nella relazione con gli assistiti.
La mancata preparazione su questi due aspetti diventa ancora più lampante quando si deve comunicare diagnosi e prognosi. Avere delle competenze in termini di relazione e comunicazione è indispensabile per mettere a frutto le proprie competenze nella cura dei pazienti. Ciò permette anche di essere al servizio degli altri con cuore e serietà, nel rispetto di sé e delle proprie energie.
È per questa ragione che ho scelto di dedicare parte della mia attività e del mio tempo, come terapeuta e come medico, all’insegnamento delle tecniche di comunicazione in ambito sanitario e ad aiutare a creare una relazione di cura sana e serena.
In questo articolo voglio spiegare perché comunicare diagnosi e prognosi in modo sbagliato e maldestro porta a conseguenze molto deleterie.
Avere delle competenze in termini di relazione e comunicazione è indispensabile per mettere a frutto le proprie competenze di cura
Le competenze di comunicazione sono parte della cura
Le modalità che si utilizzano per comunicare con il paziente sono estremamente importanti. Una pessima comunicazione è nefasta di per sé, indipendentemente da quello che si comunica.
Come medici e terapeuti è necessario comprendere l’importanza delle parole che usiamo e quanto è fondamentale saper comunicare diagnosi e prognosi in modo efficace. Il curante deve conoscere il potere delle proprie parole e l’impatto che esse possono avere, sia in termini negativi sia positivi, soprattutto su una persona in condizioni di fragilità.
Il punto di vista biologico
Negli articoli pubblicati su questo blog ho raccontato spesso situazioni che possono aggravare la situazione di un malato. Abbiamo visto quanto è importante che il paziente si senta al sicuro, “come un pesce dentro l’acqua”. Ho anche sottolineato in diverse occasioni quanto la comunicazione, verbale e non verbale, abbia un impatto importante sulla fiducia che il paziente può riporre nel curante.
Abbiamo parlato in passato del fatto che l’insicurezza aggrava l’intensità dei sintomi e rischia di risucchiare il paziente in un circolo vizioso che può arrivare ad essere mortale. Non si tratta solo di stati emotivi ma di dati biologici: l’emotività è molto più importante di quello che tanti pensano.
In questo articolo ho scelto di illustrare una delle situazioni che spesso peggiorano i sintomi di chi vive una condizione di malattia e che rischiano di rendere la situazione molto più pesante, qualunque essa sia.
Il vissuto emotivo può far sentire ai pazienti di non avere scampo. Questo vissuto emotivo che stiamo descrivendo, nello specifico, scatena un processo biologico che porta l’organismo ad aumentare fortemente il proprio metabolismo. Si mette in moto una tensione/agitazione viscerale. E se la situazione è intensa e/o duratura rischia di provocare una rapida perdita di peso.
In casi estremi si arriva a uno stato di vera e propria prostrazione. Il paziente è immobile, chiuso in se stesso e totalmente coinvolto in uno stato di ansia viscerale irrefrenabile, che impedisce alla persona di riposare e rigenerarsi.
In questo stato emotivo tutte le sensazioni percepite risultano amplificate. Una piccola infiammazione diventa intensa e molto sintomatica, un dolore che sarebbe stato di 3 punti su 10 per intensità è percepito come un dolore intensissimo da 10 su 10 e così via.
La comunicazione, verbale e non verbale, ha un impatto importante sulla fiducia che il paziente ripone nel curante
Un vissuto che tutti abbiamo già incontrato
Senza arrivare obbligatoriamente ai casi più estremi, è capitato a tutti noi di provare questa sensazione di fortissima ansia, anche solo per pochi secondi o minuti. Facciamo qualche esempio.
Ritroviamo questa forma di agitazione e irritazione, per esempio, in una persona che ha dolori ricorrenti da giorni, senza un sollievo. La sensazione di non avere via di scampo dal dolore rende il dolore stesso davvero più intollerabile.
Una situazione d’insonnia che costringe a passare le ore notturne svegli, notte dopo notte, senza trovare il modo di riposarsi, provoca una tensione sempre maggiore che non favorisce la fine di tale calvario.
Molto probabilmente questo è capitato anche a te: il caldo che proviamo di notte in piena estate, che ci impedisce di dormire, ci porta ad agitarci sempre di più, fino a quando non troviamo una soluzione, anche parziale. Un lenzuolo bagnato, per esempio, può temporaneamente migliorare la situazione. Anche se il caldo non accenna a diminuire… Ci rilassiamo e i sintomi diminuiscono. Non solo per il lenzuolo ma perché in questo modo si vive il sollievo di aver trovato una via di scampo dal disagio.
Malattie considerate in fase terminale
Prendendo in considerazione i casi più estremi, la sensazione di non avere una via di scampo si manifesta molto spesso nelle persone che hanno ricevuto la diagnosi o la prognosi di una malattia “in fase terminale”.
Di fatto, questa fase della malattia porta nel nome stesso un messaggio nefasto, che comunica l’assenza di una via di scampo.
Lo stato emotivo conseguente alla diagnosi o alla prognosi può provocare una situazione che rischia di trascinare la persona in un circolo vizioso. Il paziente dimagrisce velocemente perché sente di non aver via di scampo. A quel punto, insieme ai suoi curanti, interpreta il dimagrimento come un peggioramento della malattia, come se lo erodesse da dentro. Ciò conferma a tutti lo stadio “terminale” della malattia. Ed è così che la persona rafforza il vissuto emotivo legato al fatto di non avere via di scampo.
Lo stato emotivo conseguente alla diagnosi o alla prognosi può provocare una situazione che rischia di trascinare la persona in un circolo vizioso
Comunicare diagnosi e prognosi, cosa non fare
Comunicare una diagnosi nefasta è già di per sé uno shock. Le modalità di comunicazione, però, possono a loro volta rappresentare un trauma che condiziona l’intero andamento della malattia.
Quando la patologia è presentata come incurabile o viene definita, per esempio, “degenerativa”, è facile che il paziente possa percepire il vissuto di non avere via di scampo: sente che sta per morire o che diventerà invalido per tutto il resto della sua vita.
La situazione viene peggiorata da tutti quei curanti che si permettono di comunicare diagnosi e prognosi in modo intempestivo e con parole errate.
Tanti medici, abituati alla malattia altrui e alla terminologia medica, inconsapevoli del potere delle loro stesse parole, sono soliti comunicare diagnosi e prognosi senza nessuna cautela. Ho sentito io stessa pronunciare frasi come “lei ha tre mesi di vita” piuttosto che “lei finirà in sedie a rotelle” oppure “a breve non potrà più respirare senza ausilio”.
Queste parole vengono spesso ricevute da chi le ascolta come sentenze che cadono dall’alto, pronunciate da chi conosce con certezza il futuro. Anche se non è affatto così.
A chi si permette di fare queste prognosi, o a chi crede in queste prognosi, ricordo che i medici sono esseri umani. Non abbiamo a disposizione nessuna sfera di cristallo: il futuro non è certezza fino a quando non accade.
Quanti di costoro si tratterrebbero se sapessero che il loro verdetto può diventare una profezia autoavverante? E questo non sempre perché la malattia sia grave, ma piuttosto a causa del modo che hanno scelto per comunicare diagnosi e prognosi.
Le modalità di comunicazione di una diagnosi possono rappresentare un ulteriore trauma
I consigli per comunicare diagnosi e prognosi in modo empatico
L’antidoto a quanto abbiamo appena descritto è più semplice di quello che si potrebbe pensare. Il curante deve aiutare il paziente a sentire visceralmente di avere una scelta. Un orizzonte aperto alla guarigione o almeno a soluzioni di miglioramento.
Tutto ciò che può aiutare a migliorare la situazione di ansia e insicurezza del paziente funziona come difesa dalla percezione che non ci sia una via di uscita e diminuisce le conseguenze negative della malattia.
Nessuna patologia è incurabile. Si può sempre curare una persona malata. Si può promettere senza mentire di fare del proprio meglio per accompagnare gli assistiti nel loro percorso, identificando strumenti utili a farli stare meglio. Solo la guarigione non può essere data per garantita.
L’intervento sintomatico aiuta in tutte le situazioni, regalando maggiore benessere e del tempo aggiuntivo per fare un lavoro alla radice della malattia e ottenere frutti duraturi. Quando c’è un dolore, un trattamento antidolorifico efficace permetterà al paziente di toccare con mano il fatto che c’è una possibilità di miglioramento, dunque una via d’uscita da quel dolore.
Qualsiasi strategia che permetta di diminuire un sintomo e migliorare la situazione è efficace per far sentire al paziente che c’è una via di uscita dalla malattia o dal malessere che accompagna la malattia.
La possibilità di curarsi come si vuole
Avere scelta significa anche poter scegliere come curarsi, nel rispetto dei propri valori. La volontà di interrompere un protocollo terapeutico, per esempio, dovrebbe essere sostenuta anche dai curanti.
Spesso, le cure proposte dalla medicina convenzionale tracciano un’unica strada. A cui a volte si accompagna una sentenza al limite del ricatto “o ti curi secondo questo protocollo messo a punto dalla medicina convenzionale o muori”.
È importante lasciare sempre alla persona una prospettiva di cura aperta. Sentirsi in gabbia stimola il nostro animale interiore a reagire. Dimagrire, biologicamente, permette di “passare attraverso le sbarre” e scappare…
L’ospedale dovrebbe essere vissuto come un luogo di opportunità e non come un carcere dal quale non si può evadere.
Avere scelta significa anche poter scegliere come curarsi, nel rispetto dei propri valori
La collaborazione con i pazienti
Nella mia esperienza le cure si dimostrano come più efficaci, sia per il paziente sia per il curante, quando il medico porta avanti un lavoro di crescita personale e di rispetto del sé. Rimettendosi al proprio posto di essere umano, al servizio della salute di un altro essere umano, le scelte non condivise che un paziente potrebbe fare possono essere vissute con rispetto e non come un’offesa personale.
La relazione può essere di collaborazione, senza bisogno di far pressione per convincere a tutti costi il malato a seguire “l’unica strada efficace”.
Di solito, dopo un lavoro serio di consapevolezza, i medici sentono meno il bisogno di dover salvare il paziente a tutti i costi. Questo sentimento di onnipotenza, dettato dalla buona volontà, è fonte di grande frustrazione e impotenza per tutti, curanti e malati.
Rimettersi al proprio posto, invece, permette di aiutare al meglio le persone, in modo serio e con il cuore ma senza perdere il rispetto per sé e per gli altri, partendo dal modo di comunicare diagnosi e prognosi con empatia e senza dare nulla per scontato.
L’importanza della medicina territoriale
Avendo compreso quanto sia importante che la persona si senta libera, nell’ottica di non percepirsi come un uccello in gabbia, si può capire quanto possa essere indispensabile tutto il lavoro di tutela e sviluppo della medicina territoriale. Anche, o forse soprattutto, per facilitare il ricovero a domicilio.
I pazienti cronici che necessitano di cure prolungate possono davvero migliorare se hanno la possibilità di alternare i periodi di ospedalizzazione alle terapie domiciliari, in un ambiente familiare. Si evita così che questi individui abbiano la sensazione di trovarsi rinchiusi.
Quando invece il ricovero in ospedale è necessario, la possibilità di uscire in giardino, all’aria aperta, in luoghi con un orizzonte visivo ampio, regala esperienze che nutrono il senso di aver una via di scampo e contribuiscono al benessere del nostro animale interiore.
Facilitare le terapie domiciliari può essere di grande aiuto perché permette ai pazienti di non sentirsi in gabbia
La medicina integrata può aprire gli orizzonti
La medicina integrata ha un grande valore in tutti quei casi in cui diagnosi e prognosi possono sembrare particolarmente difficili da affrontare. Ed è preziosa perché abbraccia vari punti di vista, approcci e strumenti di cura: un’opzione che migliora significativamente la condizione del paziente, perché lo aiuta a sentire nel profondo di avere una via, anzi più vie di uscita.
L’obiettivo è quello di cercare e trovare insieme varie possibilità di miglioramento e sperimentarle una alla volta. Se alcune opzioni non dimostrano l’efficacia desiderata, c’è la consapevolezza di avere a disposizione altre vie da esplorare insieme.
Ago 6, 2021 | Bioconsapevolezza, Conoscersi
Come gestire le liti tra due persone che amiamo? Cosa possiamo fare quando ci troviamo coinvolti nei litigi? Talvolta veniamo direttamente chiamati in causa, perché uno dei due litiganti ci chiede di esprimere la nostra opinione. In altre occasioni, siamo semplici spettatori di liti più o meno accese che si svolgono davanti ai nostri occhi, mettendoci in difficoltà.
Di fronte alle liti tra persone a cui vuoi bene, che siano amici, parenti, magari direttamente i tuoi figli, forse ti sarai sentito frustrato e impotente. Anche se ogni situazione ha le sue peculiarità e va sempre analizzata nella sua unicità, vorrei condividere con te sei consigli pratici che possono aiutarti ad affrontare le liti tra due persone che ami.
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Il mio obiettivo è offrirti delle basi che possano sostenerti quando non sai come gestire le liti tra persone amate e la situazione ti provoca dolore o ti lascia spiazzato.
Puoi mettere in pratica questi consigli quando sei coinvolto nelle liti altrui e questo ti fa soffrire
1-Resta al tuo posto
Qualunque relazione tra due individui è come una sciarpa. Le persone che hanno una responsabilità verso la qualità della relazione, sono solo le due direttamente coinvolte nel rapporto, cioè quelle che (metaforicamente) tengono in mano una delle estremità della sciarpa. Facciamo un esempio. Due amici cari si stanno separando. Immagina la loro relazione come una sciarpa: Mario tiene in mano una estremità, Maria l’altra. Tu non hai alcuna responsabilità di come vanno le cose tra loro: infatti non hai in mano nessuno dei due lembi. Il mio consiglio è quello di non interferire. Neppure per fare da arbitro.
Non lasciarti coinvolgere nelle liti altrui: non hai responsabilità rispetto alle relazioni tra altre persone
Intervenire nelle relazioni altrui può essere dannoso
Nella mia professione mi è spesso capitato di incontrare mamme che hanno la tendenza a intervenire nella relazione del padre con i figli. Come se la volessero in qualche modo regolamentare o governare. Perché? Nella mia esperienza, all’origine di questa tendenza, c’è spesso un “ideale” di relazione padre-figlio. Questo ideale è stato vissuto come tale o è stato “tradito” durante l’infanzia.
Una delle motivazioni inconsce di questa tendenza a controllare e manipolare la relazione tra il marito e i figli è abbastanza semplice. Queste donne vogliono plasmare la realtà in modo conforme al loro ideale, per regalare ai propri figli la possibilità di vivere un rapporto uguale o migliore di quello che loro hanno sperimentato.
La proiezione di un bisogno personale crea un’aspettativa sulla relazione padre/figlio, spesso disturbando il naturale sviluppo di un rapporto unico e in divenire. Se ti riconosci in questo caso, ti suggerisco di lavorare sul tuo vissuto e sulla relazione che hai avuto con tuo padre.
Intervenire nelle relazioni di cui non fai parte può creare un disturbo nei rapporti che vorresti salvaguardare
2-Nutri la TUA relazione con entrambi i litiganti
Quando due amici si separano, oppure i tuoi genitori o i tuoi fratelli non vanno più d’accordo tra loro, tu puoi continuare a coltivare relazioni appaganti con entrambi. Anzi te lo consiglio: cura le relazioni che hai con loro se ci tieni.
Torniamo al nostro esempio che vede protagonista te e i tuoi amici, Mario e Maria. Ti ricordo che Mario e Maria potrebbero anche essere i tuoi figli, i tuoi fratelli, i tuoi genitori: non importa.
Abbiamo già sottolineato che non hai alcuna responsabilità o potere nella relazione tra Mario e Maria. Invece hai la tua dose di responsabilità sia nella relazione tra te e Mario sia in quella tra te e Maria.
Se guardiamo alla triade Te – Maria – Mario ci sono tre relazioni in gioco, cioè tre sciarpe. Si crea quindi un triangolo.
Come vedi, è la sciarpa tra Mario e Maria a essere malandata in questo momento. Quella tra Te e Mario e l’altra che unisce Te e Maria non solo sono entità diverse e autonome ma non c’entrano niente nel conflitto che vede contrapposti Maria e Mario.
Se vuoi bene a queste due persone niente ti impedisce di mantenere una relazione sana e appagante con entrambe, individualmente. Puoi esprimere loro il tuo affetto e il tuo dispiacere per quello che accade alla loro relazione. Non sei obbligato a prendere le parti di uno e rinunciare all’altro. Puoi accogliere ognuno con le sue istanze e la sua rabbia o le sue preoccupazioni, anche se tra loro non si parlano.
Non sei obbligato a prendere le parti di nessuno, gestire le liti significa preservare le tue relazioni con i due litiganti
3-Non pensare di capire o avere soluzioni
Ciascuno dei due litiganti ti racconterà la sua versione dei fatti, che non sarà mai completa e obiettiva. Per questo è bene che tu sappia che non puoi sapere cosa è realmente accaduto. Comprendere le situazioni quando ne siamo i diretti protagonisti è già di per sé complicato, farlo quando siamo solo spettatori è una missione impossibile!
Gestire le liti significa anche diventare consapevoli del fatto che l’ultimo litigio ha molto probabilmente radici profonde, di cui gli stessi litiganti forse non sono consapevoli. Ognuno dei due, negli anni, avrà messo più di un dito nelle piaghe dell’altro. Succede spesso quando si è intimi.
La lite di cui sei testimone molto probabilmente ha radici profonde
L’importanza del mantenimento del proprio ruolo
Vorrei farti un altro esempio. Quando i tuoi genitori litigano ti sarà capitato di parteggiare per l’uno o per l’altra. Magari ti sembrava chiaro di chi fosse “la colpa”. Ti invito invece a restare al tuo posto, che è quello di figlio.
Il metodo delle Costellazioni Famigliari ci insegna che stare al proprio posto e rispettare i ruoli familiari è molto importante. Nei confronti dei tuoi genitori tu sei “il cucciolo”, “il piccolo”. Non puoi quindi ergerti a giudice di una situazione che vede contrapposti tuo padre e tua madre, che sono “i grandi”. Questo indipendentemente dalla tua età attuale. Sprecheresti solo tempo ed energia impegnandoti in una missione impossibile nella quale sei fuori posto.
4-Non prendere le parti di nessuno
Quando in una relazione c’è tensione, spesso si tende a cercare di individuare una vittima e un carnefice. Generalmente, dopo averlo fatto, si prendono le parti della vittima. Ogni rapporto però è sempre più complesso e non può essere ridotto a questa semplice dualità. In una relazione ognuna delle due persone coinvolte ha il 50 % della responsabilità. Ciascuno è responsabile di quello che dice, fa e sente.
Spesso trattiamo una delle due parti in gioco come una vittima perché la amiamo e vediamo che soffre. Ma non ci accorgiamo che così facendo la svalutiamo. Dimentichiamo il fatto che ha la sua parte di responsabilità e dunque di potere, per trasformare la relazione conflittuale e cambiare le cose.
Ogni relazione è più complessa del rapporto tra vittima e carnefice
Il tuo obiettivo non è risolvere le liti
Ti starai chiedendo se questi consigli possono aiutarti a gestire le liti nel senso di risolverle… La risposta è no. Non hai potere nella risoluzione delle liti altrui, ma solo in quelle in cui tu sei uno dei due soggetti direttamente coinvolti. Se la situazione ti sconvolge, non è sulla relazione dei due litiganti che c’è da intervenire ma sulla radice del tuo sconvolgimento. Questo disaccordo va sicuramente a mettere il dito in una tua piaga. Questa può essere l’opportunità per rivisitarla e guarirla.
Se sei un genitore che vorrebbe appianare le discussioni tra i propri figli, indipendentemente dalla loro età, puoi fare qualcosa per chiarire la situazione. E ancora una volta questo qualcosa ha a che fare con il compito di stare al tuo posto.
Quando si tratta di liti altrui, è una delle rare situazioni in cui si può tentare di intervenire… Poiché tu hai il ruolo di “grande” rispetto ai tuoi figli, potresti aiutarli verificando e se necessario riequilibrando la tua posizione nei loro confronti, ad esempio attraverso un incontro di Costellazioni familiari. Le liti tra fratelli che si prolungano nell’età adulta sono spesso dovute alla gelosia provata nei confronti dei genitori.
5-Ricorda che la qualità della relazione non dipende dai sentimenti
Le persone che ami e che sono in lite tra loro non sono in disaccordo perché non si vogliono bene. Liti frequenti non sono un indice della mancanza di amore. Quando ti chiedi come gestire le liti tra le persone è importante ricordare questo aspetto.
Liti frequenti non sono un indice della mancanza di amore
A volte non sopportiamo di vedere litigare due persone che amiamo e vogliamo risolvere la situazione al più presto. Se sei mosso da questo desiderio, fai un passo per riconoscere che è un bisogno tuo e non necessariamente un bisogno dei due litiganti.
A volte desiderare a tutti i costi che due persone vadano d’accordo non lascia spazio al confronto e allo sviluppo di una relazione autentica tra i due.
Quello che puoi fare è dare spazio alla lite. Lasciare la responsabilità ad ognuno di gestire la propria estremità della sciarpa e guardare le persone che ami con accettazione e fiducia piuttosto che con preoccupazione. Fiducia che ce la possono fare, possono trovare soluzioni adatte ai loro problemi.
A volte desiderare a tutti i costi che due persone vadano d’accordo non lascia spazio al confronto
6-Poni dei limiti quando necessario
Litigare non vuol dire mancarsi di rispetto. In alcuni contesti però il conflitto assume dimensioni e modalità eccessive. Quando il rispetto viene meno come puoi gestire le liti altrui in modo sano?
Se uno o entrambi i protagonisti della relazione si confidano con te criticando o insultando l’altro e tu vuoi bene a tutti e due, dì loro che non vuoi più ascoltare discorsi nei quali uno denigra, insulta o incolpa pesantemente l’altro. Ti invito a farlo a maggior ragione se le persone in questione sono i tuoi genitori. Tu sei per loro un figlio, non un amico o un confidente, né un salvatore. Togliti di mezzo.
In ogni altra situazione, ti consiglio di prendere posizione ricordando ai protagonisti della lite qual è il tuo ruolo. Spiega chiaramente che non vuoi fare l’errore di intrometterti nella loro relazione. Puoi argomentare quanto dici sfruttando la metafora della sciarpa relazionale. Inoltre, puoi dire apertamente che essere testimone di tutta questa negatività ti dispiace, non vuoi essere una discarica per gli insulti rivolti dall’uno verso l’altro.
Puoi chiedere a ognuno di parlare di sé e basta. Ti interessa sentir parlare della persona con cui sei in quel momento, punto e stop. Esternazioni come “ha tradito la mia fiducia!” “è un incapace!” eccetera si potranno trasformare in “io mi sento tradito”, “sono triste che abbia fatto quello che ha fatto”. E così via.
Ti ricordo che comunicare è una competenza che si impara col tempo. Se i protagonisti per i quali ti chiedi come gestire le liti sono aperti all’apprendimento, ti suggerisco di condividere con loro qualche fonte di informazione relativa alla trasformazione dei conflitti e alla creazione di relazioni appaganti.
Lug 9, 2021 | Conoscersi, Consigli pratici
Imparare a dire no sul lavoro significa prima di tutto trovare la chiave giusta per farlo. Il modo migliore per dire di no varia a seconda di chi fa la richiesta. Un no secco non è sempre la soluzione migliore!
Imparare a dire di no significa ad esempio esprimersi con calma e correttamente, perché anche quando stiamo semplicemente facendo valere i nostri diritti, è importante che l’altra persona capisca bene. Saper rispettare se stessi e dire no non esclude la possibilità di manifestare empatia.
Saper rispettare se stessi non esclude la possibilità di manifestare empatia
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1-Spiega all’altro perché dici no
Imparare a dire no nel modo migliore permette non solo di mantenere ma anche di alimentare un rapporto di collaborazione sereno e produttivo. Ecco perché è fondamentale spiegare all’altra persona le nostre ragioni.
L’obiettivo non è quello di giustificarsi ma piuttosto di dare all’interlocutore la possibilità di mettersi nei tuoi panni e capire il tuo punto di vista. Questo significa anche aprirsi alla discussione ed essere pronti ad ascoltare la reazione dell’altro di fronte al tuo rifiuto. La discussione non va temuta o evitata, perché rappresenta una risorsa preziosa. Permette di trovare una soluzione adatta a tutti, mettendosi ciascuno nei panni dell’altro.
Quando ti dimostri empatico e ascolti, sfrutti al meglio tutte le possibilità in tuo potere, per far sì che il tuo rifiuto sia accolto bene.
2-Approfondisci le motivazioni del rifiuto per imparare a dire no
Il motivo per cui hai detto no è che hai poco tempo? Impegnati a spiegare perché. Racconta cos’altro hai da fare. Magari sei indietro con lavori più urgenti, oppure il tuo collaboratore o un tuo cliente hanno bisogno della tua completa attenzione e presenza, quindi non puoi prenderti un altro impegno. Potresti avere una consegna urgente da evadere. La giornata di tutti noi dura solo 24 ore. Quando diciamo sì a un lavoro da fare dobbiamo per forza dire no a qualcosa d’altro. Dire no permette di preservare la qualità del tuo operato. Scopri tutte le ragioni per cui è importante dire no.
Quando diciamo sì a un lavoro da fare dobbiamo per forza dire no a qualcosa d’altro
3- Scegli frasi che aprano al dialogo
In alcuni casi, diciamo no perché non abbiamo gli strumenti per prenderci carico di quanto richiesto. Magari non siamo addestrati per quel compito.
È bene non esitare di fronte a questi no: puoi dire chiaramente che sei disponibile a fare qualcos’altro, purché corrisponda alle tue capacità. Ma anziché limitarti a dire “mi spiace, non sono competente in materia”, soprattutto se sai che potresti imparare a fare quanto ti viene chiesto, prova con “mi piacerebbe farlo ma purtroppo al momento non posso, non ho il tempo di imparare qualcosa di nuovo”.
Puoi cercare una frase che apra alla discussione: “se posso essere utile in un altro modo in linea con le mie competenze, lo faccio volentieri”. Non hai tempo e quello che ti è stato chiesto non fa parte delle priorità per raggiungere gli obiettivi professionali definiti con il tuo superiore in precedenza? Puoi dire qualcosa del genere: “quello che mi stai chiedendo di fare esula dagli obiettivi che abbiamo concordato insieme. Come ci muoviamo? Le priorità sono cambiate?” O qualcosa di simile.
Puoi anche proporre uno scambio di compiti: “Se questa è una priorità posso farmene carico, ma ho bisogno che tu mi aiuti in quest’altra faccenda, così da liberare il mio tempo”.
Non esistono solo i no totali e definitivi, potresti aver bisogno di dire un no parziale. O meglio un sì parziale: “ok ma non adesso”, “posso occuparmene ma non così”, “me ne prendo carico parzialmente” e così via…
4-Usa modi gentili e parole autentiche
La gentilezza, verso te stesso e nei confronti del tuo interlocutore, ti permetteranno di creare e mantenere una relazione di fiducia sul lavoro, essenziale per imparare a dire no e continuare a rispettarti.
Ricordati che il tuo no non esprime un rifiuto nei confronti dell’altro. In questo modo sarà più facile per te esprimere un no sereno, mantenendo un atteggiamento benevolo e fiducioso. Il tuo no serve a te, per il tuo benessere e per mantenere alta la qualità del tuo lavoro, ma anche all’azienda o al progetto. È utile a garantire un alto rendimento e a promuovere un clima di collaborazione.
Per essere credibile ricordati anche di essere autentico. Se vuoi poter dire di no, dimostra che lo stai facendo proprio per le ragioni che hai elencato. Inoltre, ricorda a te stesso e agli altri che hai detto no per mantenere fede agli impegni a cui hai detto sì.
Ricordati che il tuo no non esprime un rifiuto nei confronti dell’altro
5-Visualizza nella tua mente le possibili conseguenze
Cosa può succedere se dici no? Magari il tuo no verrà rispettato e accettato con serenità. In questo caso, tutto sarà andato per il meglio e non ci saranno problemi. Se invece il tuo no verrà rifiutato, nonostante tutte le tue buone ragioni, sarai costretto a fare comunque quello a cui avevi detto no.
La nostra è una società gerarchica. È un tuo superiore che ha espresso la richiesta che vuoi rifiutare? Può decidere di far valere il suo diritto a imporsi. In questo caso devi essere preparato a fare un passo indietro.
Talvolta i no vengono rispettati ma non accettati a livello emotivo. L’altra persona ci concede di fare quello che vogliamo ma si sente ferita.
Quando capita è importante rimanere benevoli, per mantenere il rispetto reciproco. Puoi dire qualcosa del genere allo scopo di esprimere la tua solidarietà: “Vedo che sei stato ferito, mi dispiace. non era mia intenzione”. E (solo se è vero) puoi aggiungere “questo no non è contro di te”.
6-Riconosci il tuo coraggio
Quando il tuo no viene rifiutato, puoi comunque essere contento di te stesso, indipendentemente da come è andata a finire. Hai avuto il coraggio di esprimere il tuo rifiuto e il tuo no rappresenta un contributo prezioso anche quando resta inascoltato.
Ovviamente il tipo di relazione che c’è tra te e il tuo capo oppure tra te e i tuoi colleghi (o sottoposti) e gli eventi già accaduti tra voi influenzeranno in modo significativo il modo in cui accoglierai il no al tuo no.
Quando c’è un clima positivo di rispetto e fiducia, non ci si trova spesso nella situazione in cui i no che si pronunciano vengono rifiutati, così come si è pronti a fare un sacrificio nel caso serva un impegno straordinario.
Se però ti capita spesso di dire no o di voler dire no, probabilmente la posizione che ricopri in azienda non è quella giusta. O stai facendo un lavoro che non fa per te. Provi scarso entusiasmo nello svolgere le tue mansioni? Forse vale la pena valutare un cambiamento. Imparare a dire no non significa farlo sempre e in continuazione.
Il tuo no rappresenta un contributo prezioso anche quando resta inascoltato
7-Accetta che il no venga rifiutato o interpretato male
Oltre a saper dire di no, è essenziale saper accettare che l’altra persona rifiuti o interpreti in modo “sbagliato” il nostro no. Partner, figli, colleghi o amici, tutti possono essere scontenti del tuo rifiuto. Anche quando il tuo no è legittimo e hai fatto del tuo meglio per comunicarlo.
Imparare a gestire le reazioni ai tuoi no ti aiuta ad acquisire una maggiore capacità di comunicazione e gestione delle emozioni. Ricorda sempre che non sei responsabile delle emozioni degli altri. Sei responsabile solo delle tue emozioni e non puoi avere il controllo di tutto. Può essere necessario, di fronte a una reazione inattesa, fare un passo indietro e lasciare all’altro l’opportunità di sfogarsi.
Mentre aspetti che l’altra persona digerisca il tuo no, puoi continuare a essere leale e degno di fiducia. In questo modo la tua credibilità aumenterà ulteriormente. Ricorda che se vuoi poter dire di no liberamente, dovrai dimostrare che lo stai facendo proprio per portare a termine i compiti a cui hai detto sì.
Imparare a gestire le reazioni ai tuoi no ti aiuta ad acquisire una maggiore capacità di comunicazione
8-Aiuta te stesso a dire no
Prima di tutto riconosci il valore che il sì e il no autentico hanno per te. La capacità di dire no è indispensabile per rispettare te stesso. È con te stesso che vivrai fino alla fine dei tuoi giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Se non rispetti tu te stesso, chi altro potrà farlo? Imparare a dire no e permetterti di farlo nel modo migliore ti aiuterà a creare relazioni autentiche di fiducia reciproca. Le persone che non sono pronte a una relazione di qualità si allontaneranno, lasciando spazio a quelle adatte. Ricordati che rispettare se stessi è essenziale per una buona relazione e una buona collaborazione sul lavoro.
Infine, riconosci il valore che il sì e il no autentico hanno per i tuoi collaboratori e l’azienda o il progetto in cui lavori.
Se ti rispetti, sarai più disponibile a collaborare con piacere e la tua produttività sarà maggiore. Le persone che lavorano con te sapranno che sui tuoi sì possono veramente contare. Se non ti rispetti, al contrario, sarai irritato, brontolone, lavorerai con scarso rendimento e risulterai meno credibile e affidabile.
Ci sono persone che detestano ricevere dei sì forzati che falsano le carte in tavola. Preferiscono veri no. Queste persone, quando capiranno che con te non si può sapere se esprimi o meno un falso sì, eviteranno di chiedere la tua collaborazione. Imparare a dire no mette anche gli altri nella condizione di chiedere più liberamente la tua collaborazione e potresti avere opportunità più interessanti.
Ci sono persone che detestano ricevere dei sì forzati che falsano le carte in tavola
9-Riconosci le tue priorità e i tuoi limiti
È importante che tu impari a conoscere te stesso, i tuoi valori e il tuo valore. Cerca sempre di avere chiari i tuoi obiettivi. In questo modo anche le tue priorità saranno chiare. Potrai accettare o rifiutare una proposta più facilmente, perché in ogni momento avrai le coordinate per farlo.
In quest’ottica, se il tuo posto di lavoro non è adatto a te, ti consiglio di iniziare subito a muoverti per trovarne uno più in linea con le tue capacità e i tuoi obiettivi. Impara anche a riconoscere i tuoi limiti e sii in pace con te stesso perché hai tutto il diritto di averne.
La nostra giornata di lavoro non può estendersi all’infinito, non possiamo fare tutto. E non possiamo neppure pensare di saper fare sempre tutto al meglio. Riconoscere i nostri talenti per metterli a disposizione degli altri è importante quanto riconoscere le nostre incompetenze per evitare di farle subire agli altri.
Non possiamo pensare di saper fare sempre tutto al meglio
10-Esercitati ad avere fiducia
Abbi fiducia nella Vita, fiducia nel fatto che meriti di essere rispettato. Se nel luogo dove lavori non ti senti rispettato, se non puoi esprimere liberamente e con entusiasmo i tuoi talenti, sicuramente c’è un altro posto per te altrove. Se compi scelte allineate con il tuo sentire, prenderai ad ogni bivio la strada giusta per te, che porta al rispetto e alla realizzazione personale. Di conseguenza incontrerai persone e opportunità di lavoro consone ai tuoi valori. La tua vita scorrerà in un benessere crescente.
Se compi scelte allineate con il tuo sentire, prenderai ad ogni bivio la strada giusta per te
Puoi imparare a dire no nel modo più proficuo
Per concludere, ricorda sempre che puoi imparare a dire no in modo educato e calmo. Il tuo no può essere un regalo per l’altro o addirittura rappresentare un’opportunità. Quando dici no stai creando una possibilità. Qualcuno più competente e più motivato di te potrebbe occuparsi del compito che tu hai rifiutato.
Il risultato finale potrebbe essere più giusto per tutti: tu potrai occuparti nel modo migliore possibile delle cose che sai fare bene e che ti competono. Altri si occuperanno di quello a cui hai detto no con capacità ed entusiasmo.
Potrai occuparti nel modo migliore possibile delle cose che sai fare bene
Quando pronunci dei sì autentici la qualità della tua presenza è superiore. Questo può aiutarti a fare carriera o a migliorare il tuo giro di affari e in generale fa bene all’azienda o al progetto in cui lavori.