Come comunicare diagnosi e prognosi al meglio

Come comunicare diagnosi e prognosi al meglio

Comunicare diagnosi e prognosi in modo professionale e allo stesso tempo empatico non è affatto facile. La diagnosi, ovvero il giudizio clinico che riconosce la malattia è spesso una doccia fredda per i pazienti, anche quando c’è la consapevolezza che qualcosa non va. La prognosi, cioè la previsione sul decorso e sull’esito di una condizione morbosa, può essere ancora più difficile da comprendere e accettare.

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Professionisti sanitari, terapeuti e più in generale qualunque persona che abbia scelto di mettersi al servizio della salute e del benessere degli individui, di solito studiano anni per acquisire le proprie competenze. In questo modo raggiungono un potenziale incredibile per aiutare, sostenere e prendersi cura delle altre persone. Tale opportunità può essere seriamente compromessa da una scarsa capacità di comunicare e da un posizionamento errato nella relazione con gli assistiti.

La mancata preparazione su questi due aspetti diventa ancora più lampante quando si deve comunicare diagnosi e prognosi. Avere delle competenze in termini di relazione e comunicazione è indispensabile per mettere a frutto le proprie competenze nella cura dei pazienti. Ciò permette anche di essere al servizio degli altri con cuore e serietà, nel rispetto di sé e delle proprie energie.

È per questa ragione che ho scelto di dedicare parte della mia attività e del mio tempo, come terapeuta e come medico, all’insegnamento delle tecniche di comunicazione in ambito sanitario e ad aiutare a creare una relazione di cura sana e serena.

In questo articolo voglio spiegare perché comunicare diagnosi e prognosi in modo sbagliato e maldestro porta a conseguenze molto deleterie.

Avere delle competenze in termini di relazione e comunicazione è indispensabile per mettere a frutto le proprie competenze di cura

Le competenze di comunicazione sono parte della cura

Le modalità che si utilizzano per comunicare con il paziente sono estremamente importanti. Una pessima comunicazione è nefasta di per sé, indipendentemente da quello che si comunica.
Come medici e terapeuti è necessario comprendere l’importanza delle parole che usiamo e quanto è fondamentale saper comunicare diagnosi e prognosi in modo efficace. Il curante deve conoscere il potere delle proprie parole e l’impatto che esse possono avere, sia in termini negativi sia positivi, soprattutto su una persona in condizioni di fragilità.

Il punto di vista biologico

Negli articoli pubblicati su questo blog ho raccontato spesso situazioni che possono aggravare la situazione di un malato. Abbiamo visto quanto è importante che il paziente si senta al sicuro, “come un pesce dentro l’acqua”. Ho anche sottolineato in diverse occasioni quanto la comunicazione, verbale e non verbale, abbia un impatto importante sulla fiducia che il paziente può riporre nel curante.

Abbiamo parlato in passato del fatto che l’insicurezza aggrava l’intensità dei sintomi e rischia di risucchiare il paziente in un circolo vizioso che può arrivare ad essere mortale. Non si tratta solo di stati emotivi ma di dati biologici: l’emotività è molto più importante di quello che tanti pensano.

In questo articolo ho scelto di illustrare una delle situazioni che spesso peggiorano i sintomi di chi vive una condizione di malattia e che rischiano di rendere la situazione molto più pesante, qualunque essa sia.

Il vissuto emotivo può far sentire ai pazienti di non avere scampo. Questo vissuto emotivo che stiamo descrivendo, nello specifico, scatena un processo biologico che porta l’organismo ad aumentare fortemente il proprio metabolismo. Si mette in moto una tensione/agitazione viscerale. E se la situazione è intensa e/o duratura rischia di provocare una rapida perdita di peso.

In casi estremi si arriva a uno stato di vera e propria prostrazione. Il paziente è immobile, chiuso in se stesso e totalmente coinvolto in uno stato di ansia viscerale irrefrenabile, che impedisce alla persona di riposare e rigenerarsi.

In questo stato emotivo tutte le sensazioni percepite risultano amplificate. Una piccola infiammazione diventa intensa e molto sintomatica, un dolore che sarebbe stato di 3 punti su 10 per intensità è percepito come un dolore intensissimo da 10 su 10 e così via.

La comunicazione, verbale e non verbale, ha un impatto importante sulla fiducia che il paziente ripone nel curante

Un vissuto che tutti abbiamo già incontrato

Senza arrivare obbligatoriamente ai casi più estremi, è capitato a tutti noi di provare questa sensazione di fortissima ansia, anche solo per pochi secondi o minuti. Facciamo qualche esempio.

Ritroviamo questa forma di agitazione e irritazione, per esempio, in una persona che ha dolori ricorrenti da giorni, senza un sollievo. La sensazione di non avere via di scampo dal dolore rende il dolore stesso davvero più intollerabile.

Una situazione d’insonnia che costringe a passare le ore notturne svegli, notte dopo notte, senza trovare il modo di riposarsi, provoca una tensione sempre maggiore che non favorisce la fine di tale calvario.

Molto probabilmente questo è capitato anche a te: il caldo che proviamo di notte in piena estate, che ci impedisce di dormire, ci porta ad agitarci sempre di più, fino a quando non troviamo una soluzione, anche parziale. Un lenzuolo bagnato, per esempio, può temporaneamente migliorare la situazione. Anche se il caldo non accenna a diminuire… Ci rilassiamo e i sintomi diminuiscono. Non solo per il lenzuolo ma perché in questo modo si vive il sollievo di aver trovato una via di scampo dal disagio.

Malattie considerate in fase terminale

Prendendo in considerazione i casi più estremi, la sensazione di non avere una via di scampo si manifesta molto spesso nelle persone che hanno ricevuto la diagnosi o la prognosi di una malattia “in fase terminale”.

Di fatto, questa fase della malattia porta nel nome stesso un messaggio nefasto, che comunica l’assenza di una via di scampo.

Lo stato emotivo conseguente alla diagnosi o alla prognosi può provocare una situazione che rischia di trascinare la persona in un circolo vizioso. Il paziente dimagrisce velocemente perché sente di non aver via di scampo. A quel punto, insieme ai suoi curanti, interpreta il dimagrimento come un peggioramento della malattia, come se lo erodesse da dentro. Ciò conferma a tutti lo stadio “terminale” della malattia. Ed è così che la persona rafforza il vissuto emotivo legato al fatto di non avere via di scampo.

Lo stato emotivo conseguente alla diagnosi o alla prognosi può provocare una situazione che rischia di trascinare la persona in un circolo vizioso

Comunicare diagnosi e prognosi, cosa non fare

Comunicare una diagnosi nefasta è già di per sé uno shock. Le modalità di comunicazione, però, possono a loro volta rappresentare un trauma che condiziona l’intero andamento della malattia.

Quando la patologia è presentata come incurabile o viene definita, per esempio, “degenerativa”, è facile che il paziente possa percepire il vissuto di non avere via di scampo: sente che sta per morire o che diventerà invalido per tutto il resto della sua vita.

La situazione viene peggiorata da tutti quei curanti che si permettono di comunicare diagnosi e prognosi in modo intempestivo e con parole errate.
Tanti medici, abituati alla malattia altrui e alla terminologia medica, inconsapevoli del potere delle loro stesse parole, sono soliti comunicare diagnosi e prognosi senza nessuna cautela. Ho sentito io stessa pronunciare frasi come “lei ha tre mesi di vita” piuttosto che “lei finirà in sedie a rotelle” oppure “a breve non potrà più respirare senza ausilio”.

Queste parole vengono spesso ricevute da chi le ascolta come sentenze che cadono dall’alto, pronunciate da chi conosce con certezza il futuro. Anche se non è affatto così.

A chi si permette di fare queste prognosi, o a chi crede in queste prognosi, ricordo che i medici sono esseri umani. Non abbiamo a disposizione nessuna sfera di cristallo: il futuro non è certezza fino a quando non accade.

Quanti di costoro si tratterrebbero se sapessero che il loro verdetto può diventare una profezia autoavverante? E questo non sempre perché la malattia sia grave, ma piuttosto a causa del modo che hanno scelto per comunicare diagnosi e prognosi.

Le modalità di comunicazione di una diagnosi possono rappresentare un ulteriore trauma

I consigli per comunicare diagnosi e prognosi in modo empatico

L’antidoto a quanto abbiamo appena descritto è più semplice di quello che si potrebbe pensare. Il curante deve aiutare il paziente a sentire visceralmente di avere una scelta. Un orizzonte aperto alla guarigione o almeno a soluzioni di miglioramento.

Tutto ciò che può aiutare a migliorare la situazione di ansia e insicurezza del paziente funziona come difesa dalla percezione che non ci sia una via di uscita e diminuisce le conseguenze negative della malattia.

Nessuna patologia è incurabile. Si può sempre curare una persona malata. Si può promettere senza mentire di fare del proprio meglio per accompagnare gli assistiti nel loro percorso, identificando strumenti utili a farli stare meglio. Solo la guarigione non può essere data per garantita.

L’intervento sintomatico aiuta in tutte le situazioni, regalando maggiore benessere e del tempo aggiuntivo per fare un lavoro alla radice della malattia e ottenere frutti duraturi. Quando c’è un dolore, un trattamento antidolorifico efficace permetterà al paziente di toccare con mano il fatto che c’è una possibilità di miglioramento, dunque una via d’uscita da quel dolore.

Qualsiasi strategia che permetta di diminuire un sintomo e migliorare la situazione è efficace per far sentire al paziente che c’è una via di uscita dalla malattia o dal malessere che accompagna la malattia.

La possibilità di curarsi come si vuole

Avere scelta significa anche poter scegliere come curarsi, nel rispetto dei propri valori. La volontà di interrompere un protocollo terapeutico, per esempio, dovrebbe essere sostenuta anche dai curanti.

Spesso, le cure proposte dalla medicina convenzionale tracciano un’unica strada. A cui a volte si accompagna una sentenza al limite del ricattoo ti curi secondo questo protocollo messo a punto dalla medicina convenzionale o muori”.

È importante lasciare sempre alla persona una prospettiva di cura aperta. Sentirsi in gabbia stimola il nostro animale interiore a reagire. Dimagrire, biologicamente, permette di “passare attraverso le sbarre” e scappare…

L’ospedale dovrebbe essere vissuto come un luogo di opportunità e non come un carcere dal quale non si può evadere.

Avere scelta significa anche poter scegliere come curarsi, nel rispetto dei propri valori

La collaborazione con i pazienti

Nella mia esperienza le cure si dimostrano come più efficaci, sia per il paziente sia per il curante, quando il medico porta avanti un lavoro di crescita personale e di rispetto del sé. Rimettendosi al proprio posto di essere umano, al servizio della salute di un altro essere umano, le scelte non condivise che un paziente potrebbe fare possono essere vissute con rispetto e non come un’offesa personale.

La relazione può essere di collaborazione, senza bisogno di far pressione per convincere a tutti costi il malato a seguire “l’unica strada efficace”.

Di solito, dopo un lavoro serio di consapevolezza, i medici sentono meno il bisogno di dover salvare il paziente a tutti i costi. Questo sentimento di onnipotenza, dettato dalla buona volontà, è fonte di grande frustrazione e impotenza per tutti, curanti e malati.

Rimettersi al proprio posto, invece, permette di aiutare al meglio le persone, in modo serio e con il cuore ma senza perdere il rispetto per sé e per gli altri, partendo dal modo di comunicare diagnosi e prognosi con empatia e senza dare nulla per scontato.

L’importanza della medicina territoriale

Avendo compreso quanto sia importante che la persona si senta libera, nell’ottica di non percepirsi come un uccello in gabbia, si può capire quanto possa essere indispensabile tutto il lavoro di tutela e sviluppo della medicina territoriale. Anche, o forse soprattutto, per facilitare il ricovero a domicilio.

I pazienti cronici che necessitano di cure prolungate possono davvero migliorare se hanno la possibilità di alternare i periodi di ospedalizzazione alle terapie domiciliari, in un ambiente familiare. Si evita così che questi individui abbiano la sensazione di trovarsi rinchiusi.

Quando invece il ricovero in ospedale è necessario, la possibilità di uscire in giardino, all’aria aperta, in luoghi con un orizzonte visivo ampio, regala esperienze che nutrono il senso di aver una via di scampo e contribuiscono al benessere del nostro animale interiore.

Facilitare le terapie domiciliari può essere di grande aiuto perché permette ai pazienti di non sentirsi in gabbia

La medicina integrata può aprire gli orizzonti

La medicina integrata ha un grande valore in tutti quei casi in cui diagnosi e prognosi possono sembrare particolarmente difficili da affrontare. Ed è preziosa perché abbraccia vari punti di vista, approcci e strumenti di cura: un’opzione che migliora significativamente la condizione del paziente, perché lo aiuta a sentire nel profondo di avere una via, anzi più vie di uscita.

L’obiettivo è quello di cercare e trovare insieme varie possibilità di miglioramento e sperimentarle una alla volta. Se alcune opzioni non dimostrano l’efficacia desiderata, c’è la consapevolezza di avere a disposizione altre vie da esplorare insieme.

Liberarsi dal mal di testa: cosa fare per raggiungere l’obiettivo

Liberarsi dal mal di testa: cosa fare per raggiungere l’obiettivo

Liberarsi dal mal di testa, per chi ne soffre, sembra un sogno irrealizzabile, un desiderio da affidare al genio della lampada o alla bacchetta magica di una fata delle fiabe.

Probabilmente sei abituato ad alleviare i sintomi del mal di testa ricorrendo a uno o più farmaci. Forse, nel corso degli anni, hai scoperto che medicinali dapprima efficaci sono diventati utili quanto un bicchiere d’acqua. Sei dovuto passare a rimedi più drastici. Antinfiammatori e analgesici potenti che talvolta ti costringono ad accettare fastidiosi effetti collaterali.

Se soffri di mal di testa è possibile che col passare degli anni tu sia stato costretto a usare farmaci sempre più pesanti per il tuo corpo

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Probabilmente, dopo una serie di test ed esami, ti sarai rassegnato ad accettare il mal di testa come un disturbo ricorrente nella tua vita. Un dolore che spesso ha origini dubbie e non si può guarire, ma solo attenuare di volta in volta, in attesa che passi.

Se ti riconosci in questa descrizione ho una buona notizia per te: liberarsi dal mal di testa è possibile. È importante però capire qual è la causa scatenante del tuo malessere, partendo dall’osservazione attenta del tuo problema. Devi iniziare, come spesso suggerisco ai miei pazienti, dall’impegno a conoscere te stesso. In questo caso il primo passo è quello di analizzare da vicino il sintomo, o meglio l’insieme di sintomi che, immagino, ti tormentano di frequente.

Un malessere molto diffuso

Secondo i dati divulgati nel 2018 dalla Società italiana di neurologia (Sin) e dall’Associazione neurologica Italiana per la ricerca delle Cefalee (Anircef), il mal di testa colpisce 26 milioni di italiani. Viene considerato tra le prime dieci cause al mondo di disabilità.

Non sei solo: il mal di testa colpisce circa 26 milioni di italiani

Il mal di testa è una condizione molto frequente che può dipendere da cause anche molto diverse tra loro. Talvolta capita che l’origine sia facile da identificare. Più spesso, pur indagando a fondo attraverso test ed esami, l’unica traccia evidente del problema resta il dolore. In questi casi si parla di cefalea primaria e di solito i medici riescono ad aiutarti solo trattando i sintomi. Dispiaciuti, ti suggeriscono di imparare a conviverci. Di conseguenza tu rinunci alla speranza di liberarti dal mal di testa.

Il mal di testa è una condizione frequente che può dipendere da cause molto diverse tra loro

Il punto di vista della medicina convenzionale

In medicina convenzionale si ha l’abitudine di curare le persone a partire da una diagnosi. Questo significa che si registra la presenza di alcuni sintomi, si fanno delle indagini (come l’esame clinico, gli esami del sangue eccetera) e si abbinano i risultati a un’interpretazione.

L’intento è quello di comprendere le cause e le caratteristiche dell’alterazione dei tuoi meccanismi fisico-chimici, necessari a preservare l’equilibrio dell’organismo. Lo scopo è appunto quello di arrivare a una diagnosi, che identifica una malattia. Fare una diagnosi significa letteralmente individuare la sede o la natura di una malattia.

Fare una diagnosi significa individuare la sede o la natura di una malattia

Talvolta, però, pur osservando un insieme di sintomi, attraverso l’approccio puramente fisico-chimico non si arriva a una diagnosi delle cause dell’alterazione. Né ai meccanismi che hanno portato alla comparsa dei sintomi. A questo punto, osservato lo squilibrio, si cerca di combattere la reazione anomala dell’organismo con le armi a disposizione: farmaci, chirurgia eccetera. Ma combattere il proprio corpo può essere controproducente.

Spesso non si arriva alla diagnosi delle cause che portano all’insorgenza dei sintomi

A cosa serve una diagnosi?

La diagnosi serve a identificare punti comuni in situazioni molto variabili, uniformando sintomi e risultati di laboratorio. Mettendoli per così dire sotto uno stesso cappello. Etichettare la problematica è utile per mettere a punto dei protocolli terapeutici.

Spesso, quest’approccio comporta la perdita dell’opportunità, da parte dei medici, di cogliere l’unicità dell’individuo che hanno di fronte. Ci ritroviamo a curare una cefalea e non la persona che abbiamo di fronte e che soffre di mal di testa.

Nella mia esperienza, le diagnosi costringono frequentemente i medici ad accettare compromessi e forzature. Si cerca di far rientrare la situazione del singolo paziente (ricca, articolata e unica) nello stampo necessario ad attivare il protocollo di cura previsto dal sistema diagnostico.

Le diagnosi possono costringere i medici ad accettare compromessi e forzature

Capita più spesso di quanto si pensi che alcuni sintomi, che dovrebbero essere rilevati per accertare una certa diagnosi, manchino del tutto. Oppure che ce ne siano di nuovi e diversi, che non rientrano nel quadro di quella malattia o sindrome. O ancora succede che la situazione del paziente evolva diversamente dalle attese.

Uno sguardo diverso alla malattia

Quando vogliamo comprendere davvero il messaggio inviato dal corpo del nostro paziente, come medici dobbiamo mettere da parte le etichette e tornare ad analizzare nuovamente ogni sintomo. Si tratta di un principio alla base dell’approccio di cura che ho sviluppato nel corso di venticinque anni di professione, il Metodo della Bioconsapevolezza.

È importante mettere da parte le etichette e analizzare con attenzione tutti i sintomi di ogni nuovo caso

Propongo anche a te di fare la stessa cosa. Metti da parte temporaneamente eventuali diagnosi mediche, che hanno dato un nome e un cognome al tuo mal di testa. Osserva con occhi nuovi quello che ti accade ogni volta che la testa ti fa male. È necessario a compiere il primo passo per liberarsi dal mal di testa.

Osserva con occhi nuovi quello che ti accade ogni volta che la testa ti fa male

Anche il mal di testa è un messaggio dal corpo

Sappi che il tuo mal di testa rappresenta il risultato di un’azione messa in campo dal tuo corpo, in risposta a una precisa situazione o stato. Come accade per molte altre problematiche, tra cui il sovrappeso o l’insonnia, si tratta di un messaggio dal corpo, che può essere diverso e specifico per ogni persona.

Non solo: è possibile che tu soffra di attacchi di mal di testa differenti a seconda dei momenti. Ogni tipo di mal di testa ti porta un messaggio specifico.

Il mal di testa rappresenta il risultato di un’azione messa in campo dal tuo corpo, in risposta a una precisa situazione

Cosa fare fin da subito per liberarsi dal mal di testa

Come medico, di fronte a un paziente che lamenta mal di testa frequenti, so che è necessario un colloquio approfondito (o più colloqui) per indagare sia i suoi sintomi, sia il suo passato e il contesto che vive abitualmente. Solo così possiamo avvicinarci insieme a una soluzione. Con questo articolo ti voglio indicare una strada da percorrere per liberarsi dal mal di testa.

Sai già che hai bisogno di essere seguito da vicino? Consulta il calendario dei miei eventi. Organizzo regolarmente degli incontri online sul tema.

Osserva bene il tuo mal di testa

Ti propongo di osservare il tipo di mal di testa che presenti con grande attenzione.

  1. Parti dalla sua localizzazione: interessa tutto il capo o è circoscritto a una specifica area della testa? Se è un’emicrania, ovvero affligge metà del cranio, è a destra o a sinistra? Potrebbe essere un mal di testa a casco, a cerchio, oppure ancora occipitale o frontale.
  2. A questo punto chiediti quale tipo di dolore senti. È un male che pesa, picchia, stringe, brucia, pulsa? Potresti descriverlo come una morsa?
  3. In quale modo puoi attenuare il dolore? Grazie al riposo, al buio, al movimento, al silenzio, al freddo, al caldo, al massaggio, a un farmaco preciso? Se più farmaci funzionano, a quale famiglia appartengono?
  4. Cosa peggiora il mal di testa? Il freddo, il caldo, il rumore, la luce, il movimento, il vento, gli sforzi fisici? O magari massaggiare la parte dolente o toccarla accresce il dolore?
  5. Da quali altri sintomi è accompagnato il tuo malessere? Nausea, vomito, lampi di luce, sensazione di abbagliamento, rigidità del collo, o magari formicolio al livello di braccia o gambe…

Il tipo di mal di testa che ti affligge è recidivante? Osserva se di solito si presenta dopo un periodo di stress importante o proprio durante una situazione di tensione.

C’è poi un’altra domanda fondamentale per me, necessaria all’approccio della Bioconsapevolezza. Quando hai iniziato ad avere mal di testa? A quale età e in quali circostanze?

Chiediti a quale età e in quali circostanze hai iniziato ad avere mal di testa

Tre categorie di mal di testa

Ora che hai osservato bene i tuoi sintomi, per semplificare dividiamo in tre grandi categorie i diversi tipi mal di testa. Esiste cioè un mal di testa caldo, un mal di testa freddo e un tipo di mal di testa che definiamo misto. In questa occasione voglio concentrarmi sul più frequente e diffuso, il mal di testa caldo.

Il mal di testa caldo è quello più frequente e diffuso

Carta d’identità del mal di testa caldo

 Il mal di testa caldo presenta alcune caratteristiche ben precise. Lo puoi riconoscere perché migliora quando:

  • applichi del freddo sulla parte dolorante
  • riposi isolandoti al buio, al silenzio, evitando ogni stimolo
  • il dolore diminuisce fino a passare assumendo antinfiammatori (FANS e farmaci cortisonici per esempio)

Arriva a tormentarti, di solito, dopo un periodo di tensione. Magari sei appena uscito da una situazione stressante, ed ecco che compare il mal di testa caldo. È legato al momento di rilassamento che vivi una volta sciolta la tensione. Paradossalmente, durante il periodo di tensione non ci sono sintomi.

Nella forma più intensa, quando si affronta il mal di testa caldo si ha bisogno di stare a letto, a riposo assoluto, in un ambiente buio e silenzioso. Possiamo distinguere due tipologie principali di mal di testa caldo a seconda della sua localizzazione e del tipo di vissuto che l’ha provocato.

Prima variante di mal di testa caldo

Il dolore che percepisci è spesso dovuto alla compressione alla base dei nervi che attraversano le prime vertebre cervicali. La localizzazione è generalmente occipitale, con tensione cervicale. Il mal di testa caldo può comunque anche colpire l’insieme del cranio, a casco. Il tipo di dolore è pulsante, persistente, tende a pesare e comprimere. Puoi sentire come una fascia o un cerchio che ti stringono la testa. Quando tocchi il cranio però, non aumenta il livello di dolore.

Cosa ti sta succedendo?

Come ogni sintomo, questo mal di testa arriva dopo un tipo di vissuto specifico. Il mal di testa caldo con tensione cervicale si presenta dopo una situazione di stress nella quale non ti sei sentito all’altezza. Magari hai pensato di non essere abbastanza in gamba per affrontarla. Potresti esserti sentito costretto a sottometterti a un’autorità senza riuscire a fare valere la tua posizione.

Il dolore compare a causa di un processo infiammatorio che accompagna il rilassamento. Può svilupparsi a partire da qualche minuto fino a circa 6 ore dopo essere usciti dalla situazione di stress. Quando ti assale la mattina al risveglio, per esempio, va ricondotto a una situazione avvenuta poco prima di addormentarti.

Il messaggio dietro al dolore

Il sintomo doloroso ti informa del fatto che la situazione di stress e disagio è superata. L’impegno stressante che non credevi di poter affrontare è concluso, sei riuscito a portare a termine l’incarico per il quale temevi di non essere all’altezza.

Se il mal di testa è recidivante, ti informa che hai un modo auto-svalutante di vivere alcune situazioni. Sei poco sicuro del tuo valore e hai una bassa autostima? Quanto è importante per te esser giudicato capace e all’altezza?

Il tuo mal di testa racconta che vivi spesso le situazioni svalutandoti

La direzione per guarire

Per guarire dal tuo mal di testa devi recuperare la convinzione e la tranquillità di essere all’altezza delle situazioni che vivi, esattamente così come sei. Quello che sappiamo fare e che siamo ha un valore. Ma anche ciò che non sappiamo fare e che non siamo ha una sua importanza.

Liberati dal bisogno di paragonarti agli altri o a un modello esterno. Lascia perdere l’obiettivo di essere all’altezza di una persona o di una situazione. Ti propongo di focalizzarti sul piacere di essere la migliore espressione di te stesso. L’obiettivo diventa scoprire ed esprimere la tua unicità, i tuoi talenti, le tue abilità speciali. La meta è riconoscerti come un dono per gli altri e per l’Universo.

Recupera la convinzione e la tranquillità di essere all’altezza delle situazioni che vivi esattamente così come sei

Il secondo tipo di mal di testa caldo

Il dolore, in questo caso, sembra interessare direttamente l’osso del cranio e peggiora con la pressione. Compare generalmente dopo che, per un motivo o per l’altro, ti sei sentito stupido o non abbastanza capace intellettualmente. Quando superi il momento svalutante e torni a sentirti adeguato intellettualmente, ecco che il mal di testa colpisce.

Un contesto in cui può facilmente prendere radice questa svalutazione, per esempio, è quello scolastico. Il nostro sistema educativo convenzionale si basa fondamentalmente sulle valutazioni, in forma di voto.

È un sistema che promuove l’intelligenza linguistica e logico-matematica svalutando le altre forme di intelligenza. A scuola, se non ottieni buon voti, vieni facilmente etichettato come poco intelligente.

Ho osservato che, paradossalmente, i bambini che hanno mal di testa sono spesso molto intelligenti per la loro età. Lo stress che vivono, di frequente, non deriva da un reale problema di intelligenza. Il loro riferimento, nei confronti del quale non si sentono all’altezza, è spesso un fratello o una sorella maggiore. Difficile “competere” con qualcuno che ha 5 o 7 anni in più, per esempio.

Oltre agli allievi, anche gli insegnanti degli ordini superiori possono vivere lo stress di non essere all’altezza. Possono temere di essere incapaci di rispondere alle domande degli studenti.

In una situazione del genere il mal di testa può svegliarsi alla fine delle lezioni, quando finalmente si torna a casa.

Il nostro sistema scolastico può favorire l’insorgenza del mal di testa caldo

Un problema che affligge di più le donne

Questo mal di testa caldo interessa prevalentemente gli individui di sesso femminile. Credo possa dipendere dal fatto che, a causa della società patriarcale in cui viviamo, c’è nella memoria collettiva di genere una svalutazione intellettuale della bambina e della donna.

In passato le femmine non avevano neppure accesso all’istruzione. Non avevano diritto di voto, dovevano fare le madri, le casalinghe, o dare piacere all’uomo con la propria bellezza, stando zitte e quiete.

Per liberarsi dal mal di testa, ancora una volta, bisogna rivalutare se stessi. Impara ad apprezzare le tue capacità intellettive. Indipendentemente dal tuo quoziente intellettivo, dal tuo grado di istruzione e dalle tue capacità intellettuali. Chi sei e quello che il tuo cervello sa fare è giusto, va bene. È perfetto per esprimere appieno la tua peculiarità.

Per liberarsi dal mal di testa caldo bisogna rivalutare se stessi

Ora hai le informazioni essenziali per comprendere il messaggio del mal di testa caldo. Niente ti impedisce ovviamente, intanto che ripristini la tua autostima, di prendere un farmaco per alleviare il dolore, mentre affronti il percorso su te stesso per liberarsi dal mal di testa. Integrando diversi approcci e punti di vista complementari potrai beneficiare dei vantaggi di ognuno.

L’integrazione di diversi punti di vista aumenta salute e benessere

Vuoi approfondire l’argomento per scoprire di più sul tuo mal di testa e comprendere quale messaggio ti sta mandando il tuo corpo? Iscriviti a uno dei miei incontri online sul tema.