Favorire la guarigione, le azioni dei curanti

Favorire la guarigione, le azioni dei curanti

Favorire la guarigione: come professionisti dobbiamo compiere delle azioni per andare in questa direzione. Esistono anche azioni che esulano dai protocolli, dai medicinali, dalle terapie? Oggi, ho voglia di condividere con i colleghi dei consigli concreti per favorire il processo di guarigione del corpo e della mente. Nell’articolo precedente, rivolto al grande pubblico ma adatto anche ai professionisti, ho spiegato come ogni reazione di adattamento del corpo di fronte agli eventi della nostra vita sia un processo in due fasi. La prima è una fase attiva, di stress, in cui l’organismo si adatta alla situazione stressante, seguita da una seconda fase in cui l’organismo emerge dalla situazione stressante e finalmente si rilassa.

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Come ho già sottolineato la seconda fase, quella di vagotonia, è una fase “calda” che possiamo chiamare “di riparazione”: è accompagnata, quindi, da infiammazione ed edemi. Una situazione che i medici conoscono bene perché di solito è il momento in cui sono chiamati ad intervenire. Paradossalmente, spesso i dolori o l’infiammazione emergono proprio quando si esce da un periodo di stress e non durante.

Come accompagnare il processo di riparazione

Anche se possiamo dire che “i giochi” si fanno durante la fase attiva, quella di stress, ci sono comunque delle azioni che sia i pazienti sia i medici o più in generale i curanti possono compiere per guarire o comunque supportare la guarigione durante la fase di riparazione. In particolare, è possibile accompagnare il processo per limitare i disagi e la sofferenza.

La conoscenza combinata della Biologia, di questo peculiare andamento bifasico, dei processi cerebro/emotivo/organici e dei ritmi biologici permette di individuare quelle situazioni che rischiano di aggravare l’intensità dei sintomi e il circolo vizioso della paura.

Da queste conoscenze possiamo comprendere l’importanza di alcune situazioni e gesti che potrebbero essere considerati a torto cose senza grande importanza. Vediamo ora insieme quanto e perché è importante fare in modo che la persona malata si senta al sicuro e sperimenti la fiducia di poter migliorare.

Essere come un pesce fuor d’acqua

Il quadro di cui vi voglio parlare in questo articolo descrive una situazione che aumenta l’intensità dei sintomi, e può rendere la fase di riparazione un percorso molto complicato. Ciò si verifica quando la persona malata vive una situazione d’insicurezza. Più precisamente quando la persona perde i suoi punti di riferimento e percepisce di essere in lotta per la sua esistenza, come un pesce fuor d’acqua.

Il senso di solitudine in generale e più specificamente l’impressione di essere solo a lottare per la propria esistenza peggiora ulteriormente il quadro.

Quando un pesce si ritrova fuori dall’acqua, il suo organismo trattiene i liquidi nel tentativo di sopravvivere per il tempo necessario a ritornare nel suo ambiente naturale. Nelle condizioni emotive di insicurezza e perdita dei punti di riferimento, anche l’organismo umano trattiene i liquidi. Questo senso di lotta per l’esistenza e di insicurezza aumenta tutti gli edemi e l’intensità dell’infiammazione. La seconda fase, quella di riparazione, diventa allora maggiormente sintomatica.

L’insicurezza che fa reagire l’organismo è un’insicurezza viscerale. Ciò significa che entra in gioco il nostro animale interiore, non il nostro essere razionale pensante. Ci vorranno azioni concrete e pragmatiche per rassicurare l’animale interiore.
Ecco qualche esempio concreto che mette a confronto persone che si sentono visceralmente al sicuro e persone che invece si sentono come un pesce fuor d’acqua. Un trauma che comporta sofferenza ai legamenti del ginocchio che si esprime solitamente con un piccolo edema si esprimerà attraverso un edema intenso con ampio travaso quando la persona che lo subisce sperimenta una situazione di insicurezza. La stessa persona sperimenterà un dolore pari a 10 su 10 quando invece in un contesto di sicurezza e serenità il dolore potrebbe essere pari appena a 2.

Una leggera anemia diventa un’anemia severa. Un leggero sovrappeso diventa un’obesità vera e propria. Una semplice evacuazione diarroica diventa una dissenteria con fitte molto dolorose. Un piccolo disorientamento temporo-spaziale effimero diventa uno stato di costernazione costante in cui il paziente può sembrare demente eccetera. Gli esempi che possiamo fare sono infiniti.

Il senso di solitudine in generale e più specificamente l’impressione di essere solo a lottare per la propria esistenza peggiora ulteriormente il quadro

Il circolo vizioso

Oltre ai sintomi difficili da sopportare, un dolore di intensità 10 su 10, per esempio, può spaventare molto, la vita diventa più faticosa e la persona che lo prova può sentirsi concretamente in pericolo. Per non parlare della diagnosi di un’anemia severa. Diventa molto facile in questi contesti entrare in un circolo vizioso infernale, in cui i sintomi, la cui intensità è aumentata dall’insicurezza, fanno sentire prepotentemente il senso di pericolo.

Quando una situazione del genere si moltiplica per 3 o 4 sintomi e cause differenti il paziente si può sentire totalmente sopraffatto e dominato da un’angoscia viscerale.

 Il contesto dell’ospedale

Vorrei ora attirare la tua attenzione su un luogo in cui una persona malata può sentirsi molto facilmente un pesce fuor d’acqua: l’ospedale.

Per il curante che lavora da tempo in ospedale, la struttura è un ambiente conosciuto e normale. Ogni individuo che ci lavora, per esempio, conosce i codici dei colori dei camici, spesso conosce bene le altre persone impiegate, gli ambienti gli sono famigliari così come le regole comuni. Il linguaggio tecnico è condiviso. Il curante può sentirsi a proprio agio e al sicuro in questo ambiente famigliare, per lui o lei è facile orientarsi! Come accade a un pesce nel proprio ambiente.

Tutto cambia per chi arriva in pronto soccorso a causa di un problema di salute. All’insicurezza percepita per il sintomo o il problema di salute, che ha spinto il paziente a presentarsi al pronto soccorso, si somma quella di trovarsi in un ambiente molto diverso da casa. Coloro che si ritrovano in pronto soccorso o ricoverati, percepiscono spesso l’ospedale come una terra sconosciuta.

Prova a immaginare. Per la maggior parte del tempo le persone care non sono con il malato. Il personale sanitario e gli altri pazienti sono perfetti sconosciuti. Il linguaggio tecnico medicale, per chi non è dell’ambiente, è incomprensibile. La struttura ospedaliera può sembrare un labirinto, in cui spostarsi e orientarsi diventa una sfida. Rapidamente, l’animale interiore di chiunque si può sentire un profugo in terra sconosciuta e attivare l’input a trattenere i liquidi.

All’insicurezza percepita per il sintomo, in ospedale si somma quella di trovarsi in un ambiente molto diverso da casa

Cosa fare per favorire la guarigione?

L’antidoto più efficace è il senso di sicurezza. Questo aiuta a guarire e attenuare i sintomi. Bisogna agire per sentirsi e far sentire il malato come a casa, al sicuro e sostenuto.

Le conoscenze e le competenze tecniche medicali dei professionisti in ospedale, che permettono al paziente di sentirsi nelle mani di persone preparate e serie, sono ovviamente importanti. Però non bastano. Cos’altro può aiutare a far sentire il paziente al sicuro e sostenuto?

Al paziente serve un curante che abbia quelle che si chiamano soft skills. Le soft skills sono le competenze relazionali, o competenze trasversali. Hanno a che fare con il saper essere piuttosto che il saper fare. Sono abilità personali e tratti del carattere che caratterizzano le relazioni fra le persone. E sono complementari alle competenze tecniche. Queste competenze possono essere innate, ma si imparano e si acquisiscono anche, come vale per ogni insegnamento tecnico: con studio serio e dedizione. Insegnarle è parte del mio impegno professionale.

Alcuni esempi concreti per aiutare a guarire prima e meglio

Facciamo alcuni esempi per chiarire cosa aiuta il paziente a sentirsi al sicuro con l’obiettivo di favorire la guarigione. Sto parlando ad esempio di: qualità della relazione, tempo dedicato, sguardo rassicurante, sorriso complice, il semplice fatto di essere tenuto per mano in un momento di ansia, ricevere spiegazioni chiare senza paroloni medici. In pratica… Per favorire la guarigione il paziente ha bisogno di confrontarsi con curanti umani, calmi, seri ed empatici.

Si comprende allora tutta l’importanza del saper comunicare e creare una relazione di fiducia, in cui la persona si sente presa in considerazione: ascoltata, rispettata e sostenuta. Un’altra cosa che consiglio sempre è chiamare la persona malata con il suo nome/cognome evitando espressioni come “quello del 37 finestra” o “la frattura del femore della stanza 42”.

Imparare a comunicare, creare una relazione di fiducia, chiamare la persona con il proprio nome sono tutte azioni concrete per favorire la guarigione

Diventa lampante anche l’importanza di autorizzare le visite di parenti e amici rassicuranti. (A questo scopo, la salvaguardia degli ospedali di periferia, vicini al domicilio delle persone, permette ai cari di fare regolarmente visita e favorire la guarigione dei malati). Altro elemento di grande valore è il ruolo dei volontari, pronti a dare informazioni a una persona apparentemente smarrita o a fare due chiacchiere con chi si trova solo.

L’ospedale non sarà mai come casa propria. Anzi: dev’essere il più possibile un luogo di passaggio in cui stare il minimo possibile. Ma quando il ricovero è necessario, è importante che il nostro animale interiore, quello che dirige la nostra biologia, si senta al sicuro.

Consigli pratici per favorire la guarigione

Oltre alla qualità dell’ESSERE del personale sanitario e dei volontari, non va sottovalutata l’importanza di lasciare alla persona in cura qualcosa che le ricordi casa sua (se è per lei/lui un luogo sicuro). Una coperta, un quadro con la foto di un parente, un amico o un animale domestico, oppure un altro oggetto famigliare. Un semplice esemplare della Settimana Enigmistica potrebbe anche bastare se la persona ne è un appassionato. Sogno un giorno in cui, nella prassi normale di accoglienza del paziente in ospedale, tra tutte le domande propriamente medicali poste al paziente ci sarà anche questa: desidera qualcosa da casa che potrebbe portarle un suo parente o un amico?

Nel momento dell’urgenza, quando non capiamo cosa accade al nostro corpo, sentirsi nelle mani di persone preparate e serie è la condizione prioritaria che allenta l’insicurezza. Passata l’urgenza, casa diventa il luogo privilegiato.
Infine, poiché siamo tutti diversi, va sottolineato che, per alcune persone, l’ospedale è il luogo più rassicurante. Specie per coloro che non hanno un sostegno a domicilio. Invece per tutti gli altri, che vivono situazioni armoniose, il luogo in cui si sentono più al sicuro, passata l’urgenza, è appunto casa loro.

Il fenomeno è molto evidente per gli anziani; spesso vanno incontro a veri e propri squilibri e peggiorano rapidamente quando sono strappati dal loro ambiente conosciuto. Lontani dalla loro casa, con i loro fiori e gli animali da curare, i ritmi consolidati, le routine su misura, deperiscono a vista d’occhio. Perdere i riferimenti li fa sprofondare in uno stato di costernazione e disorientamento spazio-temporale tale da non riconoscerli dopo soli due giorni di ricovero.

Il ricovero a domicilio

Di solito, il tempo delle cure vere e proprie, durante un ricovero, è di poche ore. Gran parte della giornata è fatta di tempi “morti”, in cui la persona aspetta che passi il tempo fra due visite, due esami o due trattamenti.

Facendo tesoro di queste informazioni, diventa evidente l’importanza di favorire il ricovero a domicilio. È ovviamente fondamentale che la persona malata venga seguita. Sogno un futuro prossimo in cui il sistema sanitario e più specificamente la medicina di territorio saranno organizzati molto bene a riguardo. Passata l’urgenza, quando la situazione a casa è propizia, potremmo allora proporre ai pazienti di essere seguiti dal proprio medico di fiducia o da una squadra sanitaria ad hoc, a casa propria. Tutto il tempo libero dalle cure sanitarie diventerà tempo speso in un luogo conosciuto, amato e famigliare, dove la persona potrà beneficiare della presenza dei propri affetti, oggetti e ambienti.

A casa tutto il tempo libero dalle cure sanitarie diventa tempo speso bene in un ambiente dove ci si sente al sicuro

L’esperienza dei curanti durante l’epidemia covid 19

L’esperienza recente ci ha mostrato quanto è stata vincente la cura dei pazienti a domicilio. L’attivazione di squadre sanitarie che operano erogando visite regolari e il supporto della telemedicina e dei colloqui telefonici hanno fatto sentire le persone malate sostenute e più al sicuro.

Invece, le persone che si sono sentite abbandonate dal proprio medico e dal sistema, con il divieto di presentarsi in ospedale per evitare di “occupare un posto” o “creare affollamento”, hanno avuto sintomi molto più intensi con un conseguente peggioramento e spesso esiti drammatici.

Partendo dalle informazioni condivise in questo articolo, si comprende anche l’aspetto biologico che spiega perché la comunicazione martellante dei media, che alimentava l’angoscia e l’insicurezza, sia stata dannosa e abbia trasformato un evento potenzialmente complicato in un dramma collettivo. Di fatto i media hanno ostacolato e rallentato la guarigione con il loro atteggiamento allarmistico. Spero che qualche giornalista o editore legga questo articolo e prenda coscienza del proprio potere sulla salute delle persone, così da usarlo d’ora in poi con cuore, serietà e consapevolezza.

In conclusione

Ogni persona e ogni azione che permetta al paziente di sentirsi al sicuro e sostenuto favorisce la guarigione. Questo perché aiuta concretamente ad attutire l’intensità dei dolori, degli edemi, dell’infiammazione e di qualunque sintomo proprio della fase di riparazione. Far sì che questo aspetto sia totalmente integrato nel percorso di cura è un potente contributo al processo naturale di autoguarigione. E anche un sostegno reale alle cure mediche propriamente dette.

Ritenzione idrica e sovrappeso perché ne soffri, cosa puoi fare

Ritenzione idrica e sovrappeso perché ne soffri, cosa puoi fare

La ritenzione idrica è un problema diffuso che colpisce soprattutto le donne ma non solo. In questo articolo mi concentrerò sulla ritenzione idrica associata al sovrappeso e alla cellulite.

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Nel sovrappeso esiste spesso una componente dovuta alla ritenzione idrica. Puoi capire da solo se si tratta di un problema rilevante per te: ti capita di acquistare o perdere diversi chili in pochi giorni? Queste brusche variazioni di peso non si verificano per colpa del grasso. Il tessuto adiposo di solito non si accumula né sparisce tanto velocemente…

Chi acquista peso rapidamente, spesso, ha il problema di trattenere i liquidi con grande facilità. Altrettanto spesso eliminarli, invece, non è così facile. Oppure lo è, ma la fase in cui ci si sente più leggeri è molto più breve di quella in cui ci si sente gonfi e pesanti, impattando su aspetto fisico, bilancia e benessere.

Come funziona la ritenzione idrica

La ritenzione idrica è la tendenza dei tessuti dell’organismo a trattenere grandi quantità di fluidi, provocando un gonfiore che può essere associato a dolore, pesantezza e perdita di elasticità delle zone interessate. La ritenzione idrica può essere localizzata oppure no.

Quando è localizzata, interessa generalmente gli arti inferiori e superiori e l’addome. In questi casi i tessuti, oltre a perdere parte della loro elasticità, acquisiscono il classico aspetto bianco lattiginoso quando si fa pressione con un dito.

Il tuo medico di fiducia può confermare (o meno) una diagnosi di ritenzione idrica. Dopo una visita potrà anche ipotizzare delle cause. Ovviamente tutti i sintomi che presenti devono essere valutati nel contesto della tua storia clinica. Se soffri di insufficienza venosa o patologie dei reni o ancora dell’apparato cardio-circolatorio, quella che pensi sia “semplice” ritenzione idrica è uno dei sintomi di un problema più complesso.

Nel caso di ritenzione idrica generalizzata si dà spesso colpa agli ormoni o a un cattivo funzionamento del sistema linfatico. Ma le cause di una ritenzione idrica diffusa restano spesso senza spiegazione per la medicina convenzionale.

Nel caso di ritenzione idrica generalizzata si dà spesso colpa agli ormoni

La ritenzione idrica secondo la medicina convenzionale

Approfondiamo le ragioni alla base della ritenzione idrica secondo la medicina convenzionale. Se la ritenzione è occasionale può dipendere dal caldo, da una reazione allergica o dall’assunzione di farmaci cortisonici o antipertensivi.

Quando invece è presente in modo costante o si ripresenta regolarmente, molto spesso, alle donne si dice che la ritenzione idrica è la loro reazione alle modificazioni indotte dal ciclo mestruale. Oppure ancora che è dovuta all’uso della pillola anticoncezionale (a base di ormoni) o allo stato di gravidanza.

La medicina convenzionale tende a trattare la ritenzione idrica curandola con i farmaci. Questo se c’è una patologia diagnosticabile potenzialmente collegata al fatto di ritenere liquidi. Altrimenti, al paziente con ritenzione idrica si consiglia una dieta povera di sale, moderata attività fisica, una maggiore assunzione di liquidi e in alcuni casi integratori e diuretici.

Purtroppo, molto spesso, tutto questo non è sufficiente per una guarigione duratura. Magari la ritenzione idrica migliora o si presenta con una frequenza leggermente inferiore, a patto che si continui a prendere farmaci o si resti a dieta. Non appena si smette di “combattere il sintomo”, puntualmente la ritenzione idrica torna a pesare sul paziente.

Le cause profonde della ritenzione idrica

Perché la ritenzione idrica colpisce alcune persone e non altre? Non tutte le donne che hanno il ciclo mestruale soffrono di ritenzione idrica, per esempio. Il fatto è che ci sono delle cause profonde che comportano la tendenza ad accumulare liquidi. Per liberarsi dalla ritenzione idrica, quindi, è necessario scoprire e trasformare la causa profonda che la provoca.

Quando il corpo ha la tendenza ad accumulare liquidi, ci troviamo di fronte a uno stress causato dalla lotta per l’esistenza. Cosa significa? Il tuo corpo ha memoria di una o più situazioni molto stressanti, nelle quali hai perso i tuoi punti di riferimento e ti sei ritrovato come un pesce fuor d’acqua. Vediamo cosa significa nello specifico e come puoi liberarti dalla ritenzione idrica. Ricordati, in ogni caso, che lo stress non è per forza qualcosa di negativo.

Quando il corpo ha la tendenza ad accumulare liquidi, ci troviamo di fronte a uno stress causato dalla lotta per l’esistenza

Salvare il pesce fuor d’acqua

Esattamente come farebbe un pesce trovandosi fuori dall’acqua, il tuo corpo trattiene i liquidi nell’attesa di essere riportato nel suo ambiente. Un ambiente dove si sente al sicuro, protetto da pericoli e avversità, un ambiente privo di stress.

La ritenzione idrica, quindi, può essere dovuta a traumi avvenuti nel passato, a te o a una persona nella tua genealogia, oppure può essere legata a una situazione di stress cronico. Questo se il tuo vissuto quotidiano è molto faticoso, come accade a chi combatte ogni giorno per sopportare un ambiente lavorativo o familiare ostile.

Come sempre, non è tanto la situazione che viviamo ma il modo in cui la viviamo che condiziona le reazioni del corpo. La tua personale attitudine ad affrontare una situazione, inoltre, è condizionata dal tuo passato, personale e familiare. Non dobbiamo per forza chiamare in causa situazioni al limite, come chi vive abusi in famiglia oppure lo stress di un soldato in missione.

La vita quotidiana di un imprenditore, di una madre di famiglia o di chiunque attraversi un periodo particolarmente difficile è più che sufficiente per innescare il meccanismo che porta alla ritenzione idrica.

Il tuo corpo trattiene i liquidi nell’attesa di essere riportato nel suo ambiente

A tutti può succedere di sentirsi come il pesce

Le situazioni stressanti che possono innescare la ritenzione idrica (cioè la reazione di un pesce fuori dall’acqua) sono molteplici. Un ricovero in ospedale, per esempio, che catapulta in un ambiente sconosciuto con regole proprie, non sempre facili da comprendere; dove per comunicare le persone utilizzano un linguaggio medico a volte ostico da capire, il tutto all’interno di un contesto in cui potresti temere per la tua vita o la tua salute a lungo termine.

Oppure puoi sentirti come un pesce fuori dall’acqua quando muore una persona di riferimento, sei costretto a trasferirti in un altro paese, o devi affrontare un cambiamento radicale di abitudini… Anche l’improvvisa necessità di combattere per i propri diritti fondamentali, la perdita del proprio status sociale, magari perché si viene licenziati o sfrattati, può spingere una persona a entrare in un meccanismo di lotta per l’esistenza. Come conseguenza, per difendersi, l’organismo trattiene fluidi.

Ci sono poi persone che vivono una vita intera sentendosi come alieni nel mondo, come se niente o quasi fosse adatto a loro su questo pianeta Terra. Mi riferisco a chi non riesce a sentirsi a casa in nessun posto. A coloro che vivono con la sensazione di essere fuori posto. A chi soffre perché l’ambiente che lo circonda gli impone regole e consuetudini ostili alla sua sensibilità.

Cosa puoi fare per capire se ti riguarda?

Per capire se il tema del pesce fuor d’acqua ti riguarda da vicino ti invito a rispondere a questa domanda. C’è stato un episodio, nella tua vita, a causa del quale ti sei sentito un pesce fuor d’acqua? Chiudi gli occhi e lascia affiorare una risposta. Hai vissuto un momento di grande insicurezza in cui ti è venuto a mancare il senso di protezione e ti sei sentito in pericolo di vita?

C’è stato un episodio, nella tua vita, a causa del quale ti sei sentito un pesce fuor d’acqua?

La maggior parte di noi, almeno spero, ha il ricordo di un luogo in cui viveva al sicuro, protetto e sostenuto. Non c’era nulla da fare per “meritarsi” di vivere. Unico imperativo quello di lasciar scorrere la vita dentro di sé. Il primo ricordo del genere (anche se inconscio) riguarda l’utero di nostra madre: memoria di un ambiente liquido, accogliente e vitale. Eravamo come un pesce (beatamente) in acqua. Il secondo ricordo ci colloca tra le braccia della mamma o di chi ci ha protetto e nutrito quando eravamo fortemente vulnerabili.

L’inevitabile strappo

Qualsiasi situazione che strappi forzatamente dalle braccia dell’adulto di riferimento in un momento in cui se ne ha un bisogno vitale può innescare il programma del pesce fuor d’acqua. Da quel momento in poi niente è più come prima. Inizia una vera e propria lotta per l’esistenza.

Per liberarti dall’azione di questo programma è utile richiamare, dentro di te, il ricordo della vita intrauterina o delle braccia della mamma. Riconnettersi al benessere vissuto quando eri al tempo stesso vulnerabile e protetto ti aiuterà a stare di nuovo bene. Ritrovare la sicurezza che sentivi quando eri tra le braccia della mamma è un movimento che puoi fare in visualizzazione. Immagina di essere tra le braccia della mamma e ricontatta la sensazione che hai provato: hai questa memoria dentro di te, l’obiettivo è ricontattarla e lasciarle spazio. In alternativa o in aggiunta puoi lavorare con le costellazioni famigliari, grazie all’aiuto di un professionista. Quando avrai riconquistato questo senso di sicurezza, col tempo, affiorerà in te il coraggio di aprirti di nuovo al sostegno degli altri. Sarai anche consapevole che, qualora l’aiuto venisse a mancare, il dolore sarebbe meno grande.

Da adulto hai un’autonomia che non avevi da neonato. Anche se è venuta meno una persona di grande riferimento per te, oggi puoi contare su altri amici o parenti e puoi sempre contare su te stesso.

Ricontatta la sensazione vissuta tra le braccia di tua madre quando eri neonato

Riaprirsi agli altri

Accettare che gli altri possano aiutarti apre alla condivisione di gioie e dolori. Tutto diventa meno difficile. Man mano ti sentirai di nuovo in grado di lasciare scorrere la Vita dentro di te, di lasciarla agire attraverso la tua persona. Tornerai ad essere un osservatore curioso e attento degli effetti che questo flusso vitale può avere sulla tua vita. Perderai l’abitudine faticosa di nuotare contro corrente e imparerai a lasciarti portare dalla corrente.

Quando c’è un vissuto familiare alla radice

Una volta capito qual è l’evento scatenante che ti porta a sentirti come un pesce fuor d’acqua nella tua vita, indaga anche nella tua storia familiare.

Poni la stessa domanda che hai fatto a te stesso ai tuoi genitori e ai nonni, se sono ancora in vita. La memoria genealogica di un trauma che ha spiazzato un membro della famiglia a causa di un grosso cambiamento, di un ricovero, di un trasferimento eccetera può essere il vissuto alla radice della tua ritenzione idrica. Puoi anche “farti aiutare” dal sintomo. Chi nella tua famiglia soffre di ritenzione idrica? Soffermati un po’ di più sul vissuto di quelle persone che hanno il tuo stesso sintomo.

Il sintomo è la punta dell’iceberg. Il resto, nascosto, è il vissuto doloroso sul quale il corpo ha sentito la necessità di intervenire. Se vuoi essere sostenuto per approfondire questa indagine, rivolgiti a un esperto di Biopsicogenealogia o Biokinesiologia.

Uscire da una situazione a rischio

Come uscire dalla lotta per l’esistenza? Non sempre è possibile cambiare lavoro, tornare nella vecchia casa in cui si stava tanto bene, diminuire sensibilmente il carico di responsabilità per subire meno stress eccetera. Allora cosa puoi fare per risolvere il tuo problema di ritenzione idrica oltre a cercare di sentirti nuovamente protetto? Come intervenire se ci sono cause scatenanti dall’esterno, che continuano a stressarti?

Come sottolineo spesso in questo blog, non sono le situazioni che sono importanti ma il modo in cui le vivi. Magari non c’è nulla da cambiare nella tua vita, almeno non in quella esteriore. Il primo passo, fondamentale, è quello di modificare il tuo mondo interiore.

Magari non c’è nulla da cambiare nella tua vita ma modificando il tuo mondo interiore puoi ritrovare il benessere

Ti consiglio di mettere tra le tue priorità la necessità di riconnetterti al tuo senso profondo di sicurezza e sostegno. Ti aiuterà non solo a eliminare la ritenzione idrica ma in generale a recuperare benessere. Lo strumento delle costellazioni familiari è un ottimo aiuto quando vuoi perseguire questo obiettivo. Permettono di guarire ferite antiche e relazioni sospese che influenzano il nostro fisico e il modo in cui viviamo il nostro presente.

Una volta che ti sarai riconnesso alla tua naturale fonte di sostegno interiore e avrai restaurato la possibilità di sentirti a casa ovunque tu sia, sarà più facile e naturale fare le scelte “giuste” per rispettarsi di più. Potrai creare una realtà in cui tu e chi ti circonda vivete bene, nel rispetto e nel sostegno reciproco.

Conoscere se stessi e seguire la gioia

Conosci te stesso e rispondi alle tue esigenze. Smetti di combattere contro quello che sei e contro la tua spinta vitale interiore. Regalati dei momenti in cui non sei impegnato a lottare. Trovati un luogo sicuro, in cui puoi trascorrere più tempo possibile. Rifugiati lì per lasciare andare le tensioni.

Favorisci le relazioni in cui puoi essere liberamente te stesso e qualunque situazione che ti permetta di sentirti a casa. Fatti guidare dalla sensazione interiore di gioia. Inizierai a urinare in abbondanza, sentirai il tuo corpo sgonfiarsi e vedrai l’ago della bilancia scendere progressivamente.