Cancro e cure non convenzionali, la libertà di scegliere

Cancro e cure non convenzionali, la libertà di scegliere

Cancro e cure non convenzionali possono essere considerate un binomio sensato? Si può pretendere o concedere la libertà di scelta a chi fa l’esperienza di una diagnosi di cancro? Ci sono persone che non vogliono neppure pensare a questa opportunità. Credono che accostare cancro e cure non convenzionali sia un grave errore. Lo credono al punto da ostacolare con forza i propri cari che cercano altre strade.

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Negli articoli “Perché curare il cancro integrando le terapie complementari” e “Cancro: primi passi dopo la diagnosi” ho raccontato i vantaggi di integrare le cure complementari alle terapie convenzionali.

In questo articolo propongo una riflessione a favore delle persone che chiedono, se non il sostegno, almeno il rispetto delle proprie scelte terapeutiche non convenzionali.

Un atteggiamento di rifiuto

Spesso, i giornalisti che raccontano fatti di cronaca legati alla morte per cancro di persone che stavano percorrendo strade di cura non convenzionali, denunciano l’irresponsabilità di queste persone. Sembrano suggerire che se i malati avessero seguito un percorso convenzionale, oggi sarebbero vivi e sani. Questa, però, è una bugia. Coloro che pensano e scrivono cose del genere esprimono tutta la loro ignoranza sulla complessità della situazione.

Certo, sarebbe bello (o forse no) se fosse tutto bianco o nero e se si potessero avere certezze sull’esito futuro di una scelta. La verità è che nessuno può sapere cosa sarebbe accaduto percorrendo un’altra strada, più convenzionale. E quando qualcuno muore in seguito a un percorso di cure convenzionali, non se ne parla sui giornali.

Con questo articolo vorrei dar il mio contributo per favorire una maggiore consapevolezza, vorrei che chi legge capisca quanto sia complesso l’argomento e, perché no, vorrei promuovere il rispetto per le scelte di ognuno. Convenzionali oppure no.

Il desiderio di salute

Innanzitutto, vorrei fosse chiaro a tutti che nell’agire di ognuno di fronte alla malattia e nelle scelte terapeutiche, c’è il desiderio (per sé o per i propri cari) di ripristinare la piena salute e darsi la possibilità di vivere a lungo, sani e felici.

Ogni azione intrapresa ha questo obiettivo. Partendo da questo scopo, ognuno mette in gioco la propria esperienza, le convinzioni, le emozioni, la cultura e il contesto in cui è vissuto. Si sceglie la strada che si crede migliore per sé o per la persona cara. Non è possibile sapere in anticipo quale sarà il risultato e tutto si gioca a partire dal desiderio di raggiungere salute e benessere.

Perché cercare strade non convenzionali?

Guardando negli occhi un figlio/a, una compagna/o, un genitore che sta male, che ha sempre meno energia, che non riesce a tenere il cibo nello stomaco, perde i capelli e diventa sempre più pallido e debole, non è legittimo che sorga un dubbio? Cosa fa stare male questa persona? La malattia o la terapia? Cosa sarebbe successo dicendo no alla chemioterapia?

Siamo in tanti, professionisti e non, ad aver già vissuto da vicino oppure da lontano un percorso di terapie convenzionali tossiche, che ha avuto un esito nefasto. A volte la persona è morta, a volte è sopravvissuta a costo di sofferenze, effetti collaterali e sequele non indifferenti. Può essere legittimo allora, quando la situazione si ripresenta, voler esplorare altre strade?

Il messaggio di fondo sul quale vorrei riflettere con voi è quello secondo cui chi non segue la Medicina Ufficiale è destinato a morire. E in fondo diventa colpevole della propria sofferenza e della propria eventuale morte, assieme a tutti i familiari che non lo hanno distolto da questa “folle” idea.

Perché cercare strade diverse dovrebbe essere folle? Come può essere sbagliato desiderare di star meglio, di preservare l’energia vitale e, anzi, di aumentarla?

Non esiste un’unica via

Come medico mi rincresce doverlo sottolineare, ma anche decidendo di seguire i protocolli della medicina convenzionale non c’è certezza di guarigione. Questo significa che non esiste una Via Assoluta, efficace sempre e per tutti.

Anche decidendo di seguire i protocolli della medicina convenzionale non c’è certezza di guarigione

Magari ci fosse un percorso senza effetti collaterali e che assicura la guarigione! Allora forse sì, di fronte alla certezza del successo, chi non percorresse quella via sarebbe da considerare folle. La scelta di non curarsi secondo un protocollo che dà il 100% di guarigioni e di benessere sarebbe davvero difficile da comprendere.

Guardare ai fatti

Partendo dalla costatazione che c’è tanto margine di miglioramento riguardo alle cure convenzionali e non, sembrerebbe evidente che per aiutare il paziente serve unire le forze, le conoscenze e i punti di vista.

Non posso che constatare che c’è una mancanza di collaborazione tra i professionisti esperti nei diversi approcci, quando invece le strade della medicina convenzionale e non convenzionale si potrebbero benissimo integrare.

Osservo che tanti operatori, anziché collaborare sfruttando le competenze e le conoscenze di ognuno, si ignorano, anzi: sovente si disprezzano. Spesso senza nemmeno conoscersi! A subire le conseguenze di tutto questo sono i malati e i loro cari.

È un dato oggettivo, per esempio, che la chemioterapia sia una terapia fortemente invalidante. I medici e i pazienti che esplorano strade nuove per cercare di evitare, arginare o compensare i danni delle terapie proposte dalla medicina convenzionale perseguono un intento legittimo.

Alcuni studi hanno mostrato che i medici sono spesso i primi a esitare quando devono sottoporsi a queste terapie se si ritrovano nel ruolo di paziente. Questo perché sanno ciò che comportano. Iniettarsi un veleno altamente tossico nel corpo per uccidere le cellule considerate pericolose non è affatto naturale. Nessuno che conosce la medicina potrebbe mai farlo a cuor leggero.

La medicina non è onnipotente

Contrariamente a quello che tanti vogliono far credere, ricordo che la medicina non è una scienza ma un’arte. Un’arte che necessità umanità, empatia, rispetto, sensibilità, intuizione e umiltà, oltre che conoscenza e tecnica.
Non comprendo quest’insistenza a voler fare passare la medicina per una scienza esatta. Forse c’è un bisogno diffuso, da parte dei media e dei professionisti, di convincere le persone che sia totalmente sicura e infallibile? Farne una scienza non ne eliminerebbe comunque i potenziali margini di fallimento (quante teorie, nei secoli, si sono rivelate sbagliate?).

L’integrazione come via verso salute e benessere

Sempre più persone decidono di integrare le terapie convenzionali con un percorso di terapie non convenzionali. Scelgono di seguire i protocolli terapeutici consigliati dalla medicina convenzionale e, spesso di nascosto dalla squadra di professionisti convenzionali, integrano un percorso di terapie non convenzionali.
Strade che possono comprendere, ad esempio, terapie naturali per arginare gli effetti collaterali della chemioterapia e percorsi per raggiungere la consapevolezza delle ragioni dietro alla malattia, con l’obiettivo di individuare e rimuoverne le cause.
L’intento dei percorsi di consapevolezza mira certo a una guarigione fisica, ma anche emotiva e a volte spirituale.
Anche se qualcuno che critica e dà parere contrario c’è sempre, di solito questa integrazione risulta una via abbastanza pacifica, che i pazienti riescono a percorrere senza troppi ostacoli.

Sempre più persone decidono di integrare le terapie convenzionali con un percorso di terapie non convenzionali

Perché una scelta drastica?

A volte invece, alcune persone rifiutano totalmente la medicina convenzionale. Perché una scelta cosi drastica? Per comprendere queste scelte c’è da prendere atto di un fatto importante. Accettare terapie tossiche che fanno sentir peggio di quanto faccia il tumore è un grande atto di fiducia nei confronti della medicina che si pratica nei nostri ospedali. Questa fiducia, però, oggi è incrinata.

Lo è perché la medicina che viene proposta è una medicina di massa, fatta di protocolli in cui si cura la malattia e non la persona. Se il protocollo prevede 6 dosi di farmici chemioterapici, una ogni 3 settimane, il medico prescrive questo stesso percorso indipendentemente dalla persona che ha di fronte e dalla sua risposta fisica. Il medico stesso è prigioniero dal protocollo e rischia il proprio posto di lavoro se si prende la libertà di adattarlo al paziente.

La medicina che viene proposta è una medicina di massa

Inoltre, la fiducia è incrinata perché vengono sempre più spesso a galla malfunzionamenti gravi del sistema: manipolazioni che portano primari di chirurgia a fare operazioni non necessarie per raggiungere i budget di spesa prefissati; case farmaceutiche che corrompono i ricercatori per modificare i risultati delle sperimentazioni sui farmaci falsificando i dati sull’efficacia o sugli effetti collaterali… Sono tanti gli esempi che chiariscono quanto il benessere del paziente non sia sempre al primo posto in questi ambienti.

Tale crisi di fiducia può spingere il paziente a rifiutare del tutto un certo tipo di cure per cercare strade alternative.

Evitare i protocolli, si può?

Creare la propria via di guarigione indipendentemente dai protocolli è possibile? Ho conosciuto personalmente pazienti che l’hanno fatto e che stanno bene. Vorrei però sottolineare che non c’è una ricetta magica. Questi individui hanno intrapreso un percorso di consapevolezza e di auto determinazione. Hanno cambiato non solo le proprie abitudini ma anche attitudini e convinzioni.

Bisogna essere pronti e convinti per intraprendere un percorso del genere. Sono decine di anni che riceviamo messaggi che fanno del terrorismo sulla malattia e in particolar modo sul cancro. I medici sono i primi ad aver ricevuto un insegnamento che vede la malattia come un nemico sempre pronto a colpire, dal quale ci dobbiamo proteggere e che dobbiamo combattere senza tregua.

Riuscire a liberarsi da queste convinzioni e da questo punto di vista tanto spaventoso non è da tutti. Serve avere delle conoscenze, delle esperienze personali o famigliari che hanno favorito o rinforzato la fiducia nel corpo, nella sua capacità di auto-guarigione e nella Vita che scorre in noi. Nella mia esperienza, serve sostanzialmente essere ben connessi alla propria direzione interiore.

Accompagnati oppure soli

Qualunque sia la strada scelta, un percorso di guarigione è sempre un percorso personale. Nessuno lo può fare al posto nostro. Solo la persona coinvolta direttamente vive sulla propria pelle emozioni e sintomi. È sempre lei o lui che sentirà se quello che sta facendo è la strada giusta oppure no.

C’è però una differenza importante per chi sceglie una strada non convenzionale rispetto a quella convenzionale. Spesso non troverà il sostegno del sistema sanitario e forse nemmeno dei propri cari. Anzi: rischia di incontrare critiche, giudizio, rabbia, frustrazione, ansia, a volte violenza. Scegliere una strada diversa da quella convenzionale aumenta il senso di responsabilità verso se stessi e di solitudine, in un certo senso.

Un percorso di guarigione è sempre un percorso personale

Quando si cerca di convincere l’altro sulle cure da intraprendere

Prima di fare pressione sulle scelte terapeutiche di un’altra persona, è importante sapere che percorrere una strada che ci convince è una condizione che favorisce la nostra guarigione, indipendentemente dalla strada scelta. La fiducia, il senso di sicurezza e la libertà di scelta favoriscono drasticamente i processi di guarigione.

Nessuna persona, che sia un terapeuta convenzionale oppure no, può garantire al paziente la sua guarigione e nemmeno un miglioramento sicuro seguendo le terapie proposte.
Il risultato di un percorso di guarigione appartiene alla persona. È il risultato di un movimento interiore profondo, in parte inconscio, che può al massimo essere sostenuto da chi è esterno al processo.

Se la tentazione di obbligare la persona a fare quello che crediamo giusto è troppo grande, rendendo a volte un inferno la vita in comune, propongo di farsi qualche domanda. Cosa mi spinge a fare pressione? L’amore o la paura? Il rispetto o il disprezzo? La conoscenza o l’ansia? La fiducia o il terrore di avere rimpianti? Mi muovo in relazione a quello che c’è realmente o in relazione a quello che temo?

L’attrazione verso il protocollo

I protocolli di medicina convenzionale possono restituire un senso di sicurezza al paziente, ai suoi cari e al medico curante. In un momento di tempesta, avere una strada già tracciata (e percorsa da tanti altri) per i prossimi 3-6 mesi senza aver bisogno di riflettere, senza sforzarsi per sentire cosa è giusto, senza decisioni da prendere, relativizza l’eventuale senso di smarrimento.

Un percorso di guarigione personalizzato si fa un passo alla volta, osservando gli effetti di ogni passo e di ogni scelta, rispettando i tempi del corpo e pronti a continuare nella stessa direzione o adattare la propria rotta.

Seguire un percorso deciso da una squadra di curanti convenzionali sostenuta dal Sistema Sanitario Nazionale, toglie anche un po’ di senso di responsabilità. Sono altre persone esperte a decidere per me o per la persona cara. Nel togliersi un po’ di senso di responsabilità, ci tuteliamo da un eventuale futuro senso di colpa se le cose non dovessero finire bene.

Capisco, davvero, la difficoltà di accettare l’incertezza. Con i protocolli, la parte razionale che c’è in noi cerca di mettere l’essere umano e la Vita in caselle predefinite, per trovare sempre una soluzione efficace, definitiva e immediata. Purtroppo, o per fortuna, la Vita non è affatto cosi lineare!

Il percorso di cura, un momento di condivisione

Rinunciare a opprimere la persona malata per convincerla a fare quello che consideriamo giusto; accettare di fare un passo indietro per lasciarle spazio e rispettare le sue scelte è un gran dono d’amore incondizionato. È un segno di stima e di sana umiltà.

Al di fuori di ogni dogma, libero da pressioni esterne, ognuno può trovare la propria strada. Qualcuno si sentirà al sicuro e curato bene beneficiando esclusivamente dei protocolli della medicina convenzionale. Qualcun altro avrà la necessità di integrare le medicine complementari, mentre altri ancora decideranno di percorrere esclusivamente un percorso non convenzionale.

Qualunque sia la scelta, potrai sostenere il percorso di chi ami con la tua presenza amorevole, con empatia e rispetto e rendere la situazione delicata un momento di grande condivisione e crescita personale, per tutti.

Salute e malattia: mai combattere contro il tuo corpo

Salute e malattia: mai combattere contro il tuo corpo

Salute e malattia si escludono a vicenda? In realtà non necessariamente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stessa definisce la salute, nell’uomo, come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Salute non è quindi la semplice assenza di malattia o altre infermità.

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La salute è uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale

La salute è un obiettivo che tutti possiamo perseguire e raggiungere. A patto di modificare il nostro modo di concepire la malattia. Ogni sintomo, infatti, è un messaggio che il nostro corpo ci sta mandando. Ma prima di arrivare a comprendere questo messaggio è importante cambiare punto di vista su salute e malattia.

La salute è un obiettivo che tutti noi possiamo perseguire, anche chi è malato

Cambia punto di vista

Liberati dalle idee preconcette su cosa significhi essere malato e cosa invece essere sano. Anni di esperienza come medico mi hanno fatto capire che uno dei problemi che ci rendono più difficile guarire e percorrere la strada verso il benessere psico-fisico è il nostro atteggiamento nei confronti della malattia. Andrebbe rivisto alla radice.

È tempo di fare pace con la malattia e il corpo

La società occidentale è abituata a interpretare il ripristino della salute come un combattimento. Spesso sentiamo parlare di persone che lottano contro la malattia o che hanno vinto la guerra contro la malattia. I pazienti possono guarire grazie alle armi dei medici.

Si è creato un forte legame tra la realtà della guerra e la medicina convenzionale. Tutto l’immaginario e le parole che hanno a che fare con la guerra sono state “prese in prestito” e assorbite dagli operatori del sistema sanitario e dalla sua organizzazione. Sono i medici stessi che ci raccontano la malattia con gli occhi dei generali.

Invece sono convinta che non si possa favorire una salute rigogliosa su un campo di guerra. La pace è una strada più vitale e sicura per guarire e stare bene.

L’immaginario collettivo associa guerra e malattia

Prova a pensare alle modalità che molti di noi hanno interiorizzato per parlare di malattia e salute. Più specificamente, basta osservare quanto è successo e ancora sta succedendo rispetto alla pandemia da Covid-19.
La malattia è il nemico, che ha i suoi complici nei microbi, nell’inquinamento, nell’alimentazione sbagliata, nello stress eccetera. Le Forze Armate sono costituite da validi militari di vario ordine e grado come medici, infermieri, terapeuti e così via. L’artiglieria per debellare il nemico è varia. Si va dai farmaci ai raggi, passando per il bisturi.

La guerra è diventata parte del nostro immaginario collettivo legato a salute e malattia

L’industria bellica è costituita da case farmaceutiche e biomediche. C’è persino un Genio Militare, formato dai ricercatori che impegnano il loro tempo a studiare soluzioni per sconfiggere il nemico. E non mancano i disertori, medici e pazienti che si rifiutano di seguire i precetti bellici e “rinunciano” a combattere la guerra.

Sei sicuro che combattere sia la strategia giusta?

I costi di questa strategia bellica sono altissimi, in termini di tempo, di energia, di soldi, di qualità della vita. Si combatte giorno e notte per curare i feriti, uccidere il nemico o prevenire una nuova invasione. Oggi più che mai. Tutto il mondo è impegnato in questa guerra contro il nemico. Che si chiami Covid-19, cancro, diabete o con mille altri nomi diversi. Che sia un evento acuto o una patologia cronica. Il costo emotivo è enorme. Come in ogni guerra le emozioni predominanti di chi la vive sono paura, ansia, impotenza e insicurezza.

Le emozioni che proviamo in guerra sono paura, ansia, impotenza e insicurezza

Sono tantissime le vittime tra i civili. Il numero di pazienti morti o mutilati cresce sempre di più. Ma sono molte le vittime anche tra i soldati che combattono in prima linea. Il tasso di burn-out, che corrisponde a un estremo logoramento psicologico, cresce sempre di più nelle professioni sanitarie.

Di conseguenza ci sono poi dei costi sociali. Dilagano depressione e ansia, mentre diminuiscono la forza attiva delle persone e il benessere complessivo della società. Dal punto di vista economico, solo nel 2016, in Italia la spesa sanitaria è stata superiore a 149 miliardi di euro.

Il risultato è che viviamo una guerra senza fine nella quale i nemici (le malattie) sembrano riprodursi a vista d’occhio e diventare sempre più crudeli.

Un pensiero d’amore per le vittime e il personale sanitario

Ho il massimo rispetto per tutte le vittime morte sul campo di battaglia e mi dispiace molto per i loro cari. Non metto in dubbio che i professionisti sanitari abbiano combattuto e stiano combattendo al solo scopo di fare del bene.

Un ringraziamento sentito va a medici, infermieri e ricercatori che lavorano con cuore e serietà

Medici, infermieri, ricercatori e tutte le figure che operano nel campo sanitario con cuore e serietà fanno onore al genere umano. Li ringrazio quindi per il loro impegno e per essersi messi al servizio con l’intento di alleviare la sofferenza di chi non sta bene. So che credono fortemente nella propria visione di salute e malattia e nei protocolli che usano quotidianamente per combattere il nemico comune. Eppure…

Meglio disertori

Considero tutta l’esperienza accumulata nei secoli dalla medicina, con i suoi successi e i suoi errori, come un’inestimabile fonte di ricchezza. Credo però che sia venuto il momento di guardare in faccia l’ampiezza del danno creato dal paradigma di guerra, che monopolizza la nostra visione di salute e malattia.

Non voglio essere un soldato mandato a combattere contro un nemico finto e con armi inefficienti, per una guerra senza fine.
Non voglio più sprecare tanto tempo ed energia per proteggere, difendere, sopravvivere. E vorrei che non lo facessi neppure tu. Il nostro obiettivo deve essere quello di fare pace con il corpo in tutte le sue manifestazioni.

Non voglio essere un soldato mandato a combattere per una guerra senza fine

Cambiare vocabolario e strategia

Forti dell’esperienza fatta nei secoli da chi è venuto prima di noi, propongo di sperimentare un altro paradigma basato sulla pace. La via della pace non è una via senza dolore e neppure una strada per vivere eternamente. Ma nella mia esperienza è decisamente più vitale e benefica e comporta molta meno sofferenza.

Questa via la puoi costruire passo dopo passo partendo da te stesso. Inizia cambiando il tuo vocabolario e intervenendo sul tuo pensiero. Ad esempio smettendo di pensare alla malattia come a un nemico da combattere. Piuttosto concentrati sul fatto che ogni sintomo è un messaggio. Quando non stai bene, il tuo corpo ti sta dicendo qualcosa.

La via della pace non è una via senza dolore ma comporta molta meno sofferenza

Conosci te stesso e il tuo corpo

Se conosci te stesso e cerchi di comprendere il tuo corpo getterai delle solide basi per avvicinarti ogni giorno di più alla salute e allontanarti dalla malattia. Prendi confidenza con le tue emozioni, impara a esprimerle, lavora sulle relazioni interpersonali e dai la giusta priorità ai bisogni primari come il sonno, la respirazione, il rilassamento.

La via della pace porta a una visione integrata del significato della malattia, che va ben oltre la ricerca della sua causa. L’eliminazione diventa secondaria, ci si concentra sulla comprensione e sulla salute e la guarigione viene da sé. Puoi cogliere il senso profondo di ogni messaggio che proviene dal tuo corpo partendo dal chiederti perché ti sei ammalato. Magari c’è qualche nodo critico, un trauma non risolto che ti fa stare così. Questo accade, ad esempio, con il sovrappeso.

Molte patologie possono essere sconfitte o prevenute, semplicemente respirando e dormendo bene. Alcune problematiche si risolvono facendo pace con gli altri, con il passato e il proprio vissuto. La via della pace porta a riconciliarsi con sé e la Vita stessa. La pace libera tempo ed energia per crescere rigogliosi, cioè gioiosi, fiduciosi e veramente sani.