La svolta che libera, prendersi cura di sé e smettere di essere prigionieri del passato

La svolta che libera, prendersi cura di sé e smettere di essere prigionieri del passato

Sai che è possibile smettere di essere prigionieri del passato? Non possiamo cambiare ciò che è stato, ma possiamo modificare il modo in cui viviamo oggi e lo sguardo con il quale guardiamo (e giudichiamo) quello che ci è successo e ciò che siamo.

Scopri come riconoscere le tue ferite. Questo è il primo passo per liberarti dal senso di impotenza, che a volte risulta paralizzante, per diventare l’adulto affidabile capace di metterti finalmente al centro della tua vita.

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Quando non ci sentiamo bene, la strada più comune nel mondo della crescita personale è guardare indietro: esplorare le ferite infantili o genealogiche, cercare di capire cosa è mancato. È un passaggio utile, soprattutto quando ci sono traumi importanti che meritano di essere elaborati con strumenti profondi come la psicoterapia o le tecniche di deprogrammazione. Ma, troppo spesso, ci fermiamo lì: restiamo bloccati a osservare le carenze, a dare colpa ai nostri genitori, o a giustificarli, senza però trasformare davvero la nostra vita.

Riconoscere i traumi senza rimanere intrappolati

Qualunque cosa facciamo, i fatti non cambiano: se da bambini non abbiamo ricevuto sostegno, affetto o attenzione, questo resterà vero per sempre. Non possiamo farci nulla. Ciò che davvero condiziona la nostra vita adulta, però, non è il trauma in sé, bensì il potere che gli lasciamo esercitare su di noi oggi. Proprio qui avviene la svolta: possiamo riconoscere il passato senza rimanerne prigionieri. Possiamo trasformarci negli adulti affidabili che non abbiamo avuto e dare a noi stessi quello di cui abbiamo bisogno.

Accettare che “alla bambina che ero mancavano cure o rassicurazioni” non significa restare “a crogiolarsi” nella mancanza. Significa dire: “Oggi io, adulta, posso offrire a me stessa quello che non ho ricevuto”. È un cambio di prospettiva che libera in modo quasi immediato una grande energia e un potere personale che tantissimi non pensano di avere.

Il senso di colpa non trova più un posto quando comprendiamo il funzionamento del nostro corpo. Quello che ci danneggia davvero è la mancanza di accettazione e il senso di impotenza, molto più delle esperienze passate.

Non è il trauma a condizionarci ma il potere che gli lasciamo esercitare su di noi

Ascoltare i nostri bisogni fondamentali

Chi resta ancorato alle ferite del passato spesso diventa il primo a ignorare i propri bisogni e a disconoscere le proprie qualità. Se analizzando il tuo dialogo interiore quello che riscontri è una critica costante, disattenzione verso i tuoi bisogni più semplici e istintivi e mancanza di amore allora forse il tuo “nemico” principale sei proprio tu. Con bisogni semplici intendo davvero le piccole cose: come bere quando si ha sete o concedersi silenzio quando serve.

Sembrano elementi trascurabili perché poco importanti, invece è da questi gesti minimi che comincia la svolta. Il sentiero che ci porta verso una reale attenzione. Quante volte ti è successo di andare a urinare anche mezz’ora dopo aver sentito il bisogno, senza altra ragione che il fatto di non prendere in considerazione la necessità del corpo che non hai considerato come prioritaria?

Prendersi cura, un atto rivoluzionario

Prendersi cura del corpo è un atto rivoluzionario: non è un dettaglio, è il segnale che siamo pronti a riconoscere il nostro valore. Ricorda, come spesso racconto in queste pagine, che il corpo è competente: ogni sensazione è una guida. Imparare ad ascoltare il corpo significa recuperare fiducia e sicurezza interiore.

Per facilitare questo ascolto, ti suggerisco alcuni strumenti pratici come la tecnica del post‑it: quando un’emozione emerge e non puoi esprimerla subito, puoi annotarla, darle spazio e considerazione. Più tardi, magari attraverso una lettera simbolica che potrai bruciare grazie a un piccolo rito di chiusura, andrai a liberare ciò che è rimasto bloccato. Questo semplice gesto riattiva un dialogo con sé stessi. Si tratta di un modo semplice ma molto efficace per aprire una porta e mettersi in ascolto.

Il corpo è competente: ogni sensazione è una guida

Non più mancanze e vuoti ma responsabilità

Molte persone restano intrappolate in un meccanismo scatenato dal senso di colpa generazionale: “non sto bene perché mia madre era fredda” o perché “mio padre mi criticava sempre”. È vero che queste esperienze hanno lasciato un segno, ma oggi siamo adulti e possiamo smettere di subire.

Prendere atto di quanto abbiamo vissuto, non mi stancherò mai di sottolinearlo, non significa giustificare, né accusare. Significa scegliere la responsabilità: spostare l’energia dal “perché” al “cosa posso fare ora”. Questo cambio di direzione trasforma il passato in una base da cui ripartire. La porta della gabbia soffocante in cui eravamo soliti vivere si spalanca.

Dobbiamo spostare l’energia dal “perché mi è successo questo” al “cosa posso fare ora”

Scoprire ciò che ci nutre davvero

Per compiere il passo di cui stiamo parlando devi esercitare la tua curiosità. Prova a chiederti: cosa mi fa bene? Cosa mi toglie energia? Quali sono i miei valori, i miei limiti, i miei desideri autentici? È l’inizio di quel “conosci te stesso” che a mio parere rappresenta un vero pilastro di guarigione.

Mettersi al centro non è egoismo: è costruire una base sicura. Amare e rispettare te stesso attiva un radar per riconoscere atteggiamenti tossici e impostare limiti assertivi. Solo così puoi davvero cambiare la qualità della tua vita.

Mettersi al centro non è egoismo: è costruire una base sicura

I cinque linguaggi dell’amore… Verso se stessi

Un passaggio utile per capire come prenderci cura di noi stessi è chiederci cosa ci è mancato di più da bambini. Se, ad esempio, ci sono mancate le parole di incoraggiamento, possiamo iniziare a sviluppare ed esercitare una voce interiore che ci sostiene invece di giudicarci. Se ci è mancato il contatto fisico, possiamo scegliere di regalarci piccoli gesti di cura, come un massaggio o il semplice atto di stendere con attenzione una crema sul corpo. Se non abbiamo ricevuto regali, possiamo concederci attenzioni, anche minime (non c’è bisogno di spendere una fortuna!) ad esempio comprando un fiore o una pianta che amiamo.

E se nessuno ti ha mai regalato momenti speciali, puoi iniziare a crearli tu, da sola (o solo) o con chi ami, organizzando esperienze che nutrono i tuoi valori. Questo non è un esercizio di compensazione, ma un atto di presenza: impari a dire “ci sono per me, qui ed ora”.

Non è un esercizio di compensazione, ma un atto di presenza

Azioni quotidiane che cambiano tutto

Non servono gesti eroici per cambiare le cose. Spesso il cambiamento nasce dalle scelte più semplici: fermarsi a respirare, bere acqua, muoversi quando serve, creare silenzio, regalarsi qualcosa di bello. Ogni volta che ci ascoltiamo, costruiamo fiducia in noi stessi. Ogni volta che rispondiamo a un bisogno, rafforziamo un messaggio interiore potente: “io ci sono per me”.

Ogni volta che ci ascoltiamo, costruiamo fiducia in noi stessi

Questo è il contrario della vittimizzazione. È l’inizio dell’autonomia emotiva: smettiamo di dipendere dagli altri per sentirci al sicuro, perché diventiamo noi la fonte primaria della nostra sicurezza.

Il corpo come alleato

Il mio approccio, come puoi scoprire leggendo le pagine di questo blog, si fonda su un principio semplice: il corpo è competente. Ogni sintomo, ogni tensione, ogni emozione è una strategia per proteggerci o segnalarci qualcosa. Quando impariamo ad ascoltarlo e a rispettarlo, smettiamo di combatterci. E da questa alleanza tra corpo, mente ed emozioni nasce la vera svolta.

La trasformazione non è un evento improvviso, ma una serie di scelte quotidiane. Quando impariamo a riconoscere le nostre ferite senza rimanerne prigionieri, ad ascoltare i segnali del corpo e a trattarci come l’adulto affidabile che avremmo sempre voluto accanto, accade qualcosa di potente: cominciamo a prenderci cura di noi stessi con rispetto e determinazione.

La trasformazione non è un evento improvviso, ma una serie di scelte quotidiane

Così, passo dopo passo, smettiamo di sentirci vittime e diventiamo protagonisti. Perché se impariamo ad essere affidabili con noi stessi saremo al sicuro, sempre e saremo liberi del passato.

Risvegliare il desiderio, il primo passo per cambiare la propria vita

Risvegliare il desiderio, il primo passo per cambiare la propria vita

In un mondo attraversato da incertezze, conflitti e informazioni spesso allarmanti, è facile perdere il contatto con i propri sogni. Ancor più facile è smettere di desiderare. Che cosa accade dentro di noi quando non riusciamo più a immaginare un’alternativa? Quando il pensiero si chiude in una spirale di rassegnazione e la nostra energia sembra spenta?
In questo articolo esploriamo un tema importante per tutti, scoprendo insieme perché sognare è una funzione vitale e non un lusso, e come possiamo risvegliare la nostra capacità di desiderare. Anche quando questo sembra impossibile.

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Pensieri che creano futuri: una verità quantistica

Secondo Jean-Pierre Garnier-Malet, fisico francese autore della teoria dello “sdoppiamento del tempo”, ogni nostro pensiero genera un futuro potenziale. In altre parole: ciò che pensiamo oggi ha già un impatto, in anticipo, sulla realtà che vivremo domani.

Questo significa che se coltiviamo costantemente pensieri negativi (“tanto non cambia nulla”, “non c’è via d’uscita”, “non ho scelta”) non stiamo solo fotografando la nostra realtà attuale. Stiamo creando condizioni interiori che alimentano, e replicano, proprio ciò che vorremmo evitare.

Ecco perché è fondamentale imparare a dirigere consapevolmente l’energia del pensiero. Non si tratta di negare le difficoltà, ma di attivare o ri-attivare uno spazio creativo in cui la mente possa generare immagini, possibilità, desideri. Ogni volta che riusciamo a immaginare come vorremmo sentirci – anche se non sappiamo ancora “come” arrivarci – mettiamo in moto una vibrazione diversa, più leggera, più fertile.
Approfondisci leggendo “Sonno Ristoratore, il segreto della fase REM”.

Sognare è una pratica di libertà

Sognare, nell’accezione che esploriamo qui, non è un’attività infantile o futile. È un gesto interiore che ci libera. È un modo per uscire dalla “scatola” di una realtà troppo stretta e riconnettersi con una parte viva di noi: quella che ancora sa desiderare, immaginare, creare.

Purtroppo, molte persone vivono oggi in uno stato di disconnessione. Si sentono bloccate in situazioni frustranti (sul lavoro, nelle relazioni, nella propria quotidianità) e, peggio ancora, credono di non avere alternative. Non perché non esistano possibilità, ma perché non riescono nemmeno più a pensarle.

Quando ci abituiamo a non desiderare, qualcosa dentro si spegne. È come se fossimo sintonizzati su un canale radio che trasmette solo notizie deprimenti: guerra, degrado, sfiducia, catastrofi. Cambiare frequenza non vuol dire illudersi: significa permettere alla mente e al corpo di entrare in risonanza con altre informazioni, altre energie, altre vie.

Come ci si connette a questo nuovo canale? Il primo passo è semplicissimo: immaginare come vorremmo sentirci.

Quando ci abituiamo a non desiderare, qualcosa dentro si spegne

Dal cosa voglio al come mi voglio sentire

Uno dei grandi equivoci sul desiderio è che debba sempre avere un contenuto concreto. “Voglio una casa in campagna, un lavoro creativo, una relazione stabile”. A volte, però, quando abbiamo desiderato qualcosa e lo otteniamo, scopriamo che non ci basta, o non ci fa stare bene come credevamo.

Questo accade perché non abbiamo interrogato davvero il nostro sentire. Perché volevamo quella casa in campagna, per esempio? Forse perché pensavamo che ci avrebbe regalato silenzio, connessione con la natura, libertà. Ma se poi ci ritroviamo isolati, a disagio, disturbati dal gallo del vicino che canta alle cinque del mattino… Capiamo che quel desiderio non era radicato nella realtà. Si trattava di un’idea astratta.

Per questo, è molto più efficace chiedersi: come mi voglio sentire? Desidero sentirmi leggera, soddisfatta, piena di energia al risveglio? Desidero provare gioia, appagamento, pienezza? Se ci connettiamo a queste sensazioni, anche senza sapere esattamente quali situazioni le provocheranno, iniziamo subito a cambiare qualcosa.

Questa è una pratica che parte dal corpo. Non basta pensarlo. Serve chiudere gli occhi, respirare profondamente, immaginare di essere già in uno stato di appagamento. Cosa cambia nel respiro? Cosa succede nella pancia, nel torace, nel cuore? Questa connessione sensoriale è molto potente e va a completare un eventuale obiettivo scritto su un foglio.

Una questione di frequenze

Tutto ciò che esiste, secondo le attuali conoscenze della fisica quantistica, ha una sua vibrazione. E la nostra coscienza si sintonizza con ciò che vibra alla stessa frequenza.
Se siamo intrisi di sfiducia, disillusione, paura, tenderemo a vedere e attirare solo esperienze che confermano quella visione. Se al contrario iniziamo a vibrare su frequenze legate ad apertura, fiducia, desiderio… La realtà intorno a noi si trasformerà.

Una metafora utile a capire quanto sto dicendo è rappresentata dalla radio. Se ci sintonizziamo su un canale che trasmette solo cattive notizie, quello ascolteremo. Ciò non significa che gli altri canali non esistano. Dobbiamo solo scegliere a cosa prestare ascolto.

Sognare è, se guardiamo alla cosa sotto questo punto di vista, una forma di accordatura. Non importa se il sogno è “realistico” o no. Quello che conta è che ci permetta di entrare nella vibrazione giusta e che ci faccia sentire vivi.

Se ci sintonizziamo su un canale che trasmette solo cattive notizie, quello ascolteremo

Il metodo Disney: dare spazio alla fantasia prima della critica

Un esempio molto ispirante arriva direttamente dall’organizzazione creativa della squadra di Walt Disney. Per ideare un nuovo film, gli artisti passano attraverso tre stanze:

  1. La stanza dei sognatori, dove tutto è permesso, dove si immagina liberamente e senza limiti.
  2. La stanza dei realizzatori, dove ci si chiede: “Come possiamo rendere reale questa idea?”
  3. La stanza dei critici, dove si analizzano gli ostacoli e si rifinisce il progetto.

Il punto chiave di questo metodo è che la critica dovrebbe arrivare sempre dopo, mai prima. Invece, nella vita di tutti i giorni, quante volte facciamo il contrario? Ci viene un’idea e subito una voce interiore la stronca: “non serve a niente”, “non funzionerà”, “non è per me”.

Così, un piccolo germoglio non fa in tempo a crescere che lo abbiamo già reciso. Invece, dovremmo imparare ad accogliere con fiducia ogni ispirazione. Anche solo per il piacere di esplorare.

Non riesci a desiderare? Forse sei nel “supermercato” sbagliato

A volte ci sentiamo smarriti perché nulla ci attrae, nulla ci muove. Potrebbe non essere un problema nostro: forse quello che ci è proposto non è nutriente e non rappresenta una fonte di soddisfazione e piacere. Ci troviamo all’interno di un “supermercato” che non è adatto a noi.

Se tutto ciò che vediamo intorno a noi – lavori, relazioni, ambienti – non ci ispira, possiamo cambiare la direzione del nostro sguardo.

Dobbiamo domandarci “come mi voglio sentire?” e non “quale articolo di questo supermercato fa per noi?. Così facendo, ci possiamo sintonizzare sulla frequenza della gioia, sulla sensazione di una vita piena di senso, di condivisione, di opportunità (per esempio). In modo naturale, semplicemente cambiamo canale radio, usciremo dal “solito” supermercato. 

In questo modo saremo ispirati a fare delle cose che non abbiamo mai fatto, oppure faremo le stesse cose con un altro spirito. Incontreremo persone nuove o si sveleranno altri aspetti delle persone che conosciamo già. Scopriremo nuovi contesti, nuove opportunità e l’infinità delle possibilità che non aspetta altro che di essere esplorata.

Scopriremo nuovi contesti, nuove opportunità e l’infinità delle possibilità a nostra disposizione

Se continuiamo a guardare sempre le stesse cose, negli stessi ambienti, con lo stesso sguardo… Davvero è naturale che il desiderio non si attivi. Quando riusciamo a spostare l’attenzione su ciò che può nutrire il nostro io, anche solo grazie all’immaginazione, possiamo risvegliare inclinazioni utili.

Sognare è un atto di responsabilità verso la propria anima

Desiderare non è fuggire dalla realtà. È ascoltare ciò che in noi chiede spazio, espressione, cambiamento. È assumersi la responsabilità di non lasciare la propria vita in attesa, ma di iniziare, anche solo interiormente, un movimento.

Non tutto ciò che sogniamo si realizzerà, è vero. Ogni sogno, comunque, ci mette in contatto con la nostra energia vitale. Ogni desiderio ascoltato è un seme. E come ogni seme, ha bisogno di tempo, cura, fiducia.

Ogni sogno ci mette in contatto con la nostra energia vitale

Iniziamo oggi, anche solo per qualche minuto, a chiederci: come mi voglio sentire? E lasciamoci già invadere da tutte queste sensazioni con il supporto del corpo. Da lì, tutto può cominciare.

Dolori mestruali, cosa ci raccontano e come affrontarli

Dolori mestruali, cosa ci raccontano e come affrontarli

I dolori mestruali sono molto diffusi, anche tra le ragazze più giovani. Secondo una revisione scientifica pubblicata sul Journal of Pediatric & Adolescent Gynecology e realizzata da ricercatrici e ricercatori di University College di Londra e Università di Birmingham, il 64% delle ragazze tra i 10 e i 25 anni sperimenta dolori mestruali intensi, che spesso comportano la rinuncia a sport, relazioni sociali e giornate di scuola.

 

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Il punto di vista della medicina cinese

Se guardiamo alla medicina integrata, esistono approcci ai dolori mestruali anche molto diversi tra loro. Le discipline mediche che prendono in considerazione l’aspetto energetico della persona, per esempio, danno un contributo molto interessante su questo tema. Personalmente, ho studiato e applicato per anni la medicina cinese. Secondo questa disciplina, ogni sintomo è considerato come un eccesso oppure una carenza di energia, a causa di un blocco del flusso energetico che pervade il corpo. L’obiettivo terapeutico è quello di favorire un’energia di buona qualità e in buona quantità, che scorra libera nei meridiani affinché ogni organo, viscere e qualunque altro componente del corpo possa avere una vitalità ottimale. Per la medicina cinese, dunque, anche i dolori mestruali raccontano di una carenza o di un eccesso di energia da incanalare diversamente.

Studiando la medicina cinese si impara che esistono dei tragitti chiamati “vasi meravigliosi” oppure “vasi curiosi”, che hanno a che fare con tutto ciò che per noi occidentali è l’aspetto ormonale. Per ogni persona, si può fare una diagnosi energetica precisa e comprendere il riequilibrio da favorire con l’agopuntura, la digitopressione, l’alimentazione oppure le erbe cinesi, per esempio.

Il recupero dell’equilibrio (dinamico) energetico permette di ripristinare una vitalità generale che provoca la sparizione del sintomo, in questo caso i dolori mestruali. Spesso ciò accade anche per altri sintomi che la persona non aveva preso in considerazione all’inizio della cura.

Per la medicina cinese anche i dolori mestruali raccontano di una carenza o di un eccesso di energia

Attenzione al vissuto emotivo

In questo articolo ho scelto di concentrarmi sull’aspetto emotivo legato alle mestruazioni e ai dolori che molte donne sperimentano in alcune fasi del ciclo. Il mio intento è quello di condividere con te l’approccio della bioconsapevolezza ai dolori mestruali, perché se ne soffri mi fa piacere poterti essere d’aiuto.

Faccio prima una piccola premessa. In caso di dolori mestruali forti e ricorrenti la medicina convenzionale, di solito, propone di prendere degli antidolorifici oppure di “mettere le ovaie a riposo” attraverso le pillole contraccettive, che instaurano un ciclo indotto, artificiale. Questo perché i contraccettivi orali contengono ormoni estrogeni e progestinici che evitano, di fatto, l’ovulazione. I farmaci, però, non sono l’unica strada, vediamo perché.

Tipologie di dolore mestruale o dismenorrea

I dolori mestruali sono chiamati anche dismenorree e sono classificati dalla medicina convenzionale in dismenorree primarie e dismenorree secondarie. Quelle primarie sono le più frequenti e in questo gruppo rientrano tutti i casi in cui non si sono trovate spiegazioni mediche al dolore.

Le dismenorree secondarie, invece, raggruppano quei dolori mestruali imputati a una patologia, come l’endometriosi, le cisti ovariche o le varie patologie dell’utero. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia sono oltre 1,8 milioni le donne in età riproduttiva che convivono con l’endometriosi.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia sono oltre 1,8 milioni le donne in età riproduttiva che convivono con l’endometriosi

Apriamo una parentesi sull’endometriosi

L’endometriosi viene diagnosticata quando l’endometrio (il tessuto che normalmente è solo nell’utero e dal quale si sviluppa “il nido” per accogliere l’ovulo fecondato) viene trovato al di fuori dell’utero; quindi è presente sulle ovaie, sulle tube di Falloppio, sul peritoneo, nella cavità addominale e così via.
L’endometriosi è considerata responsabile di dolori mestruali intensi e di infertilità. Nella mia esperienza, ci sono diverse donne a cui è stata diagnosticata una endometriosi e che non hanno nessun dolore e hanno avuto uno o più figli senza nessuna difficoltà. Condivido questo dato di realtà perché incontro spesso donne disperate che temono di non avere figli dopo aver scoperto di avere l’endometriosi.

In questo articolo ti propongo un punto di vista e degli spunti di riflessione da esplorare di fronte ai dolori mestruali, senza distinguere tra dolori primari o secondari. L’approccio che ti propongo non ha bisogno di tenerne conto.

Bioconsapevolezza e dolori mestruali

Nella mia esperienza ho potuto osservare che, ogni volta in cui si manifesta un dolore fisico intenso, a monte c’è anche un dolore emotivo. Se si riesce a dare libero sfogo al dolore emotivo, il dolore fisico si ridimensiona drasticamente e a volte sparisce del tutto. Di fronte a ciò non posso che pormi una domanda: perché avere le mestruazioni per alcune donne è doloroso? A quali informazioni sono legate le mestruazioni?

In realtà possono essere diverse, ma io vorrei concentrarmi su due tipologie in particolare.

  • Primo: se ho le mestruazioni sono femmina
  • Secondo: se ho le mestruazioni non sono incinta.

Partono da qui le nostre riflessioni sui dolori mestruali.

Perché è doloroso essere donna?

Indagando il vissuto personale di una donna con dolori mestruali è bene cercare traumi subiti in virtù del fatto di essere femmina. Come sempre, questa indagine andrebbe fatta sia nel passato personale della donna che manifesta i dolori sia nel suo vissuto genealogico: il passato delle sue antenate. Parliamo di donne escluse, violentate, di donne che si sono sentite rifiutate perché i loro genitori desideravano un maschio e così via.
L’indagine è ampia e sono le emozioni provate dalla persona, che racconta il suo vissuto e quello della sua famiglia, ad indicarci dove c’è stress o dove ci sono ferite emotive non ancora del tutto elaborate.
Come terapeuta, di fronte a queste sofferenze, indago anche sulle convinzioni legate al fatto stesso di essere donna. Vado, ad esempio, a dare voce a una possibile svalutazione del genere femminile in famiglia. “Le donne sono deboli, piagnucolose, stupide, cattive, manipolatrici, dipendenti…” Tutte convinzioni che portano alla conclusione che essere donna non sia un regalo ma una punizione.

Parliamo di donne escluse, violentate, di donne che si sono sentite rifiutate

Attenzione al punto di vista

Talvolta si possono anche scoprire convinzioni negative sul fatto di essere donna esplorando le convinzioni positive sull’essere uomo. Questo perché gli uomini vengono percepiti come favoriti: “la vita per loro è più facile, sono più forti, si possono difendere meglio, sono pagati meglio” eccetera.
Ogni convinzione è un interessante punto di vista che è stato generalizzato ed elevato al rango di Verità, trasformando un semplice modo di vedere le cose in una profezia.
Quando come terapeuta esploro il vissuto della persona con dolori mestruali, scopro molto spesso che c’è una sensazione negativa (nella maggior parte dei casi inconscia) legata al fatto di essere femmina. Se tutto questo esce alla luce del sole diventa possibile intraprendere un percorso di riappacificazione con il mondo femminile, e la paziente può riconnettersi alla bellezza del fatto di essere donna.

Quando si desidera un bambino

Come anticipato, l’altra informazione che ci danno le menstruazioni è che la donna in questione non è incinta. La mancanza di una gravidanza può essere dolorosa. Nel caso di dolori mestruali in una giovane ragazza scelgo spesso di indagare nelle memorie parentali e genealogiche alla ricerca della paura di non rimanere incinta della madre o di una “ossessione” per la maternità. Una prima gravidanza arrivata dopo moltissimo tempo in una mamma o una nonna. Se ci mettiamo nei panni di una donna che desidera fortemente un figlio, ogni mestruazione restituisce un messaggio di fallimento. Il desiderio, per un altro mese ancora, non si è realizzato.

Nel caso di una prima gravidanza che non arriva, spesso lo stress è ancora più alto, perché nasce il dubbio che non si possa diventare madre. Il dubbio non riguarda solo la domanda: diventerò madre presto? Ma riguarda la possibilità di esserlo in questa vita in generale.

Quando indago in questa direzione con le mie pazienti, talvolta trovo memorie di un aborto, spontaneo o provocato, vissuto con tantissimo dolore emotivo. Ogni sanguinamento mestruale riporta all’avvenimento dell’aborto, richiamando la ferita emotiva non elaborata e tutto il dolore ancora da accogliere.

Nel caso di una prima gravidanza che non arriva, spesso lo stress è ancora più alto

Il valore della memoria personale e genealogica

Per completare il lavoro sul dolore mestruale possiamo indagare più in generale sulle memorie legate alle emorragie vissute in modo drammatico. Bisogna lavorare sul doppio binario del vissuto personale e di quello genealogico, con un’attenzione particolare alla madre. La mamma della giovane con dismenorrea ha vissuto un aborto provocato o spontaneo, precoce o tardivo che sia?

Quando una persona chiede il mio aiuto a causa di dolori mestruali, cerco anche di capire se ci sono state altre emorragie dell’utero, indipendentemente dallo stato di gravidanza, in una parente prossima. Se la madre o la nonna si è ammalata e ha rischiato la vita o magari è morta a causa (oppure in concomitanza) di un’emorragia uterina, per esempio, l’inconscio della paziente può aver associato il sanguinamento a un vero e proprio dramma.

L’inconscio della paziente può aver associato il sanguinamento a un vero e proprio dramma

Ancora una volta, di fronte a un sintomo, possiamo decidere di farlo tacere e basta, oppure di ascoltarlo e iniziare un viaggio interiore alla scoperta di sé. I sintomi possono rappresentare una preziosa opportunità da cogliere per stare meglio e conoscersi di più. Ma possono anche essere semplicemente ignorati con l’aiuto di un farmaco. Ogni scelta è lecita in nome della libertà individuale.

Sprigionare il proprio potenziale di riuscita, consigli per professionisti

Sprigionare il proprio potenziale di riuscita, consigli per professionisti

Sprigionare il proprio potenziale di riuscita è fondamentale anche per fare al meglio, e con soddisfazione, il proprio lavoro. Utilizzo di proposito la parola “riuscita” piuttosto che “successo”, perché questo termine racchiude un concetto importante: “uscire di nuovo”. Parole che, secondo me, significano anche una rinascita rispetto a se stessi, la possibilità di superare i propri limiti, fino a ieri sconosciuti. Il processo di riuscita è un movimento continuo, senza fine, di crescita nel rispetto di sé.

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Ogni persona, per esprimere appieno i propri talenti, dovrebbe sentirsi degna e legittima. Insegnando principi e strumenti ai professionisti della relazione di aiuto e del benessere, incontro spesso uomini e donne con anni di formazione alle spalle, che avrebbero tutta la legittimità di proporsi come esperti del settore. Eppure, alcuni di loro non osano farlo. Pensano che manchi sempre qualcosa: un altro corso di formazione, maggiore esperienza, il momento giusto e così via.
Si propongono, eventualmente, agli amici o ai familiari, ma guai a farsi pagare per l’impegno profuso, come se l’aiuto che sono in grado di offrire non avesse alcun valore.

È possibile superare questa impasse e arrivare a sprigionare il proprio potenziale di riuscita, con l’obiettivo di sentirsi degni e legittimati a ricevere il riconoscimento che si merita. Questo è anche uno dei temi che tratto nei miei seminari: se vuoi informazioni puoi contattarmi qui. Ora approfondiamo meglio l’argomento.

Il processo di riuscita è un movimento continuo, senza fine, di crescita nel rispetto di sé.

Porsi le domande giuste

Ai professionisti della relazione di aiuto e del benessere sottopongo una piccola indagine tramite queste domande, per capire come si pongono rispetto alle proprie competenze:

  • sei capace di raccogliere i frutti del tuo lavoro? Cioè risultati, efficacia, retribuzione, gratitudine, riconoscimento,…
  • sei capace di trasformare in benefici quello che ricevi? Parlo di insegnamenti ricevuti che dovrebbero arricchire la tua proposta e la tua prosperità, oppure di complimenti che possono nutrire il tuo senso di autostima. Ma anche di denaro, che ti dovrebbe permettere di vivere meglio.
  • quanti diplomi o attestati pensi di dover ancora appendere alla tua parete per sentirti legittimato e degno di ricevere tutto il riconoscimento che meriti?

Per capire meglio questo tema e andare alla radice di una scarsa legittimazione voglio condividere il punto di vista della Biokinesiologia.

I tre potenziali biologici pilastri

La Biokinesiologia ci insegna che esistono tre potenziali biologici pilastri. Integrità, dignità e legittimità. Scoprire se uno di questi potenziali è bloccato in noi è molto importante. Anche solo uno di questi potenziali, se bloccato, ostacola l’accesso ad altri potenziali e crea una situazione di grandi talenti inespressi. Diventa allora difficile nel caso, per esempio, dei professionisti, esprimere il proprio potenziale di riuscita, trarre il meglio dal proprio lavoro e sentirsi pienamente gratificati.

Primo pilastro: l’integrità

Percepirsi come non integri significa sentire che al proprio essere manca qualcosa, qualcosa che spesso non è definito. Può essere una qualità o una competenza. Ci si può anche sentire a pezzi oppure feriti. L’integrità può essere persa su piani differenti, ad esempio quello fisico, sociale, emotivo, sessuale, intellettuale eccetera.

Proviamo a pensare: un animale ferito nel fisico non può procacciarsi il cibo, non può spostarsi, affrontare pericoli o predatori e neppure riprodursi.

Solo chi ha fiducia nel fatto di poter ripristinare la propria integrità si espone e osa liberamente andare nel mondo per fare nuove esperienze. Puoi prenderti il rischio di essere ferito (a qualunque livello: fisico, emotivo e così via) se hai fiducia che potrai guarire dalla ferita. Quando invece questo potenziale è bloccato, rischiamo di essere dominati da un movimento subdolo che ci spinge a stare sotto una campana di vetro. Il fluire spontaneo della vita risulta così intralciato.

Ti riconosci in questa descrizione e vuoi approfondire l’argomento? Leggi qui.

Secondo pilastro: la dignità

Sentirsi degni permette di sentirsi meritevoli. Quello che molti ignorano, però è che, contrariamente a quello che ci è stato spesso insegnato, non serve “fare, fare e continuare a fare” per essere realmente degni e meritevoli. La dignità è uno stato naturale: non richiede impegni particolari.

Se anche tu non ti senti degno, e questa sensazione riguarda in particolare il tuo lavoro, ti invito a riflettere su una cosa. Non devi essere impeccabile o perfetto per essere degno. Prova a riconoscere la dignità di quello che sai fare e anche di quello che non sai fare, con i tuoi pregi e difetti. La dignità delle tue opinioni e di quello che provi. Nella mia esperienza è una base fondamentale per sprigionare il tuo potenziale di riuscita.

Se la dignità è ferita

Quando la dignità di una persona è stata ferita e il suo potenziale di ripristinarla è bloccato, c’è come un freno che impedisce di vivere a pieno la propria vita. Chi è ferito nella dignità non si espone, non si valorizza e pensa di valere poco, anche sul lavoro. Se non ti senti degno sicuramente fai moltissima fatica, anche per ottenere molto poco.

Spesso, in questi casi, il passato genealogico delle persone bloccate in una sensazione ricorrente di scarsa dignità ci racconta che un antenato si è sentito indegno o è stato riconosciuto pubblicamente come indegno. Diventa importante mettere tutto nel contesto dell’epoca. Quello che oggi non è un problema poteva essere drammatico allora.

Parliamo ad esempio di donne rimaste incinta senza essere sposate, ragazze madri, a volte addirittura bandite dalla famiglia. Possono pesare anche le memorie di persone che si sono suicidate a cui è stato negato un funerale in chiesa. O persone che hanno subito un fallimento economico e il cui livello sociale è crollato. Queste memorie spesso piene di vergogna non vanno taciute ma viste e accolte. Riconoscere la dignità dell’esperienza, onorare il destino di questi antenati, permette di trasformare il blocco e sprigionare il proprio potenziale di riuscita.

Terzo pilastro: la legittimità

La legittimità è legata al diritto di esistere, di avere un posto nel mondo, di essere ciò che si è senza se e senza ma. Se il senso di legittimità è intatto, ci si sente in diritto di ricevere il meglio senza dubbi o preoccupazioni sul proprio valore. La carenza di legittimità, d’altro canto, si può manifestare in vario modo. Ad esempio con la convinzione di non avere diritto a ciò che gli altri hanno ricevuto semplicemente venendo al mondo. Essere amati, mangiare la fetta di torta più grande e non le briciole, avere un lavoro appagante, ottenere riconoscimenti nello sport, a scuola, in famiglia.

Non è detto che una carenza di legittimità coinvolga tutti gli ambiti della vita. C’è chi si sente legittimato dal punto di vista affettivo ma non sul lavoro, per esempio.

La carenza di legittimità come di dignità possono essere palesi oppure si rivelano a volte in piccoli particolari e ambiti della vita.

Come capire se la carenza di legittimità ci riguarda? Se ti senti a disagio quando ricevi dei complimenti, il tuo potrebbe essere un caso di carenza di legittimità. Così come se ti trovi spesso a essere l’amante e non il compagno o la compagna ufficiale. O ancora se fai fatica a farti pagare quando esegui un lavoro.

Chi non si sente legittimo pensa di disturbare. Parliamo di persone discrete che non si permettono di sognare in grande. Anche in questo caso, spesso, il senso di legittimità è bloccato da uno o più eventi accaduti nel passato. Parliamo ad esempio di bambini non riconosciuti o di antenati che hanno fatto cose fuori legge, o ancora di amori nascosti. Nella maggior parte dei casi sono memorie inconsce.

L’importanza di portare a galla i ricordi

Per sprigionare il proprio potenziale di riuscita è fondamentale portare a galla i ricordi e accogliere quanto accaduto. Il fatto che gli eventi negativi del passato siano stati nascosti rivela un’alta tensione emotiva dei membri di una famiglia. Più il livello di accettazione delle persone coinvolte in quella storia genealogica è basso, più rischiamo che ci siano potenziali biologici bloccati.

La mancanza di accettazione è come un macigno che pesa sui discendenti, la maggior parte delle volte in modo inconscio. Quando un evento o una persona sono stati in modo o nell’altro esclusi, si crea una tensione. Qualcuno dei discendenti avrà il compito di reintegrare l’escluso. Si tratta di un fenomeno che gli esperti di costellazioni familiari chiamano “irretimento” e che va sciolto per sbloccare il potenziale di riuscita e benessere degli individui di quella famiglia. Come dicevo nell’introduzione, infatti, questi tre potenziali di integrità, dignità e legittimità devono essere liberi per aver accesso a tutti gli altri. E le memorie personali e genealogiche anche inconsce giocano un ruolo essenziale in questo processo.

Potenziali pilastri e lavoro

Come puoi ricevere tutti i frutti del tuo lavoro se non ti senti degno e legittimo?
Quando ci sentiamo a pezzi, quando pensiamo che in noi manchi qualcosa e il potenziale dell’integrità è bloccato, costruire un futuro migliore diventa molto faticoso. Come puoi sentirti sicuro e colmo di abbondanza se ti senti un secchio bucato?  Se sei un professionista ma non ti fidi di te stesso e non credi di essere legittimato nel tuo lavoro, difficilmente potrai attrarre l’attenzione e la stima di clienti e pazienti.

Lo stesso può valere nelle relazioni amorose o in tutti gli altri ambiti della vita. Ma torniamo al tema del lavoro, che è al centro di questo articolo. Se dentro di te ti senti un impostore non puoi ottenere il lavoro della tua vita e goderne. Non puoi esprimere appieno il tuo potenziale di riuscita.

Quando lavoro (da un punto di vista più biologico che psicologico), con una persona che soffre per il senso di inadeguatezza e il fatto di non sentirsi all’altezza, il mio primo obiettivo è quello di verificare che i tre potenziali biologici pilastri siano accessibili. Spesso non lo sono, come in molte persone che si vergognano di se stesse. Questa vergogna si manifesta in vari modi, come la timidezza oppure il perfezionismo. Se sono tranquilla e so di essere degna, amabile, stimabile come essere umano imperfetto, perché dovrei cercare la perfezione? Il risultato è spesso una carenza di riuscita e una scarsa soddisfazione. In tutti questi casi propongo di intraprendere un percorso per sbloccare i tre potenziali biologici pilastri e superare il senso di insicurezza e scarsità.

Una proposta per i professionisti

Come ho già sottolineato, un professionista per esprimere appieno il suo potenziale di riuscita deve sentirsi degno e legittimato. Sappiamo che le conoscenze sono sempre in movimento e in costante evoluzione, ma ogni professionista con esperienza dovrebbe avere in sé la convinzione di essere abbastanza nel qui e ora per realizzarsi all’interno della propria area di competenza.

Se invece non ti senti abbastanza e pensi sempre che ti manchi qualcosa per realizzarti dal punto di vista professionale, ti propongo di partecipare a un seminario intensivo di due giorni per liberare il tuo potenziale di riuscita, contattami.

Rispetto tra uomini e donne, favorire amore e consapevolezza

Rispetto tra uomini e donne, favorire amore e consapevolezza

Il rispetto tra uomini e donne è alla base di una relazione sana, di amore e sostegno. Le notizie di cronaca ci raccontano di uomini che operano ogni sorta di violenza sulle donne, le stesse donne che dicono di voler amare e proteggere. Una strada per fare pace tra uomini e donne è oggi, quindi, quanto mai fondamentale.

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Perché le relazioni di coppia, che idealmente dovrebbero essere relazioni d’amore, fondate sul sostegno reciproco e il rispetto, a volte sono invece relazioni tossiche dove non c’è alcun rispetto dell’altro e la violenza domina, manifesta o nascosta? In alcuni casi questo accade fin dall’inizio della relazione, in altri invece è qualcosa che succede nel tempo.

Come possiamo invertire la rotta?

Questo articolo vuole mettere qualche granello di sabbia nei troppo ben oliati meccanismi della violenza tra partner. Creando qualche attrito, vorrei favorire la trasformazione verso una realtà di maggiore rispetto tra uomini e donne.

Rispetto tra uomini e donne, non è questione di genere

Per semplificare, in questo articolo parlerò della violenza degli uomini sulle donne, ma è importante riconoscere che esiste anche la violenza delle donne sugli uomini, benché se ne parli molto poco.

Ciò accade per una ragione piuttosto semplice. Quando una donna viene picchiata da un uomo o subisce una violenza di qualunque genere, di solito suscita negli altri compassione, indignazione, empatia e desiderio di protezione.

Quando si parla di violenza sugli uomini da parte di donne, le reazioni immediate e le emozioni che emergono sono molto diverse: stupore, incredulità, giudizio, stigmatizzazione o persino ilarità. Ciò rende il vissuto degli uomini che subiscono queste violenze ancora più doloroso. La vergogna, spesso, impedisce agli uomini di chiedere aiuto e addirittura di testimoniare il vero di fronte alla giuria o ai propri cari. Soprattutto quando l’uomo è fisicamente più grande e più forte della partner.

Esiste anche la violenza delle donne sugli uomini, benché se ne parli molto poco

Il danno della violenza

Quando manca il rispetto e viene perpetrata una violenza c’è sempre un danno, è un dato di fatto da non sottovalutare. Viene automatico, in caso violenza, cercare il responsabile del danno. Quando viene identificato, ognuno reagisce a modo suo. C’è chi giudica, chi odia, chi condanna, chi insulta perché “non è possibile comportarsi così”. Dall’altra parte c’è anche chi giustifica, perché magari si tratta di una persona che sì, è violenta, ma ha subito abusi durante l’infanzia o ha una partner che non si comporta come vorrebbe la società, o ancora il violento è una persona fortemente stressata.

Quello che non dobbiamo perdere di vista è che, indipendentemente da come viene considerato il colpevole (indegno o vittima a sua volta), il danno è fatto. La violenza c’è stata, non viene cancellata dalle critiche o dalle giustificazioni.

Si spendono tante energie per stigmatizzare l’autore della violenza o per difenderlo, dimenticando di occuparsi del danno e di cosa si possa fare per migliorare la condizione della vittima e del colpevole. Perché si può stare meglio anche quando il danno c’è o c’è stato. Bisogna però lavorarci su. Serve impegno e motivazione.

La giustificazione di chi perpetra violenza

La vittima che rimane all’interno di una coppia violenta ha la tendenza a giustificare le azioni del suo “carnefice”. Spesso crede di poter cambiare il suo uomo, dandogli quell’amore che potrebbe non aver ricevuto durante l’infanzia. In questa missione impossibile la donna sacrifica il proprio benessere, talvolta arrivando a perdere la vita.

Indipendentemente dalle ragioni alla base della violenza, anche se pensi che il tuo partner sia a sua volta una vittima, sappi che farcela da sola, in queste circostanze, è difficilissimo: chiedi aiuto. Esiste una rete nazionale anti violenza a sostegno delle donne. Chiama il numero verde 1522 oppure informati sul sito www.telefonorosa.it/. Troverai professionisti preparati per darti tutto il supporto che ti serve, senza giudizio.

Se sei vittima di violenza chiedi un aiuto qualificato

Cosa possiamo cambiare?

Per riportare il rispetto tra uomini e donne e favorire la pace tra i generi sono tante le azioni che possiamo scegliere di compiere. Il passato non può essere cambiato ma il presente sì. Cosa si può fare per trasformare una situazione infelice e potenzialmente drammatica in un’opportunità per accrescere il proprio benessere?

Ritengo che sia necessario precisare chi è responsabile di cosa. Perché farlo significa sapere cosa abbiamo il potere di cambiare e cosa no. Ci aiuta ad evitare di spendere tempo ed energie inutilmente, in direzioni dove non possiamo intervenire. L’affermazione che sto per fare è molto potente e non tutti sono pronti ad accoglierla: devi ricordare che ogni emozione vissuta è responsabilità di chi la vive, non degli altri. Al contrario, ogni azione è responsabilità di chi la compie.

Le responsabilità in una relazione

Caliamo questo discorso all’interno della violenza tra partner e della mancanza di rispetto tra uomini e donne. La reazione aggressiva appartiene alla persona che urla o picchia. Non è colpa o responsabilità della persona che la subisce. Il modo di vivere una determinata situazione, però, appartiene a noi.

L’altro non è responsabile della mia rabbia, della mia depressione, della paura. Infatti persone diverse reagiscono in modi differenti a una stessa situazione.
La qualità della relazione che vivo con un’altra persona è per il 50 % sotto la mia responsabilità.

Ho il potere di rimanere in una relazione o di interromperla. Intendiamoci: so bene che a volte è molto difficile utilizzare questo potere. La paura può dominare e bloccare le nostre azioni, impedendoci di uscire da una situazione tossica.

Ognuno ha il potere di rimanere in una relazione o di interromperla

Quando si resta in una relazione tossica

Di fatto, le vittime di una relazione tossica, dove non c’è rispetto tra uomini e donne, stanno in qualche modo prestando il loro consenso alla violenza. So che questa affermazione provocherà in molti una grande indignazione, chiedo però a te che mi stai leggendo di continuare a farlo, per comprendere bene il mio discorso. Se guardiamo alla relazione tossica da un punto di vista puramente biologico, per sopportare una tale situazione è necessaria una diminuzione del senso di disgusto emotivo (per scoprire di più sull’emozione primaria del disgusto ti consiglio questo video).

Questa diminuzione della sensibilità al disgusto parla di un passato in cui la persona ha vissuto in un ambiente con poco nutrimento emotivo positivo. C’è stata, quindi una carenza di amore. Un animale che mangia qualcosa di tossico è un animale in una situazione di scarsità di nutrimento, tale da rischiare di morire di fame. Mangiare qualcosa di tossico è il tentativo di riuscire a trovare qualche briciola di nutrimento per sopravvivere.

Di conseguenza, per favorire il processo di guarigione, a queste persone suggerisco di lavorare sulla propria autostima e sul proprio valore. L’intento è quello di riconnettersi all’abbondanza di amore, rispetto, considerazione che si hanno a disposizione e al fatto che si hanno il diritto e la dignità atte a ricevere tutto ciò.

Il passato ci viene in aiuto

Quando rivisitiamo la nostra vita passata e il vissuto dei nostri antenati, possiamo individuare la ripetizione di schemi nocivi che coinvolgono violenze, suicidi, mancanza di rispetto, povertà, svalutazione e così via. Questo può far pensare di essere quasi condannati a vivere situazioni sempre simili, ripetendo lo stesso schema all’infinito.

Per uscire da situazioni tossiche di questo o altro genere e riconquistare la libertà di esprimere tutto il tuo potenziale di gioia e serenità, hai bisogno prima di tutto di riconoscere questi schemi. Per questo voglio guidarti in due processi. Puoi iniziare da sola, ti invito però a farti aiutare da un buon terapeuta affinché tu ne possa trarre il massimo beneficio.

Riconoscere uno schema ricorrente è il primo passo

Un atto inconscio di fedeltà

Guarda al vissuto degli antenati costruendo il tuo albero genealogico. Potresti rintracciare un filo rosso di violenza che si perpetua di generazione in generazione. Subire violenza oggi, nella tua vita, può essere un atto di fedeltà inconscio verso le donne della tua famiglia (tua madre, le nonne). Si tratta di un atto d’amore. Qualcosa che può accadere in diverse situazioni e vissuti traumatici, come suicidi, fallimenti, malattie o povertà.

Come fare per uscire da uno schema che si ripete

Riconoscere che questa ripetizione è un atto d’amore inconscio è il primo passo. Un atto per sentire che appartieni a quel clan, un modo per onorarlo. Per trasformare la situazione puoi connetterti a un amore più grande. Appartieni a questo clan ed è grazie ai tuoi antenati che sei viva oggi. Ti hanno trasmesso la vita. Ti propongo allora di onorare il destino dei tuoi antenati. Uomini e donne. Vittime e carnefici. Ognuno ha fatto il meglio che poteva con le conoscenze, il livello di consapevolezza, le risorse che aveva e all’epoca in cui viveva. Queste esperienze fatte (inclusi i danni inflitti e subiti) vanno ad arricchire il bagaglio emotivo e sperimentale del clan. Tu porti in te le memorie di questi vissuti e puoi farne qualcosa di buono. Oggi puoi scegliere con amore e rispetto di contribuire alla ricchezza di queste esperienze e di sperimentare altro.

Facendo un altro tipo di esperienza rispetto alle donne del tuo clan, non sarai né migliore, né peggiore: darai semplicemente il tuo contributo. Avrai successi e fallimenti anche tu. Agisci per rispettarti e ripristinare il tuo valore di donna, in nome di tutti i tuoi antenati.

Propongo di onorare il destino degli antenati

Ripercorrere il vissuto personale

Un altro processo che puoi mettere in atto riguarda invece il tuo vissuto personale. Descrivi nel dettaglio i fatti di una situazione dannosa che hai vissuto recentemente. Ad esempio: il mio partner è arrivato a casa, stavo stirando, mi ha detto qualcosa, io non ho capito, allora ha iniziato a urlare e tirarmi addosso i piatti. Questa parte dell’esercizio è come una cronaca, una descrizione oggettiva dei fatti priva del racconto delle emozioni.

Il secondo passaggio prevede di descrivere come ti sei sentita in ogni momento: impaurita, colpevole, arrabbiata, in allerta, disprezzata e così via.

Poi fai mente locale e vai a recuperare altri eventi nella tua vita passata, dalla tua nascita ad oggi, in cui ti sei sentita nello stesso modo e hai vissuto emozioni simili. Eventi che possono riguardare uomini e donne, il padre, la madre, altri familiari, insegnanti eccetera. Fai un elenco il più completo possibile. Lasciati guidare dalla similarità con ciò che hai sentito.

Infine, descrivi cosa produce oggi nella tua vita questo modo ricorrente di sentirti. Per esempio: nel passato in tutte queste situazioni mi sono sentita giudicata, sbagliata, non abbastanza per essere amata, una delusione, una creatura ingombrante. Oggi, mi capita di sentirmi subito in colpa, ho sempre l’impressione di sbagliare, se qualcuno è nervoso mi chiedo sempre cosa ho fatto di male.

Perché questo esercizio?

Quando ci accorgiamo che quello che stiamo vivendo è l’ennesima opportunità di rivivere quello che abbiamo attraversato già tante volte, possiamo riconoscere uno schema che ci appartiene. Se questo schema ci appartiene la persona con cui stiamo vivendo il conflitto non è più così prioritaria… Non possiamo cambiare l’altro ma possiamo accogliere il nostro vissuto e questa ripetizione di emozioni/sensazioni che continuano a risuonare in noi. Questo processo può essere fatto da chiunque e in qualunque situazione difficile: permette di conoscere meglio noi stessi.

Dopo aver acquisito consapevolezza su questa cosa, la proposta che ti faccio è questa: oggi sei adulta e puoi accogliere le emozioni della bambina che sei stata. Ad esempio scrivendo una lettera simbolica in cui lasci che la te bambina esprima tutte le sue emozioni, la rabbia, l’impotenza, l’amore non ricambiato, il dolore.

Il passaggio successivo è diventare l’adulta affidabile che può dare a quella bambina ciò che non ha avuto. Parlo di attenzioni, rassicurazioni, protezione, aiuto, stima, amore, il potere di chiedere aiuto eccetera. Assumerai una nuova posizione nei confronti di te stessa che influenzerà le tue azioni, le quali hanno il potere di cambiare la tua realtà.

Se vuoi approfondire il tema delle relazioni di coppia, ti consiglio due articoli che ho scritto:

Dipendenza affettiva nella coppia: cosa puoi fare per evitarla

Dire no, quando fa bene alla coppia e perché

 

Recuperare leggerezza e vitalità partendo da se stessi

Recuperare leggerezza e vitalità partendo da se stessi

Recuperare leggerezza e vitalità in tempi relativamente brevi è possibile, entrando in contatto con quella corrente vitale che scorre dentro di noi. Ci sono tutta una serie di azioni, reazioni ed emozioni che nascono in noi e ci attraversano senza bisogno di alcun intervento della nostra mente. Respiriamo, ci muoviamo, digeriamo, ci emozioniamo anche senza bisogno di scegliere o controllare quanto facciamo.

L’educazione, i traumi che possono subentrare e le emozioni bloccate che spesso ne conseguono, però, di solito allontanano da questo potente movimento interiore, naturale e spontaneo. Scopri con me cosa puoi fare, giorno dopo giorno, per recuperare leggerezza e vitalità partendo proprio da chi sei.

 

SE PREFERISCI, ASCOLTA LA VERSIONE AUDIO DELL’ARTICOLO

 

Paure e ferite, consce e inconsce

La paura di essere sbagliati e dunque non amati ed esclusi dagli affetti, dalla famiglia, dalla società, spesso può diventare più forte della corrente vitale. In modo più o meno consapevole ci si creano dei limiti, delle regole di “savoir vivre” basate su ciò che è bene oppure male, giusto o sbagliato, spesso con riferimenti assolutistici. Qualcosa va bene del tutto o per niente, un’azione è bianca oppure è nera. Facciamo questo, anche se spesso non ce ne accorgiamo, per difenderci e per evitare di provare dolore. Questo comportamento, però, spesso ci condanna a un malessere certo (poiché ci allontaniamo da ciò che davvero siamo e sentiamo) per la paura di un dolore incerto (il rifiuto, ipotetico, degli altri).

Se questo è accaduto anche a te, molto probabilmente ora fai fatica a vivere spontaneamente le emozioni e non sai riconoscere il tuo potenziale né sai come esprimerlo a pieno.

Come un bonsai

La tua situazione, comune a molte altre persone, mi ricorda quella di un bonsai. Sei nato con il potenziale per diventare una gigantesca quercia secolare. Potatura dopo potatura, sotto l’influenza di controlli e cure quotidiane, al prezzo salato di un costante indottrinamento e di un grande autocontrollo, con il tuo consenso più o meno conscio, ti è stata cucita addosso un’identità adatta alla società. Il tutto per non disturbare troppo gli altri e forse anche per non attirare troppo l’attenzione.

Questo processo di trasformazione che piega il potenziale spontaneo delle persone e lo plasma in opere idonee alla società, per rispondere al bisogno di controllare e domare la natura selvaggia, richiede una mole di energia enorme. Questo perché è difficile e faticoso contrastare la potenza della vita rigogliosa che scorre dentro ciascuno di noi, e spinge per crescere ed espandersi.

In questo articolo il mio obiettivo è quello di suggerirti una via all’insegna della spontaneità, della naturalezza e dell’autenticità. Perché se ti lasci andare, se rinunci all’autocontrollo e accetti di osservare con curiosità il disvelarsi del tuo potenziale, potrai recuperare leggerezza e vitalità e smetterai di sprecare tanta energia.

Anche tu ti sei piegato per non disturbare troppo gli altri? Forse la società ti ha cucito addosso un’identità che non è la tua

Strumenti per recuperare leggerezza e vitalità sulla strada della spontaneità

Di seguito voglio darti alcuni consigli, o forse si tratta piuttosto di strumenti e percorsi, utili a recuperare la leggerezza, il senso vitale e con essi anche la gioia.

  1. Riconosci la tua dignità: sei unica e preziosa, o unico e prezioso. Nessuno nei secoli passati e nessuno nei tempi a venire potrà essere del tutto uguale a te. Quello che sei è importante ma anche quello che non sei ha un perché. Le tue qualità e i tuoi difetti contano. Le tue capacità e le tue incapacità ti definiscono in modo positivo. Sei un mix unico e irripetibile.
  2. Dai legittimità ai tuoi limiti e valore ai tuoi talenti. Un pesce è un pesce, non ha bisogno di camminare fuori dall’acqua o di imparare ad arrampicarsi sugli alberi per vivere le sue esperienze. Sarebbe per lui totalmente inutile e se avesse un talento del genere potrebbe persino smarrire la sua strada.
  3. Ascoltati e mettiti nelle condizioni di percepire cosa accade in te. Essere in contatto con quello che sentiamo ci permette di capire quando una situazione è tossica per noi, cioè consuma la nostra energia inutilmente e mette il nostro organismo in uno stato di allerta. Al contrario, possiamo anche percepire se una situazione è benefica e nutriente, portatrice di maggiore energia e gioia.
  4. Interrogati sui tuoi valori, perché conoscerli è fondamentale. Cosa ti fa sentire bene? Cosa, invece, ti fa stare male? Cos’è intollerabile per te? Chiediti quali attività/persone/luoghi ti danno gioia ed energia e quali invece ti sottraggono energia. Se ti va, metti queste impressioni per iscritto, così da poterle rileggere ogni volta che ne hai bisogno e ricordare i tuoi valori fondanti.

Fare un lavoro in profondità

Oltre agli strumenti e ai consigli del paragrafo precedente, ti suggerisco di predisporti all’ascolto e intraprendere un percorso più approfondito nel tuo io. “Lavora” per conoscere le tue sovrastrutture e per smascherare quelle convinzioni che sono tue ma che non rispettano la tua personalità profonda (il tuo essere). Quali sono le cose che appartengono alla tua educazione e alla tua cultura ma che senti creare un attrito interiore? Se le percepisci come incoerenti e stonano con il tuo essere profondo lasciale andare: il tuo punto di vista unico serve ad arricchire il mondo. Fidati!

Impegnati per riconoscere le tue sovrastrutture

Riconnettersi alla propria voce interiore

Quando riusciamo a zittire la mente, a metterla in pausa, possiamo sentire la nostra voce interiore: per quanto piccola è un’ottima alleata, perché ci spinge con gentilezza e perseveranza verso una direzione che è realmente adatta alla nostra anima.

Ci vuole il coraggio di compiere un importante atto di fiducia, perché spesso la voce interiore ci guida su strade non ancora battute. Ti consiglio di esplorare e sperimentare nuovi modi di essere e fare quello che ti viene spontaneo, starai meglio.

Accogliere le emozioni e abbandonare i “dovrei”

Trattenere le emozioni richiede tantissima energia che non può più essere utilizzata per altro. Quando ci sforziamo a non esprimere le nostre emozioni entriamo in uno stato di frustrazione e stress cronico che progressivamente logora sempre di più. Le emozioni, invece, possono essere liberate per favorire il benessere: se vuoi saperne di più ti suggerisco questo approfondimento “come esprimere le emozioni per mantenersi in salute”.

Oltre a lasciar fluire le emozioni dai a te stessa, o a te stesso, la possibilità di mettere da parte tutti i vari “dovrei fare” e “dovrei essere”. Dimentica le ingiunzioni che vengono dall’esterno ma che col tempo hai interiorizzato. Ci sono una serie di azioni che compiamo in modo automatico senza neppure chiederci cosa sentiamo e cosa desideriamo realmente. Riconoscere quando la testa “parte per la tangente”, senza prendere in considerazione cosa comunica il corpo, può essere di grande aiuto per uscire in tempo da un circolo vizioso.

Dimentica le ingiunzioni che vengono dall’esterno ma che col tempo hai interiorizzato

L’esempio del melo

Spesso viviamo con la paura che, se non ci sottoporremo all’obbligo di agire, non faremo mai nulla di buono nella vita: non ci realizzeremo, non porteremo a termine la nostra missione, saremo creature inutili e così via.
Personalmente, quando sono affaticata e ho bisogno di ridimensionare la pressione dovuta all’imperativo di agire, ricordo a me stessa l’esempio del melo.

Il melo non si alza la mattina con l’obiettivo di fare delle mele. Il melo è semplicemente se stesso. Lascia scorrere la vita che gli è propria e che dipende solo da quello che già è, né più né meno. In questo flusso produce gemme, foglie, fiori, frutti… Esprime semplicemente la propria natura, che ci siano animali, umani o qualunque altro essere vivente nei dintorni ad apprezzare o meno le mele.
Non serve che conosca intellettualmente se stesso, non serve che si impegni e faccia fatica, non serve che corrisponda alle aspettative degli altri.
Ciò che secondo me è di grande esempio nella vita del melo, soprattutto, è che mai cercherebbe di produrre ciliegie o albicocche. Anche se qualcuno dovesse dirgli che le mele non sono l’ideale e che invece le ciliegie o le albicocche sono maggiormente amate e apprezzate.

Per recuperare leggerezza e vitalità ispiriamoci al melo e diamoci la possibilità di essere semplicemente e meravigliosamente noi stessi.