Quando perdi potere personale, le cause nascoste

Quando perdi potere personale, le cause nascoste

Perché a volte ci sentiamo svuotati, privi di forza, vittime delle circostanze, come se avessimo perso il nostro potere personale? Sto parlando di quella forza interiore che tutti noi abbiamo, e che ci permette, quando siamo connessi, di avere potere sulla nostra vita, cioè di orientarla nella direzione che desideriamo, di assumerci la responsabilità delle nostre scelte e realizzare il nostro potenziale “surfando sulle onde” delle circostanze esterne.

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In questo intervento vorrei condividere con te alcuni meccanismi che ho osservato e che portano a questa specifica perdita di potere personale.
Come mai questo potere, che ciascuno di noi ha, sembra essere svanito?
Spesso, quando ciò accade, una parte considerevole della nostra energia è impegnata a combattere ciò che non vogliamo vedere di noi stessi: gli aspetti della nostra personalità che potremmo definire “ombrosi”, le emozioni che giudichiamo pericolose, le reazioni che ci fanno paura. Cerchiamo di reprimere queste sensazioni, nascondere ciò che sentiamo, schiacciare dentro di noi tutto ciò che consideriamo sbagliato. Lo facciamo per poterci sentire più “buoni”, più amabili, più accettabili.

Quando perdiamo potere personale, una parte considerevole della nostra energia è impegnata a combattere ciò che non vogliamo vedere di noi stessi

In realtà, questa guerra interiore ci indebolisce. Ogni volta che escludiamo un aspetto di noi, è come se ci amputassimo. Ogni volta che lottiamo contro ciò che non vogliamo essere, perdiamo libertà di essere quello che siamo e di conseguenza sperperiamo tanta energia. Come capire se stiamo mettendo in atto questo lavorio potente, ma spesso inconscio? È abbastanza semplice. Basta osservare le nostre intolleranze. Di solito, infatti, proiettiamo fuori di noi ciò che non riusciamo ad accogliere, condannando drasticamente negli altri quello che non tolleriamo in noi stessi.

Il pensiero “tutto o niente”: un’eredità infantile

Viviamo spesso nella convinzione che il mondo sia diviso in due: il bene e il male, i giusti e i colpevoli, i buoni e i cattivi. Questa mancanza di sfumature è una modalità molto infantile di percepire la realtà.
Nei primi mesi di vita non possediamo la capacità di discernere. Quando siamo piccoli, tutto è assoluto: quando la mamma è presente, c’è vita; quando scompare, anche solo per un istante, percepiamo un senso di morte. Non esistono “piccoli disagi”: tutto è o felicità o angoscia.

Questo schema si imprime in noi e tende a ripresentarsi, anche da adulti, ogni volta che reagiamo in modo estremo. Prova a pensarci. Quando giudichi in modo perentorio, senza sfumature, una persona, una situazione o addirittura un popolo intero non è la parte matura di te che parla. Si scatena in te quel neonato o quella neonata essenzialmente comandato dal cervello arcaico, responsabile della sopravvivenza. L’altro, quello che è fuori da te, torna di colpo a essere, senza mezze misure, una preda che porta nutrimento e vita oppure un predatore che porta tossicità e morte. Si perde ogni discernimento e capacità di cogliere le sfumature.

Quando giudichi in modo perentorio non è la parte matura di te che parla

Il contesto in cui viviamo non aiuta

C’è da dire che il modo di comunicare dei mass media non aiuta affatto. Quando ci vengono raccontate le guerre in corso, per esempio, ci vengono presentati, con immagini orribili a supporto, i carnefici e le vittime. Facendo generalizzazioni su intere nazioni e continenti. E così si impone il bisogno assoluto di scegliere il proprio campo. Quello dei “buoni” o quello dei “cattivi”.
L’abbiamo osservato anche al momento “del periodo Covid” con i “pro-vax” e i “no-vax”, quelli “responsabili, empatici e solidali” e quelli “egoisti, irresponsabili, ignoranti”. Ciascuno abbinava le varie caratteristiche citate all’una o l’altra categoria a seconda del proprio punto di vista. Migliaia di persone meravigliosamente diverse fra di loro, con vissuti differenti e mondi interiori ricchissimi, ridotte a due sole categorie, senza sì e senza ma. Ci siamo dimenticati la complessità e la varietà delle situazioni, le conoscenze delle scienze fondamentali, l’importanza delle valutazioni professionali mediche caso per caso… che integrano la clinica, i fattori di rischio, il rapporto rischi/benefici e così via.

Perché perdi potere personale, dalla proiezione al riconoscimento

Quando giudichi pesantemente qualcuno, fermati un attimo e chiediti: cosa sto giudicando davvero?
Giudichi la sua arroganza, la sua disonestà, il fatto che è poco affidabile o manca di empatia? O forse, invece, giudichi la sua libertà, la sua disinvoltura, la sua superficialità?

Ogni volta che qualcosa o qualcuno “mi urta terribilmente”, è probabile che stia toccando delle corde profonde, che hanno a che fare con parti di me che ho imparato a reprimere, perché a livello culturale, morale o affettivo le ho percepite come pericolose. Facciamo qualche esempio. Se da bambina ho capito che essere arrabbiata, egoista o ribelle portava al rifiuto da parte dei miei cari, avrò imparato a nascondere queste parti di me. Ciò che neghiamo dentro di noi, però, non scompare: semplicemente si esprime al di fuori. E quando ci dobbiamo confrontare con questi aspetti, si scatena in noi una guerra che dichiariamo al mondo esterno: lo facciamo per evitare di dichiarala a noi stessi.

Ciò che neghiamo dentro di noi non scompare: semplicemente si esprime al di fuori

Un esercizio per smascherare la proiezione

Lo scrittore e filosofo Igor Sibaldi propone un esercizio interessante: quello di pensare a due figure pubbliche, una che ammiriamo profondamente e una che, al contrario, detestiamo.
Se, per esempio, ammiri Alex Zanardi, puoi chiederti: perché lo ammiro? Forse per la sua forza, la sua resilienza, il suo amore per la vita.
Se invece c’è una figura politica che ti provoca forte irritazione, puoi chiederti: cosa mi urta davvero di questa persona? La corruzione, la prepotenza, la mancanza di coerenza, la disonestà?

In realtà, se analizzi con distacco questi esempi, potrai riconoscere facilmente che di questi due individui sai poco o niente. Tutto ciò che ammiri o detesti non parla degli altri, parla di te. Gli aspetti che esalti sono potenziali che non hai ancora riconosciuto e valorizzato dentro di te e che ti sono stati indicati come positivi, nobili; ciò che disprezzi ha a che fare con quegli aspetti che invece hai rinnegato: riguarda le emozioni e i comportamenti che non ti concedi di esprimere. Il giudizio e il disgusto che provi sono delle strategie, per tenere quelle parti lontane. Chi sa cosa accadrebbe se osassi riconoscerle in te? Quale personaggio infame diventeresti? Come reagirebbero gli altri nei tuoi confronti?

Ombra e libertà, quando il “divieto” ci indebolisce

Quando ci impediamo di esprimere alcune delle nostre sfumature perdiamo potere personale. Se non ci concediamo mai di mentire, per esempio, non avremo nemmeno la piena libertà di dire la verità. E cosa accadrebbe se tu non potessi mentire in una circostanza in cui una bugia potrebbe salvare decine di persone da un persecutore? Pensiamo ad esempio a una situazione in cui c’è una guerra in corso, un conflitto, un abuso.

Se ci imponiamo di essere sempre accoglienti, anche quando sentiamo un “no” che urla dentro di noi, non saremo più liberi di scegliere l’accoglienza: saremo obbligati ad agirla. Anche quando è necessario mettere dei limiti per rispettarsi e auto-tutelarsi. Comprendi il rischio? Comprendi la perdita di potere personale?

La libertà autentica nasce dall’integrazione, non dalla negazione. Finché continui a negare delle parti di te – la rabbia, l’aggressività, l’angoscia, la rigidità, per nominarne qualcuna delle tante – queste parti continuano a vivere nell’ombra, e da lì ti governano. Se, al contrario, scegli di riconoscerle e di accoglierle, torni padrone di te stesso e puoi scegliere la gentilezza, la pazienza, la compassione: non perché ti senti obbligato a farlo ma come atto di libertà. La rabbia ci informa che non ci sentiamo rispettati o che c’è un ostacolo tra noi e quello che desideriamo. Ci parla di noi. Se accolta, ci permette di comprendere meglio cosa sta accadendo dentro di noi per poi agire nel modo più adatto per rispettarsi. E di conseguenza ci permette di recuperare potere personale. Quando sai che, se fosse necessario, potresti utilizzare la determinazione fino all’aggressività per difenderti o tutelare te o qualcun altro, senti che sei affidabile per te stesso. Da lì può nascere un nuovo senso di sicurezza.

La libertà autentica nasce dall’integrazione, non dalla negazione

Abbracciare la dualità per ritrovare unità

Melanie Klein e Joan Rivière, nel loro libro Amore, odio e riparazione, descrivono la tensione costante tra pulsioni d’amore e pulsioni di distruzione che abitano l’essere umano.
Molti percorsi spirituali invitano a “superare” questa dualità: nutrire solo la luce, respingere l’ombra, condannare chi la manifesta. Ma questa, in realtà, è una via che alimenta la dualità.

La via verso l’unità passa, invece, attraverso l’accoglienza: riconoscere e abbracciare la propria ambivalenza. Siamo esseri duali, fatti di luce e di ombra, di costruzione e di distruzione, di tutto e del suo contrario. Ogni movimento vitale contiene due polarità.

Quando riuscirai a riconoscere le tue zone d’ombra, prima di tutto usciranno dall’ombra e scoprirai che sono meno terribili di quello che temevi. Quando le accogli si opera una trasformazione interiore e diventano meno prepotenti e dirompenti. Potresti addirittura riconoscere la loro utilità in alcune situazioni.
Poi se le guardi con empatia e compassione, allora smetti di proiettarle fuori e inizi a riconoscere la complessità dell’essere umano, in te stesso e negli altri.

L’unità nella quotidianità

L’unità non è uno stato astratto o ideale: è una pratica quotidiana di riconciliazione.
Ogni volta che, invece di combatterli, riusciamo ad accogliere i nostri aspetti giudicati “sbagliati” come l’aggressività, la codardia, l’incoerenza, i nostri paradossi…facciamo un passo significativo verso la pace interiore. Non perché emozioni, sentimenti e atteggiamenti detti negativi diventino virtù, ma perché cessano di essere dei nemici.

L’unità non è uno stato astratto o ideale: è una pratica quotidiana di riconciliazione

In questo spazio di riconciliazione, amore e odio, piacere e dolore, luce e ombra non si annullano, ma convivono e si abbracciano. Diventano parte di un’unica esperienza di vita, piena e reale.
E allora tutta l’energia che prima veniva impiegata per negare o reprimere torna disponibile. Rinasce sotto forma di potere personale, presenza, equilibrio. Essere integri significa questo: non essere perfetti, ma pieni di sfumature e autentici.
È questo, forse, il vero cammino verso l’unità: amare l’essere umano che siamo, con tutta la sua luce e tutta la sua ombra.